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Debito

L’Olanda, le tasse, l’Europa e il debito

Nel corso della delicata trattativa per la riforma del Patto di Stabilità, finalizzata a cercare soluzioni che giovassero ai Paesi più indebitati, è stata soprattutto l’Olanda a invocare l’austerity e a battersi per ottenere la conferma di alcuni dei vecchi vincoli di bilancio.

Allo stesso tempo, sul piano fiscale ha creato le condizioni per arricchirsi ogni anno grazie alle decine di miliardi di euro versati da molte aziende europee, alcune delle quali appartenenti proprio ai Paesi danneggiati dai suoi dictat, che hanno convenienza a fissare in Olanda la loro sede legale o fiscale, o quella di una loro consociata. Tra queste vi sono anche importanti aziende italiane. Non mancano alcune delle maggiori società partecipate dallo Stato che hanno importanti consociate nei Paesi Bassi.

Questa situazione determina una perdita per il nostro erario di circa 30 miliardi l’anno. I vantaggi offerti dall’Olanda sono sia di natura fiscale che legislativa. Sul piano fiscale i dividendi e i capital gain non concorrono all’imponibile, mentre interessi, sopravvenienze attive e royalty non sono tassati. È poi possibile concordare direttamente con funzionari del ministero delle finanze olandese un trattamento fiscale speciale attraverso accordi rigorosamente segreti per tutti. Altri sostanziosi vantaggi derivano dalla legge societaria, frutto di un’eredità della storia e della natura mercantile olandese. È prevista, tra l’altro, una sorta di meccanismo maggioritario che moltiplica i diritti di voto a partire da soglie variabili dal 20% al 30%, garantendo al maggiore azionista il controllo della società.

Su tale anomala situazione di paradiso fiscale è più volte intervenuta l’UE, ma solo con mere «Raccomandazioni», non disponendo di altri strumenti istituzionali più incisivi. Da ultimo è stata inoltrata all’Olanda una Raccomandazione nella quale si sottolineava che «gli effetti di ricaduta delle strategie aggressive di pianificazione fiscale tra Stati membri richiedono un’azione coordinata delle politiche nazionali a completamento della legislazione UE». Tuttavia, riconoscendo le carenze della legislazione europea, si invitava l’Olanda ad assumere direttamente opportune iniziative che, com’era facile prevedere, sono fino ad oggi mancate stante il suo interesse a evitare che si facciano passi avanti nel processo di unificazione della legislazione fiscale europea. Ciò spiega anche l’avversione dimostrata dall’Olanda riguardo all’emissione di Eurobond, dopo quella straordinaria decisa per le conseguenze del Covid 19. La sua preoccupazione resta dunque quella di ostacolare la creazione di un debito comune europeo che potrebbe rappresentare un passo decisivo verso la realizzazione di una comune politica economica e fiscale. In sede di trattative si fa forte della sua tripla A e del 57,5% del rapporto debito PIL. Rimprovera, non a torto, all’Italia di aver fatto ben poco per far scendere il rapporto debito/Pil al di sotto dell’attuale 135% e di essere giudicata dalle agenzie di rating con una tripla B con rischio di retrocessione. Questa nostra ormai atavica condizione è certamente frutto dell’insipienza della politica e non può di certo essere attribuita al mondo delle imprese.

A queste ultime, e in particolare alle grandi aziende, si può imputare l’eccessiva spregiudicatezza utilitaristica che, trascurando fondamentali doveri civici e solidaristici nei confronti dei propri concittadini, le porta a sottrarre un introito assai rilevante all’erario del proprio paese. Un introito che potrebbe contribuire in misura sensibile a far diminuire il debito pubblico, a far pagare meno tasse a chi le paga, a rendere migliori i servizi sociali e a destinare più investimenti alla sanità pubblica e alla ricerca.

Fonte: https://www.ecodibergamo.it/stories/premium/Editoriale/lolanda-tasse-leuropa-debito-o_2208253_11/

Il deficit e i conti, il silenzio verso il voto

ITALIA. Non si era davvero mai visto un DEF, cioè un piano economico e finanziario del nuovo triennio, privo di tendenze programmatiche, pur rese obbligatorie da leggi proprie e comunitarie.

A tutto eravamo abituati, specie alle bugie pietose di numeri troppo belli per essere veri, e anche stavolta qualche numero bugiardo non è mancato, ma mai il silenzio sulle intenzioni. Il motivo è confessato: ci sono le elezioni europee, e non bisogna turbare il sonno dei cittadini, che già dovrebbero pensare (ma lo fanno?) che per l’Europa - in un quadro globale da brividi, con due forse tre guerre in corso sotto casa - il voto di giugno è estremamente importante. Ripetiamo: estremamente. Ciononostante, vincerà anche stavolta l’astensione.

Dunque, aspettiamo la nuova Commissione e la fine che faranno estremisti di destra e populisti vari, filoputiniani inconsapevoli e filoputiniani convinti. A Bruxelles va bene così: rinviare, riparlarne. Tutti zitti persino sulla probabile procedura di infrazione dell’Italia per deficit eccessivo. Non sono cose che si dicono in campagna elettorale. Meglio prendere atto che il Governo garantisce che manterrà l’esenzione di quest’anno sullo scudo fiscale e farà altri tagli dell’IRPEF. Sono 20 miliardi almeno che mancano, ma se il DEF non ne parla vuol dire che il problema non c’è. Anche a Bruxelles tengono famiglia. La stessa richiesta di rinviare le scadenze del PNRR (solo 43 miliardi spesi su 194) è accolta con un «vedremo».

Ma allora fidiamoci poco dei rari numeri presenti nel DEF. Prendiamo la previsione del PIL 2024. Eravamo partiti con un +1,2% decisamente irrealistico, e infatti almeno in questo la correzione c’è: +1%. Peccato che la Banca d’Italia e il Fondo monetario, che non fanno elezioni, si fermino rispettivamente allo 0,6% e allo 0,7%, che sembrano piccoli scarti, ma sono uno la metà della previsione autunnale, e l’altro poco di più. Le controprove sono del resto inesorabili. Prendiamo il rapporto tra PIL e deficit. Se usiamo le bozze del Patto di stabilità europeo dovrebbe stare all’1,5%. Ebbene, per noi si parla di 4,3%, per poi scendere addirittura al 3% nel 2026: il doppio di quanto prescritto.

E il debito? Quello del 2026 sarà, dice il DEF, in risalita, al 139,8% tra due anni. Un anno fa era dato in discesa di 62 miliardi rispetto a questa cifra. Ma viaggiamo ormai verso il traguardo dei 3mila miliardi e l’anno prossimo lo supereremo di slancio: per il 2026 saremo a 3'300. E se rifinanzieremo bonus ed incentivi introdotti in deficit quest’anno, il tendenziale non sarà nel 2025 al 3,7% ma al 4,6%. Qui, il Fmi è drastico. Le sue previsioni non sono quelle di galleggiare attorno al 139% come fa il Mef, ma si spinge fino a un 144,9% nel 2029. Il Governo dà la colpa al Superbonus e per carità è vero che c’è un nome e cognome, Giuseppe Conte, dietro un’operazione sventolata nei comizi con l’avverbio gratuitamente alla maniera del peronismo argentino. Ma la firma sotto il provvedimento e soprattutto sotto la sua continuità, l’hanno messa tutti, anche la Lega che dimentica di aver fatto con Conte il governo del giustizialismo, della lotta ad inesistenti «taxi del mare» (sentenza dei giorni scorsi, costata milioni ai contribuenti) ma anche della sommatoria del populismo finanziario. Il conto fa, tutto sommato, (almeno) 209 miliardi di bonus e dintorni (più altri 100 per calmierare le bollette). Del resto, se anziché ai temi adatti alla propaganda, ci dedicassimo alle cose serie, vedremmo che la Sanità si può salvare solo con i prestiti del MES e che sta per andare fuori controllo la spesa previdenziale, che sale quest’anno del 5,9% e si avvia a mangiarsi il 15,5% del PIL.

Non diciamo nulla della Difesa (tema molto attuale) perché qui la razionalizzazione dovrebbe essere europea. E con questo quadro non sarebbe allora il caso di prestare più attenzione a programmi e priorità delle elezioni europee, evitando di andare al mare l’8 e 9 giugno? Meditiamo…

Fonte: https://www.ecodibergamo.it/stories/premium/Editoriale/il-deficit-conti-silenzio-verso-voto-o_2186857_11/

Il messaggio di Mattarella sui primi 30 anni dell'ARDeP

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha voluto esprimere con un messaggio personale inviato a Luciano Corradini, Presidente emerito dell’ARDeP (Associazione per la riduzione del debito pubblico) le sue felicitazione per il trentennale della nascita dell'associazione. Dal Quirinale sono arrivate parole di apprezzamento per le attività promosse in merito alla “divulgazione e sensibilizzazione sulle problematiche economiche del nostro Paese, avanzando utili proposte per un utilizzo sempre più consapevole e solidale delle risorse a disposizione del soddisfacimento dei bisogni della comunità, raccolte a mezzo del sistema tributario”, auspicando lo stesso impegno dell’Associazione nel realizzare ulteriori proficue iniziative”.

Un riconoscimento importante per l’ARDeP e per chi continua a credere nella sua missione, già raccontata in un libro pubblicato nell'ottobre del 2003 con cui si documentava l’esordio dell’associazione e i primi dieci anni d'attività, durante i quali persone diverse, per formazione, cultura e posizione professionale, hanno trasferito sul piano associativo, sociale e politico un disagio “civico” dovuto alle condizioni della finanza pubblica. I proventi di quel libro “La Tunica e il Mantello – debito pubblico e bene comune: provocare per educare” scritto da Luciano Corradini, sono stati poi versati nel “Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato”.

Sensibilizzare il Paese sui rischi del debito pubblico

La storia dell'ARDeP - una “pulce”, come viene definitiva del libro, nata all’indomani della grande crisi finanziaria e morale che ha colpito l'Italia nei primi anni ’90 - è quella di chi si è proposto di aiutare il Paese, pericolosamente uscito dallo SME (Sistema monetario europeo) nel 1992, ad entrare nel recinto dell’Euro costruito a Maastricht; una “pulce” che non si è sentita tranquilla neppure dopo questo ingresso avvenuto nel 1999, perché il “topo” roditore del debito pubblico è ancora all’opera, nonostante la rete protettiva del “patto di stabilità”. Ed è anche la storia di un professore di pedagogia, Luciano Corradini, che è nonno di dieci nipoti a cui ha voluto raccontare la vicenda vissuta con un manipolo di “volontari fiscali”, arruolati per combattere contro l’invisibile, ma vorace “topo”, perché noi italiani si sia potuto far parte, con dignità e responsabilità, non solo dell’Europa monetaria, ma anche di quella civile e politica che si sta costruendo. Infine, è la storia di un esperimento sociale che ha cercato di trasformare il “male comune del debito”, in capitale sociale di fiducia e solidarietà.

Sono parole, queste, mutuate dal libro, che non rappresenta però come potrebbe sembrare, la testimonianza della conclusione dell’attività dell’ARDeP, perché oggi, dopo altri vent’anni di esperienza sul campo, l’Associazione non ha abbassato la guardia. Anche perché il debito, che per un po’ di anni dopo l’esperienza raccontata è rimasto in cima ai pensieri dei ministri, dei politici e anche di molti cittadini, oggi è stato dimenticato ed ha continuato a crescere raggiungendo vette pericolose, come ci ha raccontato il nostro presidente Rocco Artifoni in un recente articolo pubblicato sulla Porta di Vetro.[1]

L’auspicio del Presidente Mattarella che l’Associazione continui a realizzare “ulteriori proficue iniziative“ è pertanto da accogliere con tutta la cura che merita e con tutta l’energia di quel manipolo di “volontari fiscali” che proseguono nella loro opera di sensibilizzazione e di provocazione, anche dialogando, spesso invano, con i pubblici poteri non solo per il raggiungimento dei propri obiettivi statutari ma perché lo Stato siamo noi.

“Resta la speranza – scrive Luciano Corradini – che alcune delle bottiglie in cui abbiamo tenacemente infilato messaggi, possano galleggiare tanto da giungere e a restare in mani esperte e concorrere in qualche modo ad aumentare il “capitale finanziario” del nostro Paese, mentre noi abbiamo avuto in mente soprattutto il suo “capitale sociale”. Ossia quel complesso di convinzioni, di atteggiamenti e di comportamenti che implicano senso della giustizia, rispetto delle leggi e volontà di migliorarle a beneficio di tutti, fiducia in se, negli altri e nelle istituzioni, resistenza alle provocazioni dei furfanti , dovunque annidati, disponibilità a fare la propria parte a favore dello sviluppo, dell’equità e della solidarietà”.

Fonte: https://www.laportadivetro.com/post/il-messaggio-di-mattarella-sui-primi-30-anni-dell-ardep

Debito Italia: inquietante per il Fondo Monetario Internazionale

Il Fondo Monetario Internazionale lancia l’allarme sul debito italiano e raccomanda un urgente “aggiustamento credibile di bilancio e dei conti pubblici per mettere il debito su una traiettoria di calo sostenibile”, secondo le parole di Victore Gaspar, responsabile del Fiscal Monitor del Fondo Monetario Internazionale.

Lo stesso suggerisce di ridurre rapidamente la giungla di detrazioni fiscali, bonus e aiuti anti inflazione e mette in discussione le stime dell’ultimo Documento di Economia e Finanza (crescita + 0,7% nel 2024 e 1% nel 2025 debito sotto il 140%) prevedendo solo uno 0,2% di crescita nel 2026 e una impennata del debito nello stesso anno del 142,6% del Prodotto Interno Lordo.

L'invito a un aggiustamento "credibile"

Il direttore del dipartimento Europa Alfred Kammer ha spiegato in che cosa dovrebbe consistere “l’aggiustamento credibile” facendo alcuni esempi: eliminare gli sgravi fiscali inefficienti, combattere l’elusione delle tasse, eliminare le scappatoie dal fisco e utilizzare in modo più efficiente i fondi europei.

Grazie all’avversione per il fisco della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, esplicitamente manifestata con la frase “mai dirò che le tasse sono una cosa bellissima”, il suo governo sta facendo di tutto per rendere più facile la vita agli evasori e i controlli dell’Agenzia delle entrate nei prossimi anni sono destinati a diminuire. Si passa, (vedi il PIAO: Piano integrato di Attività e Organizzazione dell’Agenzia delle Entrate 2024 – 2026) dai 426'686 controlli effettuati nel 2022 ai 320'000 di quest’anno (meno 25%). Il record dei controlli è avvenuto nel 2016 con 773'000 verifiche, più del doppio di quelle previste quest’anno.

La scelta del Governo è quella di ridurre gli accertamenti a favore del concordato preventivo, ma nel PIAO non viene indicato il volume di accordi che potrebbero avvenire nei prossimi mesi e resta impossibile stabilire quanta parte del gettito perso potrebbe essere recuperata grazie al concordato. Quest’ultimo rappresenta la grande aspettativa del ministro Giancarlo Giorgetti per poter realizzare le promesse della riduzione delle tasse, che altrimenti si esaurirà nel 2024: ci vogliono 18 miliardi di euro e nell’aggiornamento al Documento di Economia e Finanza di ottobre, contrariamente a quanto è avvenuto nella versione di aprile, dovrà per forza spiegare dove prenderli.

L'incapacità di riscuotere i crediti

Nel frattempo cresce lo stock dei crediti non riscossi da parte dell’Agenzia delle Entrate: un drammatico magazzino di tasse, imposte, multe e contributi che l’Agenzia non è mai riuscita a riscuotere. Nel 2023 è salito a 1'200 miliardi di Euro, poco meno della metà del debito pubblico italiano. Riguardano 163 milioni di cartelle e avvisi inviati a 22,4 milioni di contribuenti. Escludendo le persone fisiche decedute e nullatenenti, le imprese chiuse o fallite, i provvedimenti di sospensione, le rateizzazioni, restano circa 100 miliardi da riscuotere, ma i relativi debitori sono soggetti a favore dei quali sono stati posti in essere interventi normativi a tutela del contribuente. Aumenta il debito e, contemporaneamente, l’incapacità di riscuotere i crediti dell’impresa Italia. Lo sostiene la Corte dei Conti nella relazione di parificazione dei conti dello Stato del 2022: ogni anno i crediti non riscossi aumentano di 40 miliardi, con una crescita del 3,6%. E fa ancora notare che di questa montagna di crediti (nel 2022 era di 1'150 miliardi) ben 336 risalgono ad accertamenti dal 2000 al 2010 e altri 347 miliardi dal 2011 al 2015. In altre parole, le cosiddette “rottamazioni” non sono servite a svuotare il magazzino, né a garantire incassi ragguardevoli.

Il Ministero dell’Economia e Finanza documenta in modo impietoso la situazione dell’evasione fiscale in Italia che è stata stimata in 96 miliardi di euro. Fenomeno che non accenna a ridursi a fronte di scelte politiche, stralci, riforme e condoni che invitano a evadere il pagamento delle tasse. La Corte dei Conti ha anche segnalato l’anomalia di questi crediti che, a prescindere dalla loro effettiva esigibilità, nella contabilità dello Stato sono indicati tra i residui attivi, gonfiando di fatto entrate che non ci sono e rendendo il bilancio dello Stato inaffidabile.

Occorre tuttavia riconoscere che l’Agenzia delle Entrate ha, negli ultimi anni, rafforzato la propria azione utilizzando le banche dati, adottando rapporti più proficui con l’anagrafe tributaria e riducendo i costi di riscossione. Progressi innegabili, ma che non sono stati sufficienti a cambiare il quadro appena illustrato, non certo per incapacità dell’Ente, ma per le politiche adottate dai vari governi che si sono succeduti. Standard & Poor’s ha appena confermato negli scorsi giorni il rating dell’Italia a BBB.

Fonte originale: https://www.laportadivetro.com/post/debito-italia-inquietante-per-il-fondo-monetario-internazionale

Il ministro Giorgetti e i numeri del DEF

Quasi 150 miliardi di euro. È il dato dell’indebitamento netto nel 2023 delle amministrazioni pubbliche rilevato nel Documento di Economia e Finanza (DEF) recentemente varato dal Governo italiano. In particolare la cifra è dovuta alla somma del disavanzo primario (71 miliardi) e degli interessi sul debito (79 miliardi). Detto in un altro modo, è la differenza tra il totale delle spese (1'146 miliardi) e il totale delle entrate (996 miliardi).

Si tratta di una cifra enorme, che rappresenta oltre il quintuplo dell’ultima manovra finanziaria (circa 28 miliardi di euro) e il 7,2% del Prodotto Interno Lordo (PIL). La spesa per interessi è il 3,8% del PIL e questa percentuale è prevista in aumento nei prossimi quattro anni, fino a raggiungere il 4,4% nel 2027.

Di conseguenza anche il rapporto tra debito e PIL è previsto in aumento: dal 137,3% del 2023 al 139,6% del 2027. Non solo: il 139,6% è considerato il dato minimo. A causa del rischio sui tassi di cambio si potrebbe arrivare nel 2027 al 143% e considerando i rischi finanziari al 145,1%.

Dato che il 2027 segna il limite “normale” dell’attuale legislatura, chi allora verrà scelto per governare il Paese troverà una situazione finanziaria peggiore. Alla faccia di chi sostiene che bisognerebbe lasciare ai posteri una situazione migliore di quella che si è trovata.

È interessante anche il dato del debito della pubblica amministrazione, che è formato sostanzialmente da due voci: il debito centrale e quello locale. Nel 2023 il debito statale ha raggiunto 2'798 miliardi, mentre quello delle amministrazioni locali è stato di 112 miliardi, cioè meno del 4% del totale. In prospettiva il divario si accentuerà: nel 2027 il debito centrale salirà a 3.248 miliardi, mentre quello locale scenderà a 104 miliardi.

Una nota positiva si può trovare nei dati relativi al contrasto all’evasione fiscale, poiché nel 2023 è stato raggiunto il valore più elevato degli ultimi anni in termini di recupero di gettito. L’Agenzia delle entrate ha infatti riscosso complessivamente 24,7 miliardi di euro.

Il dato è coerente con la diminuzione del “tax gap”, ossia la differenza tra quanto si stima che si sarebbe dovuto versare e quanto effettivamente è stato versato, che nel 2021 aveva raggiunto il livello più basso da decenni con 83,65 miliardi di euro. I passi avanti nel contrasto a chi non versa il dovuto al fisco sono evidenti, ma resta ancora molto da fare, visto che le cifre recuperate rappresentano meno del 30% di quanto evaso.

Ultima annotazione: nella premessa al DEF Giancarlo Giorgetti, Ministro dell’Economia e delle Finanze, scrive: “Le azioni del Governo saranno rivolte a migliorare non solo i saldi di competenza, ma anche quelli di cassa, abbassando così il profilo del rapporto debito/PIL già nel breve periodo”. Visti i dati contenuti nel DEF viene il dubbio che il ministro non l’abbia letto con la dovuta attenzione.

 

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