I paradossi della Flat Tax all’italiana

Chissà che cosa direbbe Milton Friedman, l’economista americano che nel dopoguerra propose la flat tax, di fronte all’introduzione in Italia di questa forma di imposta. La domanda si pone perché la tassa piatta all’italiana in effetti è assai diversa da quella ideata da Friedman.

Anzitutto, la Flat Tax nelle intenzioni del suo ideatore nasce come proposta per evitare le disparità di imposizione fiscale, poiché ogni categoria di contribuenti cerca di ottenere un trattamento di favore, ovviamente a scapito di tutti gli altri.

Questo obiettivo se l’era posto anche Salvatore Scoca, relatore dell’art. 53, durante i lavori dell’Assemblea Costituente italiana: “Se esaminiamo la nostra legislazione, vediamo che, accanto alle leggi normali di imposta, si sono inserite troppe eccezioni, troppe norme singolari, le quali creano differenze di trattamento tra classi di cittadini ed altre classi, e tra le varie località del territorio dello Stato, e rendono ardua la stessa conoscenza della materia. Questa delle riduzioni e delle esenzioni è una grave menda della nostra legislazione, ed occorre che sia eliminata per l’avvenire”.

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Un Governo ingiusto

L’attuale Governo, sostenuto da M5S e Lega, ha chiesto al Parlamento di approvare una manovra economica di circa 33 miliardi di euro, le cui risorse sono finanziate in gran parte a debito. Nulla di nuovo sotto il sole, si potrebbe dire: ai posteri viene rilasciata l’ennesima cambiale da pagare.

Non solo: se i Governi precedenti, dal 2011 in poi, erano stati criticati per aver ipotecato le manovre degli anni successivi con pesanti clausole di salvaguardia (12,5 miliardi per evitare l’aumento dell’IVA nel 2019), l’attuale Governo le ha aumentate a 23 miliardi (nel 2020) e a 28,8 miliardi (nel 2021). Insomma, nei prossimi anni sarà necessaria una manovra economica esclusivamente per evitare l’aumento dell’IVA. Così facendo, si persiste nel caricare pesi insopportabili sulle spalle delle prossime generazioni, continuando a realizzare deficit, ad aumentare il debito e a condizionare le possibilità futura di spesa pubblica.

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Meno tasse non significa meno evasione fiscale

La principale argomentazione utilizzata per “giustificare” l’evasione fiscale è l’eccessivo livello della pressione fiscale: le tasse sono troppo elevate e quindi è necessario evitare di pagarne almeno una parte. Chi propone questo ragionamento, tralascia di considerare l’ovvia conseguenza: se alcuni … Leggi tutto

La cedolare sui locali commerciali “fa secca” la progressività dell’imposta

La manovra economica che il governo sta preparando si arricchisce di un nuovo capitolo. La novità dell’ultima ora è la cedolare secca per l’affitto dei locali commerciali. Una misura che, ha detto in un’intervista a Sky il sottosegretario all’Economia, “servirà anche a combattere il degrado urbano” [1].

Era da tempo che Confedilizia chiedeva che fosse esteso anche al settore delle attività commerciali il sistema di tassazione oggi previsto per le sole abitazioni residenziali.

Se non verrà modificato il pacchetto fiscale, quindi, anche chi concede in locazione un locale commerciale potrà optare per il regime di tassazione a cedolare secca.

Di cosa si tratta?

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L’aumento della ricchezza e della disuguaglianza

Di solito si fa il confronto tra il tanto posseduto dai più ricchi e il poco rimasto nelle mani dei più poveri. In questo modo è facile verificare quanto il sistema economico mondiale sia diseguale ed ingiusto. Ma a conclusioni analoghe si può giungere anche soltanto analizzando l’evoluzione della ricchezza nel mondo.

Una conferma si può trovare nel Global Wealth 2018, l’ultimo rapporto del Boston Consulting Group (una società che offre consulenza per gli investimenti di elevato valore): la ricchezza finanziaria privata mondiale nell’ultimo anno è cresciuta del 12%, raggiungendo nel 2017 il totale di 201,9 mila miliardi di dollari. Si tratta di una cifra che è circa 2,5 volte più grande del PIL mondiale annuale, che ammonta a circa 81 mila miliardi di dollari.

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FISCO, C/C PER LE LISTE CONTROLLI

estratto da pag. 27 di “ITALIA OGGI” di oggi, a firma di Valerio Stroppa.

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 – Prioritaria la messa a regime dell’incrocio dei dati presenti nell’Archivio rapporti – Al via le società di capitali. Poi le persone fisiche – di VALERIO STROPPA

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Bisogno di progressività

La Corte dei Conti ha certificato che nel 2016 la spesa complessiva dello stato italiano ha totalizzato 829 miliardi coperti per l’86,5% da entrate fiscali, ossia ricchezza prelevata ai cittadini, e per il restante 13,5% da altre entrate come affitti, concessioni, vendite di immobili, indebitamento.

Le entrate fiscali comprendono tre grandi categorie: i contributi sociali, le imposte dirette e le imposte indirette. I contributi sociali sono prelievi sulla produzione, in parte a carico dei lavoratori, in parte dei datori di lavoro, e sono utilizzati per pensioni e altre provvidenze di carattere sociale. Le imposte dirette sono prelievi sugli introiti dei cittadini. Le imposte indirette sono prelievi sugli acquisti per beni e servizi. L’analisi dei dati rivela che oggi i tre settori contribuiscono al gettito fiscale in misura quasi paritaria. Più precisamente nel 2016 i contributi sociali hanno rappresentato il 31% del gettito fiscale, le imposte dirette il 35%, quelle indirette il 34%. Situazione piuttosto diversa da quella del 1982 quando i contributi sociali rappresentavano il 40% di tutte le entrate fiscali, le imposte dirette il 35%, quelle indirette il 25%.

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L’utilizzo dell’Anagrafe dei rapporti finanziari ai fini dell’attività di controllo fiscale

(Comunicato stampa del 18 settembre 2017 – Sezione centrale di controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato)

L’Anagrafe dei rapporti finanziari, costata ad oggi circa 10 milioni di euro, costituisce una banca dati di notevoli dimensioni contenente i dati, identificativi e contabili, di tutti i soggetti titolari di rapporti di conto corrente o di deposito, istituita al fine di rendere più efficiente l’attività di controllo in ambito fiscale.

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