Fanno il condono e la chiamano «pace edilizia». Oppure, meglio, «sanatoria», termine gentile che allude a una malattia finalmente curata dal medico dello Stato, anche se la malattia, nella fattispecie, è una violazione della legge.
Ed eccolo qui, l’ennesimo colpo di spugna – stavolta edilizio – in piena tradizione repubblicana (il condono del 1985 del governo Craxi, quelli del 1994 e 2003 di Berlusconi). Si potrà ribattere che quello annunciato dal ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini (pare che la premier Giorgia Meloni non ne sapesse nulla) in fondo perdona dei peccatucci edilizi veniali (un tramezzo innalzato, una finestra in più, una nicchia scavata, un muro tirato giù), che però rendevano difficile vendere o ristrutturare sulla base di planimetrie depositate in Comune non corrispondenti alla divisione effettiva degli spazi interni. Planimetrie che oltretutto ingolfano gli uffici comunali. Niente a che vedere con l’abusivismo edilizio in grande stile, quello di case e palazzi costruiti sul greto di un fiume, in mezzo a un parco, o in terreni adibiti ad uso pubblico, magari ad opera di imprese in odore di criminalità organizzata (la madre di tutti gli abusivismi di cemento in Italia è il famigerato «sacco di Palermo», la speculazione edilizia che si abbattè sul capoluogo siciliano negli anni ’60 e ’70). Insomma non è un revival di «le mani sulla città» di Francesco Rosi, il film che denunciò sugli schermi la grande «mangiatoia» di molti centri urbani sulla base del boom economico e demografico. Stiamo parlando delle case degli italiani. Dunque – almeno apparentemente – si potrebbe dire «ben venga» a questo condono «intra moenia» di piccole irregolarità che coinvolge l’80 per cento del patrimonio immobiliare, secondo una stima del Consiglio degli ingegneri. Per dirlo con la Meloni «se si tratta di innalzare un tramezzo, è ragionevole».
Ma il problema di tutti i condoni riguarda coloro che si sono comportati conformemente alla legge, quelli che non hanno commesso abusi edilizi, che il tramezzo non lo hanno innalzato e che hanno depositato la loro brava domanda in Comune (e magari stanno ancora aspettando la risposta). Quelli che hanno pagato un geometra, che hanno fatto decine di telefonate in Comune a vuoto prima che qualcuno rispondesse, che hanno prenotato appuntamenti giunti dopo mesi, che hanno pagato le sanzioni di legge per regolarizzarsi.
In questo caso il problema non è molto diverso dalle altre sanatorie, tregue o scudi edilizi o fiscali, «tombali» o provvisori. Riguarda insomma i «fessi» che le tasse le pagano e rispettano – udite udite – persino le planimetrie. Per non parlare che la sanatoria per lo Stato ha un costo (il gettito derivante dalle potenziali sanzioni). Di solito i condoni raccattano quei pochi soldi previsti dalla sanatoria, che è sempre meglio che niente. In questo caso invece il cadeux edilizio non solo non porta soldi, ma li succhia alle casse dello Stato, dunque a quelle dei contribuenti.
Per non parlare del fatto che le sanatorie di oggi e di ieri non fanno altro che incoraggiare gli abusi e le evasioni. I cittadini trovano conveniente non dichiarare le tasse e di conseguenza non pagarle, alzare muri e tramezzi in casa propria sapendo che nessuno li punirà e che potranno rivendere tranquillamente la loro villa o il loro appartamento. Insomma, a pagare e sanare c’è sempre tempo. Chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato, chi ha costruito ha costruito, scurdammoce il tramezzo, siamo in Italia (perché in Europa queste cose sono rarissime), il nostro è il Paese dei tarallucci e vino. E poi ci sono le elezioni europee, quale migliore operazione simpatia che un bel condono, una bella «norma salva-casa» per ottenere consenso? E via così, fino alla prossima sanatoria, pace, tregua, fiscale o edilizia che sia. Basta aspettare il prossimo appuntamento elettorale.