105 miliardi di euro: è l’aumento del debito pubblico italiano nel 2023 calcolato dalla Banca d’Italia. Infatti, il conto in rosso delle amministrazioni pubbliche era di 2’758 miliardi alla fine del 2002 ed è salito a 2’863 miliardi al termine del 2023. Questo aumento del 3,8% dello stock del debito è dovuto in gran parte al pagamento degli interessi. Nel 2022 la spesa per gli interessi passivi sul debito è stata di 83 miliardi di euro. Non è ancora disponibile il dato relativo al 2023, ma si stima che il costo sia vicino a 100 miliardi di euro.
Di conseguenza anche nel 2023 lo stato italiano ha chiuso il bilancio in perdita per gli interessi dovuti ai creditori. A causare l’aumento del debito è il debito stesso, in un circolo vizioso che si autoalimenta. Una classe politica responsabile – al di là delle regole del patto di stabilità europeo – dovrebbe porsi il problema di come uscire da questa spirale che comporta un enorme spreco di risorse. Invece, anche l’ultima manovra economica presentata dall’attuale governo è stata di 24 miliardi (cioè un quarto della spesa per interessi), di cui 16 miliardi a debito.
Di fronte a questa situazione ci si aspetterebbe un soprassalto di attenzione, una ripresa della consapevolezza che non è sensato continuare su questa falsariga. Tanto più che nei documenti di previsione dei prossimi anni è già indicato un ulteriore aumento del debito sia in termini assoluti sia in relazione alla ricchezza prodotta (rapporto debito/PIL). Dovrebbe scattare un allarme politico, perché chi è molto indebitato (e l’Italia ha il più grande debito in Europa) non dispone delle risorse necessarie per dare risposte concrete ai bisogni sociali e per garantire i diritti riconosciuti dalla Costituzione.
Periodicamente viene pubblicato il dato del nuovo record del debito pubblico, ma questa informazione fondamentale per le sorti del Paese, viene appresa come l’arrivo di una nuova perturbazione metereologica, che prima o poi passerà. Ma il debito resta con tutte le conseguenze negative. Eppure la notizia scivola via nell’indifferenza generale, come se non ci riguardasse. Chissà per quale ragione di fronte al problema del debito pubblico il patriottismo – spesso esibito con orgoglio – scompare.
Viene in mente la storiella raccontata da Piero Calamandrei agli studenti milanesi nel 1955 in un discorso sulla Costituzione: “Due emigranti, due contadini traversano l’oceano su un piroscafo traballante. Uno di questi contadini dormiva nella stiva e l’altro stava sul ponte e si accorgeva che c’era una gran burrasca con delle onde altissime, che il piroscafo oscillava. E allora questo contadino impaurito domanda ad un marinaio: «Ma siamo in pericolo?». E questo dice: «Se continua questo mare tra mezz’ora il bastimento affonda». Allora lui corre nella stiva a svegliare il compagno. Dice: «Beppe, Beppe, Beppe, se continua questo mare il bastimento affonda». Quello dice: «Che me ne importa? Non è mica mio!».”
Il debito pubblico sta creando grosse falle nella barca Italia e rischia di farla affondare. Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori, ha recentemente dichiarato: “Se considerassimo questo debito come un debito personale, sarebbe un livello di indebitamento da infarto, pari a 48.524 euro. Anche in questo caso, si tratta del dato peggiore mai registrato. Se fosse un debito familiare, in media ammonterebbe a 108.438 euro”. Forse è necessario far scattare questo “se” per passare dall’indifferenza alla responsabilità. Ogni genitore personalmente cerca di non lasciare debiti ai figli.
Collettivamente invece stiamo lasciando un carico pesante alle generazioni future. Non è una buona politica.