ECONOMIA. Al vertice dei ministri di Economia e Finanza dell’Ue (Ecofin) della scorsa settimana nessuno sembra aver avuto nostalgia dei vecchi criteri di Maastricht del 3% del deficit, del 60% del debito e dell’inflazione al di sotto del 2%.
Le vicende politiche ed economiche degli ultimi anni hanno fatto di questi numeri una parodia.
Tutti gli Stati, chi più chi meno, hanno sforato i vincoli. La Germania che doveva essere il modello di riferimento ha superato la fatidica soglia del 60% del debito. Per non parlare dell’inflazione che ancora falcidia il potere di acquisto dei consumatori e spadroneggia.
Si sente la mancanza di un’unione fiscale in UE e quindi di strategie condivise che portino ad un debito da gestire in comune a Bruxelles. Il Next Generation EU è il modello di riferimento ma i Paesi del Nord Europa e la Germania non intendono cedere sovranità finanziaria fino a quando non sono sicuri delle garanzie di affidabilità del Sud. Li aiuta in questo il fatto che la Grecia si è avviata su un percorso di risanamento finanziario che l’ha portata ad un debito del 160% grazie ad una crescita superiore al 2,5% del PIL e ad una politica di bilancio attenta a non affrontare spese e investimenti a debito. Il combinato disposto di crescita e rigore finanziario ha portato i tassi dei titoli di Stato ellenici ad un livello inferiore a quelli italiani. Da qui la rigidità del ministro delle Finanze tedesco nel non concedere spazio alle richieste italiane di esentare le spese degli investimenti infrastrutturali strategici dal calcolo del deficit.
Operare interventi come quello attuale italiano sulla riduzione dello scudo fiscale aiutano le economie e dovrebbero predisporle ad una maggiore competitività anche in ragione di un maggiore potere di acquisto dei lavoratori che ne usufruiscono.
La differenza fra debito buono e cattivo è però sottile e nella sua indeterminatezza richiede un tasso di fiducia in chi opera che al momento non c’è. La credibilità dell’interlocutore è decisiva.
Il ministro delle Finanze italiano Giancarlo Giorgetti gode a Bruxelles di buona reputazione per la serietà e la disciplina che animano il suo operato. Il problema è rappresentato dal bilancio italiano che ha sforato e previsto spese con emissioni di titoli di Stato. Il debito italiano per i prossimi anni non cala e la crescita calcolata dal Fondo monetario internazionale allo 0,7% per il 2023 non aiuta . Nel frattempo la produzione industriale è scesa a settembre del 2% sul 2022 e l’Istat vede un rallentamento per l’ intera economia nei prossimi mesi.
In Europa negli ultimi tempi i progetti che hanno accompagnato il nuovo modello industriale basato su energie alternative e sostenibili hanno assunto contorni più realistici. Il Comitato dei saggi che su incarico del governo federale tedesco rilascia ogni anno un documento di previsione per lo sviluppo economico prevede da qui al 2028 una crescita media in Germania dello 0,4%. Il motivo è legato alle implementazioni per l’ utilizzo sistemico delle fonti energetiche alternative. Il passaggio dall’energia prodotta dai fossili a quella rinnovabile richiede molti capitali e anche se produce benefici effetti sull’ambiente non crea di per sé plusvalore. Le imprese devono trovare nuove catene di forniture che spesse volte non sono a prezzi vantaggiosi. Rimpiazzare i prodotti cinesi costa. Ci vuole tempo e denaro per ottimizzare le linee dei nuovi fornitori.
La presidente del Comitato Veronika Grimm si dice impressionata e colpita da indici di crescita così bassi. In Germania erano in media del 6,5% del PIL negli anni ’50-’60. È vero che sono andati calando nel tempo fino alla percentuale dell’ 1,5% del PIL di Angela Merkel ma una prospettiva così drastica non era nel conto. Problemi che toccano tutti in Europa e fanno dei Paesi ad alto debito le vittime sacrificali. Ecco perché la minaccia italiana di porre il veto a decisioni prese anche a stragrande maggioranza dall’ECOFIN più che un atto di coraggio è un gesto di disperazione.