Fanno il condono e poi la chiamano pace fiscale. Il governo di Giorgia Meloni non sfugge all’italica tradizione dei colpi di spugna sulle tasse dovute allo Stato non versate. Anche se naturalmente ricorre a una definizione gentile, come a suo tempo hanno fatto i precedenti esecutivi adoperando termini come «scudo», «tregua», «sanatoria» e via condonando.
Si può dire che tutta la classe politica dal Dopoguerra a oggi abbia fatto ricorso a questo strumento. Persino l’austero Mario Draghi, che ha cancellato con il decreto Sostegni le cartelle esattoriali fino a 5mila euro dal 2000 al 2010, non si è sottratto alla tradizione. Lo abbiamo già scritto: se è vero come diceva Beniamino Franklin che a questo mondo di certo ci sono solo la morte e le tasse, in Italia il detto non vale, anzi forse la massima andrebbe rovesciata: in Italia di certo ci sono la morte e i condoni. E a proposito di morte in passato di condoni ce ne sono stati anche due detti «tombali», perché il contribuente regolarizzava una volta per tutte la sua posizione: chi ha dato ha dato e chi ha avuto ha avuto, scurdammoce o passato.
Stavolta però c’è una sorta di salto di qualità. Al provvedimento ha lavorato anche il ministero della Giustizia, poiché il testo prescrive che se si versano i debiti pregressi con lo Stato i reati annessi vengono cancellati, concedendo una sorta di «grazia» agli evasori. La misura messa in cantiere da via Arenula e da via XX Settembre estingue infatti ben tre reati: l’omessa dichiarazione dei redditi (che prevede da un anno e 6 mesi a 4 anni di reclusione), l’omesso versamento (da sei mesi a tre anni) nonché la dichiarazione infedele (da due anni a 4 anni e mezzo). Si sta cercando di dar vita a una «causa estintiva per comportamento riparatorio». Se l’evasore versa quanto è dovuto, compresa la sanzione accessoria, la giustizia chiuderà un occhio. Ecco così questa inedita prescrizione fiscale, non però «erga omnes», che è lo spirito di ogni legge, ma a pagamento e dunque per chi se lo può permettere.
Siamo sicuri che non si stia violando l’articolo 3 della Costituzione («Tutti i cittadini (…) sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di (…) condizioni personali e sociali»)?Naturalmente si tratta di una misura «a tempo», dettata dall’emergenza, che poi è sempre la solita necessità di grattare dal fondo del barile in tempi di vacche magre, recuperando «risorse già date per perse». Ma intanto in questo modo si premiano gli evasori e soprattutto i furbi che hanno alterato i dati contabili, con buona pace dei contribuenti onesti.
Inutile aggiungere che questo provvedimento di fatto rientra nella direzione di incoraggiare l’evasione fiscale (come le cartelle inferiori a mille euro rottamate). D’ora in poi molti cittadini potrebbero trovare conveniente non dichiarare le tasse e di conseguenza non pagarle. Male che vada c’è sempre il condono, dal punto di vista giudiziario non si rischia niente, arriverà un bel colpo di spugna (dettato dall’emergenza, si capisce, che da noi è cronica). Insomma: per pagare c’è sempre tempo. Al Mef hanno persino introdotto la parola «perdono fiscale». La cultura ebraico-cristiana del perdono (nei giubilei venivano cancellati i debiti) e la morale cattolica però c’entrano poco con la storia recente di questa specialità tipicamente italiana, che – come abbiamo già scritto anche in questo caso – è sempre stato un mezzo per acquisire consenso, evitare tensioni sociali e soprattutto raccattare gettito laddove era difficile e complicato esigerlo. Inoltre il perdono di solito è associato al termine «pentimento» e in questo caso non risulta che l’evasore si debba pentire di qualcosa. Anzi, a ben vedere, potrebbe pensare di aver fatto proprio bene, visto come è andata a finire.