Meno di un’ora di illustrazione della manovra da parte del ministro Daniele Franco in audizione – l’ultima – davanti alle Commissioni Camera e Senato congiunte, ma seguita da due ore di discussione per rispondere al fuoco di domande dei parlamentari. Si sono chiuse ieri ufficialmente le audizioni sulla Legge di Bilancio 2022 per dare inizio all’esame della Legge da parte del Senato.
Apprezzamenti generali sulla vocazione “espansiva” della legge, ma anche segnalazioni di criticità sui temi delle riforme a cominciare da quella del fisco, la cui revisione strutturale, viene ancora una volta rinviata, senza peraltro ancora si preveda le modalità di utilizzo delle risorse stanziate (8 miliardi su cui ogni forza politica intende piantare la propria bandierina) per ridurre la pressione fiscale.
A questo hanno provveduto oggi, 25 novembre, i tecnici delle Finanze con una proposta che prevede la diminuzione da cinque a quattro scaglioni dell’IRPEF e un intervento di riduzione (di due e tre punti percentuali) sulle aliquote del secondo e terzo scaglione, rimanendo invariate la prima e l’ultima aliquota (23% e 43%) e abolendo lo scaglione con l’aliquota del 41%. È previsto che nel 2023 il numero degli scaglioni si riduca ancora, da quattro a tre. Tale proposta pare essere stata condivisa dalla maggioranza parlamentare e debba tradursi in un emendamento alla legge di Bilancio.
Una compressione decisa della curva della progressività che continua a privilegiare i redditi medio-alti ed elevati e non ad alleggerire quelli più bassi. Si tratta di oltre 8 milioni di contribuenti che hanno un reddito inferiore ai 15’000 Euro annui, che, in questo caso, non fruiranno di nessun risparmio fiscale. Accadrà quindi che, se la matematica non è solo una opinione e qualora venisse confermata dal Parlamento la suddetta proposta, che un reddito medio da lavoro (26’000 €) risparmierà imposte per 220 € all’anno, mentre un reddito elevato (200’000 € ed oltre… all’infinito ) ne risparmierà 270 rispetto all’attuale sistema di scaglioni ed aliquote, con buona pace dell’equità e della riduzione delle disuguaglianze, che continueranno a crescere.
Al contrario, i redditi che non superano i 15’000 € si troveranno una busta paga più leggera per effetto della riforma degli ammortizzatori sociali, prevista dalla Legge di Bilancio, che provocherà un aumento del costo del lavoro dovuto all’aumento delle aliquote contributive, per lavoratori e imprese, necessario per finanziare le integrazioni salariali. Se da un lato resta positiva l’estensione a tutti i lavoratori di tale strumento, secondo il principio dell’universalità, dall’altro, il mancato finanziamento con risorse pubbliche dei costi aggiuntivi da parte del Governo scarica su lavoratori e piccole imprese il finanziamento della revisione del sistema degli ammortizzatori sociali. (Art. 68 Ddl.).