Pagare le tasse è il modo con il quale ciascun cittadino può «contribuire al progetto di paese e di bene comune». Con queste parole il direttore dell’Agenzia delle entrate, Ernesto Maria Ruffini, si è espresso a proposito della sua guarigione da un tumore, aggiungendo: «Ringrazio i medici e gli infermieri e ringrazio anche chi paga le tasse, se ho potuto usufruire di questi servizi».
Le connessioni contenute nel ragionamento sono chiarissime: pagare le tasse è un obbligo, sancito dalla Costituzione e previsto dalle leggi; nel contempo occorre che ogni cittadino abbia chiaro che l’adempimento di quell’obbligo è il presupposto per l’esistenza e la qualità dei servizi offerti ai cittadini.
Le parole del direttore dell’Agenzia delle entrate richiamano uno dei fondamenti del rapporto tra poteri pubblici e cittadini, tra diritti e doveri, tra legalità e legittimazione. Nella storia dei popoli il prelievo fiscale è sempre stato lo strumento indispensabile per governare. Ciò valeva in una determinata maniera nelle società antiche, nelle quali i sudditi non avevano voce in capitolo nell’uso delle risorse prelevate. In quelle dell’epoca moderna la tassazione diviene l’elemento di bilanciamento della rappresentanza: uno scambio tra potestà di imporre tributi e soddisfacimento delle esigenze dei cittadini, rappresentati dalle istituzioni parlamentari.
Il motto coniato negli Stati Uniti d’America all’epoca delle prime colonie – «no taxation without representation» – riprendeva un passaggio della Magna Charta inglese del 1215. Un precetto molto antico che ha tracciato l’evoluzione delle società liberali e poi democratiche in tutto il mondo occidentale. I cittadini hanno il dovere di divenire contribuenti, perché attraverso le risorse da loro versate al fisco gli Stati possono garantire servizi alla collettività. Tale essenziale assunto implica che la contribuzione è un elemento essenziale del patto tra cittadini e istituzioni.
Di conseguenza, chi non paga le tasse (ovvero le paga in misura inadeguata) – oltre a commettere un reato – non rispetta il patto sociale e civile. Un famoso politologo statunitense ha paragonato il prelievo fiscale all’iscrizione ad un club: chi non paga le tasse si estromette automaticamente dal club e perde i diritti previsti per gli associati. Per dirlo in altro modo, l’evasore fiscale non dovrebbe avere il diritto di usufruire di tutti i servizi resi con i soldi dei contribuenti (per esempio, l’assistenza sanitaria o circolare in strade costruite e tenute in condizioni di sicurezza). A rigore, non dovrebbe nemmeno essere ammesso a partecipare al voto, forma suprema della partecipazione.
Un’acconcia tassazione genera un prelievo fiscale equo e calibrato sulle esigenze della società intera. Naturalmente, nessun sistema fiscale è perfetto, né alcuna amministrazione finanziaria è esente da pecche o da manchevolezze. Si può legittimamente discutere sul fatto che l’attuale sistema italiano sia aderente ai principi di progressività del prelievo, prevista dalla nostra Costituzione. Analogamente si può obiettare sulla qualità della normativa fiscale, tacciata spesso di essere tortuosa, poco chiara, a volte iniqua. Non a caso da decenni si parla di rivederne radicalmente criteri e modalità.
Resta però fermo il punto iniziale: pagare le tasse secondo quanto prescrivono le leggi è un dovere. Giuridico, civile, morale. I controlli nei confronti di chi evade dovrebbero essere più costanti, più calzanti, più efficaci. Perché – come direbbe il Signor de Lapalisse – se tutti versano il giusto, si avranno migliori servizi pubblici e ciascuno pagherà meno di quanto non paghi attualmente.
(tratto da L’Eco di Bergamo del 23 dicembre 2020)