Due anni or sono il debito pubblico italiano era un fardello insostenibile e aveva preso una china pericolosa. Così scriveva S&P Global Ratings il 26 ottobre 2018, notando come il rapporto tra debito e PIL fosse destinato a salire quell’anno al 128,5% e su quel livello si sarebbe mantenuto anche negli anni successivi. Il giudizio (BBB) andava pertanto peggiorato con un outlook negativo. E negativa la prospettiva rimane anche l’anno seguente, sebbene, con la formazione del nuovo governo, trapelasse nell’analisi di S&P una maggiore indulgenza. Negativo il giudizio era rimasto fino all’aprile di quest’anno: comprensibilmente con una pandemia che, soprattutto in Italia, annunciava una falcidia di vite umane e un disastro economico.
Il giudizio delle agenzie di rating sul debito pubblico italiano
Ma, nove giorni fa, con grande sorpresa, S&P ha migliorato l’outlook portandolo a «stabile», pur con un debito che, a suo dire, dovrebbe salire al 149,8% del PIL per fine anno, dimostrando un ottimismo persino superiore a quello del nostro governo. In realtà quella percentuale è assai più alta e, con un debito che ad agosto era cresciuto a 2.579 miliardi e un PIL atteso in caduta del 9% (a 1.627 miliardi), farebbe già un rapporto del 159%: senza contare che il debito può solo aumentare da qui a fine anno. Nel frattempo, a conferma di quanto detto a proposito di S&P, anche Moody’s ha lasciato invariato il rating sull’Italia.
Perché il debito pubblico diventa «sostenibile»
Non s’era mai vista tanta generosità in un’agenzia di rating, commenta Fusco Femiano di eToro, notando come le stime di S&P sull’andamento del Pil 2020-2021 siano persino migliori di quelle del governo italiano. Il rapido mutamento di tono dell’agenzia di rating non dovrebbe invece stupire se si considera che l’arcigno Fondo monetario, assertore fino a qualche mese fa del rigore di bilancio, celebra adesso i vantaggi delle «politiche fiscali espansive» e tutte le case d’investimento internazionali si sono prodigate a dimostrare le grandi virtù taumaturgiche del debito e i liberisti operatori di Wall Street inneggiano ai promessi sussidi governativi di Trump: spalleggiati pure da austeri rappresentanti del partito repubblicano, per i quali il rigore di bilancio era un imperativo morale.
Il debito pubblico è «un’opportunità o un costo» si chiede retoricamente Alessandro Tentori di Axa Italia: «un’opportunità epocale che non va sprecata», dice, perché, grazie agli «enormi, forse infiniti, bilanci delle banche centrali», il debito diventa sostenibile. Siamo diventati tutti ultra keynesiani. Se è sostenibile il debito giapponese (al 230% del PIL nel 2019) lo diventa anche quello italiano e, a maggior ragione, quello degli Stati Uniti che, se calcolato con i nostri criteri, dovrebbe salire quantomeno al 135% del PIL nel 2020.
Il peso dello «zero» nelle nuove emissioni e il Recovery Fund
L’enfasi non è più sull’ammontare del debito ma sugli oneri del debito stesso, che si assottigliano grazie alla repressione finanziaria esercitata dalle banche centrali, con le nuove emissioni che finiscono a costo zero per lo stato (e zero rendimento per i sottoscrittori) o sotto zero, come in Giappone e gran parte dell’Europa.
Ma cosa ancor più importante è che con il debito si alimenta la crescita e qui entra in gioco soprattutto il Recovery fund che per l’Italia prevede circa 127 miliardi in prestiti e 65 a fondo perduto. Lorenzo Codogno e Paul van den Noord stimano che i vari pacchetti di aiuti predisposti a Bruxelles possano incrementare la crescita economica d’Eurozona dell’1,5% (cumulato) fino al 2023 e del 3% per il 2027. Per i paesi periferici questi numeri più che raddoppiano (rispettivamente 4% e ben oltre l’8%), cosicché la stessa S&P stima una crescita del PIL italiano che dal 6,4% nel 2021, si ridurrebbe a 2,3% nel 2022 e solo all’1,5% nel 2023 che, in ogni caso, è circa il doppio di quella vista negli ultimi 3 anni. E un PIL più alto fa anche apparire meno drammatica la crescita del debito.
A tutto ciò andrebbe aggiunto un più ridotto costo del debito, poiché con i QE della BCE (PEPP pari a 1.350 miliardi) i tassi d’interesse resteranno bassi come ora o ancor più bassi: cosicché il Tesoro, secondo S&P, potrà finanziarsi allo 0,8% con le nuove emissioni, pur con un onere medio del 2,5% per quelle vecchie. E non è finito, perché la tendenza che sempre più si fa strada è considerare il debito netto e non quello lordo come s’è fatto finora.
Cos’è il debito «netto» e la verità sul Mes
Netto da cosa? Ma dai titoli in portafoglio alla banca centrale che là resteranno (quasi) in eterno. E, visto che la BCE (tramite Banca d’Italia) finirà a breve per detenere il 30% del nostro debito pubblico, il netto si ridurrebbe di quasi 800 miliardi e finirebbe per pesare sul PIL solo per il 110%. Inoltre, gli oneri su quegli 800 miliardi sarebbero pressoché nulli, una sorta di partita di giro, poiché la Banca d’Italia li trasferirebbe ogni anno al Tesoro sotto forma di dividendi.
Insomma, starebbero cambiando le regole del debito, come suggeriscono eminenti economisti (vedi Olivier Blanchard) e, grazie a questo nuovo paradigma, anche il debito italiano finisce per essere considerato sostenibile. In questo clima, non stupisce che alcuni politici italiani, già contrari ai finanziamenti del MES (perché legherebbero le mani al nostro paese), sostengano che quel meccanismo non è più conveniente. Cosa vera per Spagna e Portogallo, il cui spread è circa 50 punti più basso del nostro, ma non per l’Italia, dal momento che il BTP a 10 anni rende lo 0,77%, mentre il tasso d’interesse del MES è attorno allo zero.
Come tutti i nuovi paradigmi, anche questo della sostenibilità del debito presuppone che le condizioni future rimangano quelle che abbiamo visto negli ultimi mesi. E, per quanto riguarda l’Italia, che i finanziamenti del Recovery Fund siano ben spesi, destinati a un ragionato sviluppo economico, e che sia scongiurato il rischio di un eventuale governo euroscettico.
(Tratto da Corriere della Sera “L’Economia” – Domenica 8 Novembre 2020)