Stampare moneta, un mito da sfatare o la soluzione al debito pubblico?

Cosa vuol dire stampare moneta? Ma soprattutto cosa vuol dire far parte dell’euro? I due concetti sono sempre collegati in chi rimpiange la lira e sostiene che fosse meglio quando l’Italia poteva indebitarsi senza limiti, non come ora che deve rispettare i vincoli di Maastricht (deficit sotto il 3% e debito pubblico sotto il 60%). Ha ragione il leader della Lega Matteo Salvini che ha auspicato «che si stampasse moneta»? Cosa succederebbe?

Attualmente, a causa dell’enorme crisi economica scatenata dal diffondersi del coronavirus, Bruxelles ha sospeso il Patto di Stabilità e crescita, quindi i Paesi dell’Eurozona posso indebitarsi senza vincoli. Ma è proprio così? L’euro è solo una zavorra? Un primo dato da ricordare è che in Italia il divorzio tra ministero del Tesoro e Banca d’Italia risale al 1981: è da allora che Bankitalia non può più finanziare il debito italiano stampando moneta. Quindi da molto tempo prima dell’entrata dell’euro (1° gennaio 1999 sui mercati finanziari, 1° gennaio 2002 le banconote in mano ai cittadini) .

Il debito e la BCE

Per come stanno le cose, l’Italia ora può indebitarsi senza limiti perché il Patto di Stabilità è stato sospeso. Il problema è che deve farlo sui mercati finanziari. Per prendere i soldi in prestito dovrà pagare un interesse che corrisponde alla fiducia che gli investitori hanno di essere ripagati. Questa fiducia è indicata (semplificando) dallo spread: più questo numero è alto, maggiore è la diffidenza degli investitori e il costo degli interessi per il Paese. Del resto l’Italia ha già un debito che è circa il 130% del suo PIL, il più alto dell’Eurozona dopo quello greco. Se l’Italia stampasse moneta da sola non andrebbe a prendere i soldi sul mercato. Non può farlo perché è la Banca centrale europea che decide la politica monetaria ed è per statuto un’istituzione indipendente dagli Stati membri e anche dagli organi di governo dell’Unione europea. Il suo obiettivo prioritario è la stabilità dei prezzi (mantenere l’inflazione al di sotto ma vicina al 2%). Nell’Eurozona è vietato il finanziamento monetario dei disavanzi, quindi la BCE non può acquistare titoli sul mercato primario. Tuttavia sia durante la crisi del debito sovrano sia adesso la BCE ha messo in atto il Quantitative easing, uno strumento non convenzionali di politica monetaria, che prevede massicci acquisti di titoli pubblici sul mercato secondario.

Stampare moneta e inflazione

Se invece un governo ha il controllo sulla banca centrale, o una forte influenza su di essa, può decidere di coprire i propri bisogni vendendo alla banca centrale i propri titoli e imponendole di stampare moneta per finanziarne l’acquisto, in questo modo non dovrà pagare interessi. Ma se è così semplice perché uno Stato non lo fa? Perché la Gran Bretagna, la Svizzera o gli Stati Uniti che hanno la loro moneta non fanno così? Il problema è che avere una politica monetaria subordinata alle esigenze delle finanze pubbliche è pericoloso. La monetizzazione del debito rischia di minare il valore della moneta stessa, quindi rischia di produrre un aumento dell’inflazione. È quello che è successo in Italia: tra il 1973 e il 1984 l’inflazione non scese mai al di sotto del 10%, ben al di sopra della media dei Paesi industrializzati. Vuol dire che il potere d’acquisto delle famiglie, dei lavoratori, dei pensionati ma anche delle imprese che dovevano acquistare materie prime all’estero era fortemente compromesso.

L’inflazione elevata colpisce tutti i cittadini e soprattutto le fasce più deboli, di fatto è una tassa. Gli effetti della monetizzazione del debito non si vedono immediatamente, sul breve periodo può sembrare la soluzione più rapida per risolvere i problemi di un Paese ma nel lungo è controproducente perché aumenta l’inflazione e rende fragili le finanze pubbliche. Tanto più per un Paese che ha già un debito molto alto.

Italexit

Se in teoria la monetizzazione del debito nel breve termine può essere vantaggiosa, nel lungo di sicuro non lo è. Ma chi la propone adesso la associa all’addio all’euro. Cominciano a riprendere voce coloro che dicono che è meglio andarsene da questa Europa, senza però spiegare cosa vuol dire Italexit e cosa vuol dire per un Paese come il nostro uscire dall’Unione europea e giocare da solo la partita della globalizzazione. In molti sembrano non ricordare quanto fosse debole la lira nei confronti delle altre monete. Far parte dell’Unione vuol dire avere accesso agevolato a un mercato potenziale di 500 milioni di persone, l’euro è una moneta forte, abbandonarla vorrebbe dire vedere il proprio potere d’acquisto dimezzarsi se non di più in questo contesto. Le fasce più deboli della popolazione sarebbero le più colpite. E il margine di manovra che avrebbe lo Stato non darebbe i benefici che vengono promessi. Ora si tratta di usare questa crisi per migliorare l’Unione europea e farle fare un salto di qualità. È quello che stanno tentando di fare l’Italia, la Francia, la Spagna e il Portogallo insieme ad altri Paesi, opponendosi alla visione della Germania, dell’Olanda e dei Paesi del Nord, cercando soluzioni condivise di finanziamento (eurobond) per far fronte all’emergenza coronavirus, con la consapevolezza che questa è una crisi che colpisce tutti i Paesi.

(tratto da corriere.it – 3 aprile 2020)