Sono i principi che dovrebbero disegnare una riforma tributaria, non i numeri. Sono i principi, la visione del mondo, della società e del ruolo dello Stato che dovrebbero definire gli obiettivi da perseguire. I numeri possono avere la sola capacità di determinare in quanto tempo gli obiettivi potranno essere raggiunti. E questi principi sono la capacità contributiva, la solidarietà economica, politica e sociale e l’eguaglianza sostanziale, tutti sanciti dalla nostra Costituzione.
Ad essi è intimamente legato il concetto di equità, che si esprime in due direzioni: quella orizzontale, per cui i soggetti con una medesima capacità contributiva devono essere tassati in modo uniforme, e quella verticale, per cui a una capacità contributiva maggiore deve corrispondere una tassazione maggiore.
Ma non basta. Perché tutte le misure che disciplinano le singole imposte devono essere coordinate tra loro e risultare in perfetto equilibrio, al fine di comporre quel complesso di norme che l’art. 53, c. 2, Cost. definisce, non a caso, “sistema fiscale”.
Quello che invece governa la più grande fonte di finanziamento delle spese dello Stato è un “sistema non sistema”, un insieme di disposizioni farraginoso, distorsivo, scoordinato, generato dall’introduzione, nel tempo, di una miriade di esenzioni, imposizioni sostitutive e detrazioni, che hanno eroso la base imponibile e falcidiato i principi di capacità contributiva e progressività, confinata solo ai redditi da lavoro e da pensione. Un’area troppo limitata.
Come intervenire allora?
Una riforma complessiva e strutturale dell’IRPEF dovrebbe porsi i seguenti obiettivi:
- riprendere l’originario principio della tassazione personale del “reddito complessivo” formato da tutti gli elementi reddituali, e corrispondente alla definizione di reddito entrata, seppur con alcuni marginali ma necessari aggiustamenti. A tal fine sarebbe funzionale estendere l’applicazione di ritenute d’acconto che indurrebbero i possessori di tali redditi a includerli in dichiarazione. L’unica eccezione dovrebbe essere rappresentata dalle plusvalenze patrimoniali realizzate che, al netto delle perdite, dovrebbero essere soggette a una imposizione separata e progressiva (come avviene in altri Paesi europei);
- introdurre un reddito minimo esente universale, il cui valore potrebbe collocarsi tra la soglia di povertà assoluta e quella relativa, differenziata per area geografica e dimensione del comune di residenza (perché la povertà, e il livello di incapacità contribuiva non è uguale dappertutto);
- ridurre l’onere per i redditi da bassi a medi e rimodulare al rialzo le aliquote per i redditi più elevati (inferiori a quelle presenti in molti Paesi europei), accostando una progressività lenta sul modello tedesco per i primi, alla definizione di scaglioni reddituali gradualmente più ampi, per i secondi;
- rivedere le deduzioni e detrazioni d’imposta, in funzione della loro efficacia, dell’impatto sociale, dell’attuazione dei principi costituzionali, della necessità di intervenire con strumenti anticiclici per dare impulso a settori economici in difficoltà, delle nuove necessità di formazione professionale dei lavoratori, nonché rimodularle tenuto conto della differente necessità di accedervi da parte dei soggetti appartenenti alle diverse classi di reddito. Intervento che dovrà necessariamente coordinarsi con la revisione delle aliquote, sia perché una riduzione delle spese produce un aumento della pressione fiscale, sia perché nel nostro sistema la progressività è assicurata dalla combinazione aliquote-spese fiscali;
- sostituire alcune detrazioni d’imposta e vari “bonus” (nascite, asili, baby sitter, ecc.), spesso elargiti a pioggia, con un assegno unico, variabile per valore in funzione della situazione familiare e decrescente rispetto al reddito;
- introdurre un sistema opzionale di tassazione del nucleo familiare (secondo quanto più volte suggerito dalla Corte Costituzionale). L’argomento è delicato perché tale sistema presupporrebbe la configurazione della famiglia come un centro unitario di gestione dei redditi, consumi e investimenti, mentre sembra che il modello che ci consegnano le analisi sociologiche sia più un sistema poco coordinato di singoli individualismi;
- coordinare la tassazione locale, oggi disorganica, con quella erariale nel rigoroso rispetto del principio di cui all’art. 119 Cost..
Tenuto conto che una riforma strutturale necessita di un orizzonte temporale di medio-lungo termine e che non sempre le condizioni politiche correnti (e temporanee) sono in grado di garantire la stabilità necessaria e una visione comune – come testimonia la distanza tra i principi innanzi delineati e la proposta di ridurre il numero degli scaglioni – probabilmente la soluzione politica più percorribile potrebbe essere quella di agire gradualmente, assicurando che ogni passaggio, accettabile o accettato dalla maggioranza che sostiene il Governo, permetta di accedere a quello successivo senza stravolgere quanto realizzato in precedenza, nel rispetto della tutela dell’affidamento e della certezza del diritto.
Fabio Ghiselli, autore del libro “Giù le tasse, ma con stile!”, Franco Angeli editore.
(Pubblicato da Il Sole 24 Ore il 19 febbraio 2020)