Anche l’esercizio 2020 si preannuncia impegnativo per il governo dei conti pubblici.
La situazione economica è caratterizzata dalle crescenti incertezze che pesano sul quadro macroeconomico internazionale, anche per l’acuirsi delle pressioni protezionistiche, che si traducono in un deciso rallentamento delle principali economie europee. A riflesso di una negativa dinamica del commercio internazionale (con il volume degli scambi che nella prima metà dell’anno si è contratto dell’1,4 per cento in termini tendenziali) e di un sensibile rallentamento delle attività nell’Area dell’euro, la crescita è rimasta debole.
Le prospettive dell’economia italiana, già largamente al di sotto della media europea, ne risentono ulteriormente. Le difficoltà interessano ampi comparti della domanda aggregata e in particolare le componenti interne. I consumi delle famiglie sono in decelerazione, nonostante l’ancora buona intonazione del mercato del lavoro e il benefico effetto che la bassa inflazione esercita sul reddito disponibile reale.
Gli investimenti, pur mostrando una maggiore vivacità, non sembrano nel complesso in condizione di dare un impulso adeguato all’esigenza sempre più vitale di aumentare lo stock di capitale della nostra economia. Le insufficienti aspettative di domanda inducono le imprese a ridimensionare i piani di produzione e decumulare le scorte di magazzino. Il rallentamento deriva, innanzitutto, dalle difficoltà dell’industria manifatturiera su cui più pesano le incertezze che ancora permangono sul disegno da perseguire nel medio termine per adeguati investimenti in ricerca e innovazione, istruzione e formazione di capitale umano, infrastrutture e salvaguardia del territorio, energie rinnovabili e green economy.
Mitiga l’insoddisfacente dinamica della domanda interna l’andamento della bilancia commerciale, con le esportazioni nette che, stando agli ultimi dati disponibili, continuano a fornire un contributo positivo, ma sono fortemente esposte agli effetti delle guerre commerciali in corso e ai fattori di rischio geopolitico.
Ciò si riverbera in misura rilevante anche sugli equilibri della finanza pubblica. La condizione dei conti del nostro Paese, infatti, pur in un contesto di tassi di interesse assai più favorevole di quello prefigurato nel DEF dello scorso aprile, appare fragile ed esposta a rischi, nel breve come nel medio termine.
Nonostante il miglioramento del quadro tendenziale, infatti, soprattutto per la minore spesa per interessi (l’indebitamento scenderebbe all’1,4 per cento del Pil nel 2020 rispetto al 2 per cento del DEF e l’avanzo primario crescerebbe di 3 decimi di punto nel 2020 sempre rispetto al DEF), continua a risultare determinante l’aumento delle imposte indirette legato alle “clausole di salvaguardia”. Al netto delle clausole il disavanzo si pone di poco al di sotto del 3 per cento e le scelte operate con la legge di bilancio per il 2019 assottigliano ancora i margini di manovra per nuovi interventi.
Per rispondere alle difficoltà poste dal quadro economico il disegno di politica di bilancio prefigurato nella manovra sembra ispirato, per l’intero triennio 2020-2022, ad un orientamento tendenzialmente espansivo.
Nelle valutazioni del Governo gli stimoli derivanti dalla disattivazione delle clausole di salvaguardia, da un’iniziale riduzione del cuneo fiscale e dal sostegno degli investimenti, sarebbero in grado di portare il tasso programmatico di sviluppo allo 0,6 per cento nel 2020 e all’1 per cento nel 2021 e 2022.
Oltre alla revisione in senso peggiorativo dell’obiettivo di indebitamento (dall’1,4 al 2,2 per cento del PIL, con un seppur lieve peggioramento anche del saldo strutturale), per il finanziamento degli interventi si prevedono misure di razionalizzazione della spesa pubblica; interventi di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali; una riduzione delle spese fiscali, nuove imposte ambientali e altre misure fiscali.
Non meno difficile appare il quadro ove si guardi al debito pubblico. I recenti aggiornamenti delle previsioni disegnano uno scenario peggiore di quanto previsto in aprile in occasione della presentazione del DEF, sia in termini di stock delle passività lorde delle Amministrazioni pubbliche, sia sotto il profilo delle prospettive di breve e medio termine.
Dopo la crescita nel 2019 di nove decimi del rapporto deficit/PIL, nel triennio di previsione 2020-22 la scelta di riorientare in senso espansivo la fiscal stance (con il 2020 che vedrebbe una variazione del deficit strutturale lievemente positiva e una variazione dell’avanzo primario strutturale pari a -0,3 punti di PIL) riduce rispetto al quadro del DEF il ritmo di discesa del rapporto, il quale si contrae nelle previsioni del Governo di mezzo punto il prossimo anno (da 135,7 a 135,2) e in misura più apprezzabile nel biennio successivo (di 1,8 e 2 punti rispettivamente). Al graduale rientro contribuirebbe, da un lato, il pur lento rafforzamento dell’avanzo primario, dall’altro, l’effetto di snowball che, in presenza di un tasso di crescita del PIL maggiore del costo medio del debito, sia nel 2021 che nel 2022, cesserebbe di essere sfavorevole e diverrebbe riduttivo anziché accrescitivo del rapporto.
Tuttavia, le traiettorie del rapporto debito/PIL, disegnate tanto nel quadro tendenziale quanto in quello programmatico, non rispettano la “regola del debito” prevista dalle vigenti normative europee “in nessuna delle configurazioni”, anche nel più favorevole criterio forward looking. Il mancato conseguimento dei pur modesti obiettivi di crescita potrebbe incidere sulla tenuta dei conti pubblici e compromettere il programma di riduzione del debito pubblico che continua a rappresentare un elemento cardine nella sostenibilità del sistema.
(tratto dal documento “Programmazione dei controlli e delle analisi per il 2020” approvato dalle Sezioni Riunite della Corte dei Conti – dicembre 2019)