Debito pubblico e declino economico in Italia

di Gian Cesare Romagnoli*

Una versione di questo saggio è stata presentata al CNEL, per SOS Utenti, Roma, 10 giugno 2016.

1. Introduzione – 2. Il debito pubblico – 3. La dinamica del debito pubblico e il declino economico dell’Italia – 3.1 Illusione finanziaria e debito pubblico nel ventennio 1971-1991 – 3.2 Il declino economico nel periodo 1992-2008 – 3.3 I rischi d’instabilità finanziaria durante le due crisi (2008-2015) e la nuova governance europea – 4. Le politiche di rientro dal debito pubblico – 5. Conclusioni

Abstract
Il saggio argomenta la tesi che il debito pubblico italiano è tra i motivi principali del declino economico del nostro Paese. Dopo alcune riflessioni sulle funzioni dello Stato e sulla formazione del debito pubblico, l’esposizione è divisa in tre parti: la dinamica del rapporto debito pubblico/Pil nei due periodi 1972-1992 e 1993-2015, la nuova governance economica europea contro l’instabilità che ha colpito i paesi della periferia sud dell’Eurozona e le politiche di rientro dal debito nel contesto della globalizzazione dei mercati.

Riassunto
Il rapporto debito pubblico/Pil in Italia ha iniziato a discostarsi dalla media europea all’inizio degli anni ’70. Le ragioni di questa crescita anomala sono state molto diverse nei decenni ’70 e ’80 ma il successivo ventennio ha visto la stagnazione economica del nostro Paese accompagnarsi all’ulteriore crescita di quel rapporto nonostante l’eterodirezione della nostra politica economica da parte della governance europea. Si conclude sull’insufficienza delle istituzioni nell’attuazione delle misure adatte a risolvere questo problema complesso in presenza di un paradigma antropologico individualista.

1. Introduzione

Il tema di questo saggio riguarda la politica economica e finanziaria italiana degli ultimi quaranta anni, in cui debito pubblico e declino economico si sono intrecciati in modo sempre più stretto. Si tratta di un tentativo di uscire dalle letture contraddittorie della crisi italiana che lasciano cittadini e operatori economici nell’incertezza sulla strada da seguire per tornare a crescere. Infatti si scambia sovente il “prima” con il “dopo” e le cause presunte con gli effetti, o si trascura il ruolo giocato dal sistema finanziario globalizzato nella teoria economica, con un inquietante mascheramento delle responsabilità politiche interne della situazione drammatica che il paese continua a vivere da molti anni e che fatica a migliorare.
Dopo una breve riflessione critica sulle funzioni dello Stato e sul problema del debito, dividerò la mia esposizione in tre parti: il debito pubblico, la sua dinamica nell’ultimo quarantennio e le politiche di rientro dal debito. La mia sarà anche una riflessione critica sul nostro Paese e sulla sua gestione politica da parte della mia generazione, una testimonianza su ciò che ho visto durante diversi decenni di insegnamento e ricerca.
Lo Stato dovrebbe essere la forma più alta di associazione umana per il perseguimento di fini generali e per la soddisfazione dei bisogni dei cittadini. Secondo la teoria tradizionale della politica economica, che prevede un rapporto organico tra Stato e società civile, il bene comune sintetizza il massimo delle finalità che vengono realizzate dall’organizzazione statale.

Ma la nuova teoria della politica economica ha preso atto della frammentazione del corpo sociale in gruppi di interesse, che chiamiamo lobbies, e ha sostituito l’olismo con l’individualismo metodologico ed etico. Per raggiungere i propri fini lo Stato esercita delle attività i cui vari momenti possono essere ricondotti alla triade di Montesquieu: la funzione legislativa, la funzione amministrativa, la funzione giurisdizionale, ne cives ad arma veniant, insieme a una quarta funzione, quella politica, che è l’attività suprema di indirizzo e di governo dell’intera comunità. Nella concezione illuministica lo Stato deve intendersi come espressione giuridica di una società preesistente. La libertà è a monte del processo storico, pertanto non si realizza con l’affermazione dello Stato nazionale. Per gli illuministi inglesi la razionalità dell’uomo è imperfetta: gli uomini tendono a privilegiare il presente rispetto al futuro e lo Stato appare necessario anche per eliminare queste deficienze della razionalità individuale. Più ottimisti, gli illuministi francesi forniranno alla società potenziale, logicamente preesistente allo Stato, un più suggestivo fondamento metafisico con la teoria del “contratto sociale” di Rousseau. In un sistema socio-economico nel quale né lo Stato né il mercato sono autolegittimati, e sono invece considerati due strumenti utili per perseguire gli scopi indicati dalla società civile attraverso le sue istituzioni, trova riconoscimento la protezione sociale per i più deboli, attuata all’interno di uno “Stato sociale” e di uno “Stato dei diritti” in corso di trasformazione nel nostro come in altri paesi dell’Unione Europea (UE).