Primo problema: la disuguaglianza. L’Italia è un paese relativamente ricco. La Fondazione Edison, sulla base dei dati Eurostat e della Commissione europea, ha calcolato la ricchezza finanziaria netta dei cittadini dei vari paesi europei nel 2011, misurandola in percentuale rispetto al PIL. Risultato: le famiglie italiane sono in vetta alla classifica, detenendo una ricchezza netta (cioè calcolando la differenza tra risparmi e debiti) del 168%.
Tanto per fare un paragone, i tedeschi arrivano al 122%, gli spagnoli al 71% e i greci al 47%. Subito possiamo obiettare che l’OCSE nel maggio 2011 ha dichiarato che l’Italia è al primo posto in Europa per il divario tra ricchi e poveri. In altre parole, non abbiamo un problema di risorse disponibili. Abbiamo un problema di redistribuzione. Questo non può stupire, perché negli ultimi 4 decenni l’aliquota sui redditi dei cittadini più ricchi è scesa progressivamente dal 72% al 43%. Al contrario le imposte sui più poveri sono aumentate dal 10% al 23%. In sintesi in Italia ci sono molti soldi ma sono distribuiti in modo molto diseguale.
Secondo problema: il debito pubblico. In Europa ci batte soltanto la Grecia, che è oltre il 150% nel rapporto tra debito pubblico e PIL. L’Italia è ormai vicina al 130%, con un valore assoluto superiore ai 2.000 miliardi di euro. È del tutto evidente che non possiamo continuare su questa strada: sarebbe un suicidio economico. Sarebbe saggio, utile e necessario ridurre al più presto e il più possibile questo fardello, che – soprattutto a causa degli interessi (quasi 90 miliardi di euro) – annichilisce le nostre possibilità di sostenere politiche sociali, scolastiche, sanitarie e lavorative adeguate. Ma dove possiamo trovare le risorse per ridurre il debito? La risposta in teoria è semplice: paghino quelli che possono pagare, cioè quelli che hanno pagato sempre di meno negli ultimi 40 anni. Facile a dirsi, ma non altrettanto a farsi. Perché per farlo basterebbe un economista liberale come Luigi Einaudi che nel 1946 a proposito di un’imposta patrimoniale straordinaria scriveva: “L’imposta straordinaria sul patrimonio dice al contribuente: <<Vivi sicuro e fidente. Io vengo fuori ad intervalli rarissimi (…) per mettere una pietra tombale sul passato (…). Per l’avvenire tu pagherai solo le imposte ordinarie che tu stesso, per mezzo dei tuoi mandatari in parlamento, avrai deliberato per far fronte alle spese correnti dello stato. Saranno alte o basse a seconda tu vorrai.
Se tu amministrerai bene le cose tue non saranno mai gravose. Potranno essere alte; ma a te sembreranno leggere, perché pagate per ottenere servigi più importanti dell’onere delle imposte pagate>>.”
Purtroppo negli anni successivi (in particolare tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’90) i nostri “mandatari in parlamento” non hanno saputo far fronte alle spese dello Stato che essi stessi hanno deliberato e sono riusciti a raddoppiare il rapporto tra debito e PIL. Oggi è la generazione successiva che paga le conseguenze (compresi interessi) di quelle scelte irresponsabili, con l’avallo degli elettori italiani.
L’aspetto veramente paradossale è che l’Italia da 20 anni chiude il proprio bilancio con un utile di qualche decina di miliardi di euro, che immancabilmente si trasforma in un deficit di qualche decina di miliardi di euro a causa degli interessi da pagare sul debito. Insomma, nonostante tutti i nostri difetti, siamo una società che economicamente andrebbe bene, se non fosse per i debiti pregressi.
Terzo problema: l’evasione fiscale. Anzitutto in Italia abbiamo politici di primo piano che hanno giustificato l’evasione fiscale con il fatto che le tasse sono troppo alte (e chi le avrebbe fissate così alte se non il parlamento e il governo?). In realtà in Italia le imposte non sono così elevate come si vorrebbe far credere. Secondo i dati recentemente forniti da Eurostat. nel 2011 la pressione fiscale in Italia è stata del 42,8%. La media dell’Unione europea (27 stati) è stata del 40%. La media dell’Area euro (17 stati) è stata del 40,8%. Con un carico fiscale superiore all’Italia ci sono 6 nazioni: Danimarca 48,6%, Belgio 46,7%, Francia 45,9%, Svezia 44,9%, Austria 43,7% e Finlandia 43,6%. Senza gli interessi sul debito l’Italia avrebbe un carico fiscale ampiamente al di sotto del 40%. Se poi le tasse venissero pagate da tutti, la pressione fiscale potrebbe scendere addirittura sotto il 30%. Infatti, una ricerca inglese (Tax Research LLP) del 2012 ha rilevato che in Europa l’Italia è al primo posto per il valore assoluto delle imposte evase (180 miliardi), che corrispondono al 27% delle entrate. La ricerca ha anche messo a confronto il dato dell’evasione fiscale con quello del debito pubblico di ogni paese. L’ipotesi è suggestiva: se si riuscisse a recuperare le imposte non pagate e venissero utilizzate per pagare il debito pubblico, quanto tempo sarebbe necessario per azzerare il debito? Risposta: l’Italia sarebbe il paese più virtuoso, poiché potrebbe ripianare il debito pubblico in 10 anni, in un tempo inferiore a quello di Germania e Francia (13 anni) e Gran Bretagna (18 anni). Detto in altre parole, noi abbiamo un debito pubblico enorme, ma anche un’evasione fiscale altissima (e questo accostamento aiuta a capire ancora più chiaramente perché siamo così indebitati nonostante un livello medio molto alto di tassazione). Benché il debito sia cresciuto anche a causa degli interessi, attraverso il recupero del sommerso, saremmo in grado di uscire dalla difficile situazione finanziaria in cui ci troviamo più velocemente di qualsiasi altro paese europeo. Alla luce di questi dati ci si aspetterebbe un impegno delle istituzioni per contrastare seriamente l’evasione fiscale. Nel 2012 – pur realizzando il miglior risultato di sempre – sono stati recuperati soltanto 12 miliardi, cioè il 7% di quanto sfugge al fisco. Non solo: molti esperti segnalano che l’evasione fiscale più rilevante è quella legata al reato di “estero vestizione”, cioè la creazione di società fittizie all’estero per evitare la tassazione in Italia. La legislazione vigente nel nostro paese non consente di utilizzare le intercettazioni telefoniche e ambientali come strumento di indagine per questo reato. Al contrario il governo Berlusconi e il ministro Tremonti hanno approvato lo scudo fiscale, consentendo il rientro legale dei capitali illecitamente esportati, con il pagamento di un misero 5% di imposta. Purtroppo l’Italia è anche il Paese con il record dei condoni: fiscali, contributivi, edilizi, ecc.
Quarto problema: il gioco d’azzardo. Nel 2000 la spesa degli italiani per il gioco d’azzardo era di 14 miliardi di euro. Dieci anni dopo, nel 2010, è arrivata a 61 miliardi. Nel 2011 a 80 miliardi. Nel 2012 ha superato i 90 miliardi. Significa mediamente oltre 1.500 euro pro-capite annui, compresi i neonati. Pertanto, una famiglia italiana di 4 persone spende mediamente 500 euro al mese per lotterie, slot machine e poker online. I 90 miliardi spesi per il gioco legale basterebbero a pagare gli interessi sul debito pubblico. Poi c’è anche il gioco illegale, che è stimato tra i 10 e i 20 miliardi di euro. Molti italiani si lamentano per l’eccessiva tassazione del sistema tributario italiano. Non sempre si tratta di critiche fondate. Ma proprio ammettendo che la tassazione sia troppo elevata, resta da spiegare perché volontariamente sprechiamo 90 miliardi nei gioco d’azzardo. Con questi soldi la tassazione potrebbe scendere di 9 punti in percentuale. Infatti, con il 42,8% di pressione fiscale nel 2012 le entrate tributarie sono state di 424 miliardi di euro. Ciò significa che 90 miliardi corrispondono al 9% di pressione fiscale. Si potrebbe obiettare che lo Stato con i giochi ci guadagna ed è per questo che li pubblicizza persino in TV. Ma le entrate fiscali per i giochi non arrivano a 10 miliardi di euro, cioè circa il 10% del fatturato del settore. Se però calcoliamo il costo sociale del gioco d’azzardo, probabilmente è la collettività a rimetterci. Occorre infatti calcolare il costo delle equipe che si occupano delle ludopatie, le famiglie che finiscono sul lastrico per il gioco e che devono essere aiutate dai servizi sociali, i drammi familiari di chi vive situazioni di dipendenza da gioco, ecc. Senza dimenticare che le indagini della magistratura hanno dimostrato come il settore del gioco è molto appetibile per le organizzazioni criminali e come la presenza di slot machine negli esercizi commerciali faccia aumentare notevolmente la percentuale dei furti . Da tempo è vietata la pubblicità delle sigarette, perché nuocciono gravemente alla salute. Invece la propaganda a favore del gioco con i soldi è promossa dallo Stato, che non deve per forza essere un esempio di eticità, ma nemmeno è accettabile che si metta in prima fila in questa opera di diseducazione. Perché, ricordiamocelo, le scommesse e l’azzardo sono il contrario della solidarietà.
Quinto problema: la corruzione. Scorrendo la classifica redatta nel 2012 da Trasparency International sul livello di corruzione dei 180 stati del pianeta, troviamo l’Italia al 72 posto. In Europa sono messe peggio di noi soltanto la Bulgaria e la Grecia. Ma se facciamo una correlazione tra indice di corruzione e livello di sviluppo del paese, l’Italia è la nazione più corrotta del mondo. Con un calcolo molto approssimativo la Corte dei Conti ha stimato che la corruzione costa al paese 60 miliardi l’anno. In realtà è sufficiente leggere “l’atlante della corruzione” di Alberto Vannucci (Edizioni Gruppo Abele) per rendersi conto che il costo reale della corruzione è molto più elevato, non soltanto in termini economici, ma anche sociali, culturali ed educativi. Recuperando i soldi sprecati per la corruzione (ci sono opere pubbliche il cui prezzo a causa delle tangenti e dell’interesse reciproco tra corrotto e corruttore è aumentato del 600%) potremmo sicuramente pagare gli interessi sul debito pubblico, tanto per fare un esempio. O utilizzarli per mettere in sicurezza antisismica delle scuole, per garantire un reddito minimo a chi non trova o perde un lavoro, per migliorare l’efficienza energetica degli edifici pubblici, ecc. Per farlo bisognerebbe anzitutto recepire pienamente la convenzione europea del 1999 contro la corruzione. L’Italia l’ha fatto soltanto nel 2012 con molte lacune e persino peggiorando le leggi esistenti: ad esempio il reato di concussione di fatto è stato depotenziato e il concusso è stato disincentivato a denunciare il concussore. Insomma, siamo il paese più corrotto che ha le leggi meno severe contro la corruzione. Tutto ciò attira in Italia chi vuole corrompere e spinge in altri paesi gli investitori onesti. Il danno all’economia è incalcolabile. Libera e il Gruppo Abele in occasione delle elezioni politiche di febbraio hanno promosso la campagna “riparte il futuro” (www.riparteilfuturo.it), chiedendo ai candidati di sottoscrivere 4 impegni per la trasparenza e uno contro la corruzione: chiedere che il voto di scambio sia considerato un reato non soltanto se è stato utilizzato denaro (come prevede la legge vigente), ma anche nel caso in cui vengano fornite “altre utilità”: appalti, posti di lavoro, favori, ecc. Su 15.187 candidati soltanto 878 (cioè meno del 6%) hanno aderito e 276 sono stati eletti. In altre parole i oltre il 70% dei parlamentari non ha sottoscritto impegni contro la corruzione. Con queste premesse è difficile pensare che riusciremo ad avere leggi migliori. Alberto Vannucci scrive: “tutte le politiche anticorruzione soffrono di una debolezza di fondo, che si associa alla logica della ricerca del consenso tipica della politica democratica”. C’è da meditare.
Sesto problema: le mafie. Il giro d’affari della mafia SpA, secondo i dati presentati nell’ultimo rapporto “Le mani della criminalità sulle imprese” realizzato da SOS impresa, è stimato in 140 miliardi di euro, con 100 miliardi di utili (sottratti alla collettività). Si tratta della più grande impresa italiana dopo lo Stato. La differenza è che lo Stato chiude ogni anno il bilancio in deficit di oltre 50 miliardi. Se si riuscisse a dimezzare la potenza economica della mafia, lo stato italiano nonostante tutto (sprechi, corruzione, evasione fiscale, interessi sul debito) chiuderebbe comunque il proprio bilancio in pareggio o addirittura con un utile. Giovanni Falcone diceva che la mafia, come ogni fenomeno umano ha avuto un inizio e sicuramente avrà una fine. Per abbreviare il tempo della fine bisognerebbe fare una seria lotta alle mafie, con convinzione e continuità, mettendo a disposizione risorse e mezzi adeguati. La lotta alla mafia conviene anzitutto per ragioni economiche: per esempio in Italia il costo per intercettazioni telefoniche e ambientali (strumento di indagine indispensabile per reati di mafia e non solo) è ampiamente ripagato dal valore dei beni patrimoniali delle organizzazioni criminali che vengono sequestrati, confiscati e recuperati all’uso sociale. Ci si aspetterebbe che la classe politica incentivasse l’utilizzo delle intercettazioni, ma da 20 anni periodicamente riemerge il tentativo di limitarle. Basti dire che per sottoporre ad intercettazione un parlamentare bisogna chiedere l’autorizzazione del parlamento. Una norma palesemente ipocrita, poiché non ha alcun senso intercettare una persona che sa di essere intercettata. In nome del diritto alla privacy abbiamo lasciato ampio spazio a chi nella assoluta privacy fa i propri affari criminali. Con il supporto di una classe politica miope e fortemente compromessa. La Costituzione (art. 48) non consente ai condannati con sentenza definitiva di votare. Nessuno dei costituenti avrebbe immaginato che i condannati potessero candidarsi ed essere eletti, con voto democratico.
Ultima nota: secondo la Costituzione non si potrebbe votare anche per incapacità civile e per indegnità morale. Enrico Berlinguer nel 1981 disse: “La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell’amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell’Italia d’oggi, fa tutt’uno con l’occupazione dello Stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt’uno con la guerra per bande, fa tutt’uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano”. Sono trascorsi 32 anni, ma a quanto pare la situazione è peggiorata. E purtroppo sulla scena politica attuale non si vedono personalità politiche paragonabili ai Costituenti (Dossetti, La Pira, ecc.) e nemmeno a Berlinguer. Non c’è più una visione collettiva e un’idea di comunità, un senso di giustizia e di equità, il sentire il dovere inderogabile della solidarietà e il compito di rimuovere le cause dell’ineguaglianza. La parola d’ordine prevalente sembra essere: ognuno per sé. Ma allora chiamiamola con il suo nome: “legge della giungla” e non più “civiltà”. Povera Italia.