Il 7 dicembre 2024, mentre il presidente del Senato Ignazio La Russa e la senatrice Liliana Segre dal palco reale della Scala di Milano applaudivano per 12 minuti la Forza del destino di Verdi, a Parigi, 5 anni e sei mesi dopo l’incendio improvviso che il presidente Macron aveva comunicato con la frase: «Con Notre Dame brucia una parte di noi», aggiungendo, dopo un eroico sforzo dei vigili del fuoco, che in cinque anni l’avrebbero ricostruita. Effettivamente l’obiettivo che pareva impossibile si è raggiunto. È il frutto dell’emozione, della solidarietà, della fantasia, dell’alta tecnologia, di squadre di specialisti impegnati in un lavoro di oltre 5 anni, giorno e notte, della generosità proveniente da tutto il mondo: 340.000 donatori, 843 milioni di euro, 146 in più rispetto ai costi effettivi per la ristrutturazione; partecipazione di popolo, di autorità religiose e politiche di moltissimi paesi. Tra questi erano in vetrina Trump, non ancora insediato alla Casa Bianca, Zelensky, presidente dell’Ucraina, ancora sotto le bombe della invasione di Putin, e i nostri presidenti Mattarella e Meloni, su invito di Macron.
L’arte, la scienza, la volontà di preservare un simbolo pluricentenario, che non è solo un museo, ma un capolavoro di arte gotica e di spiritualità cristiana, che richiama anche uno dei simboli dell’Ue (Si pensi alle 12 stelle della nostra bandiera, la cui ispirazione è venuta dal «segno grandioso» della donna incinta con sul capo una corona di 12 stelle, di cui parla l’Apocalisse), sono riuscite a produrre «miracoli» che la politica e la diplomazia non riescono a realizzare nell’ambito delle istituzioni che sono state volute per questo. Di fatto l’edificio etico-giuridico che si iniziò a costruire negli anni ’45-48 si sta gravemente lesionando, per le volontà di potenza, l’odio, le oltre 50 guerre che ci affliggono.
Il 10 dicembre, oltre 7.000 studenti e insegnanti italiani si sono collegati in una Conferenza su «La cura dei diritti umani», promossa dal Centro di Ateneo per i diritti umani «A. Papisca», dalla Cattedra Unesco democrazia e pace dell’Università di Padova (Marco Mascia), e dalla Fondazione PerugiAssisi per la cultura della pace (Flavio Lotti). Questi hanno invitato tutti a riflettere su tre parole chiave, dalla cui comprensione e dal cui corretto utilizzo dipende la nostra possibilità di fermare la nostra corsa verso il baratro: impunità, effettività, legalità. L’impunità dice Antonio Guterres, segretario Generale dell’Onu, significa che un numero crescente di governi si sente in diritto di calpestare il diritto internazionale e di violare la Carta dell’Onu, le convenzioni internazionali sui diritti umani e le decisioni dei tribunali internazionali, senza che nulla accada.
L’impunità alimenta le disuguaglianze, colpisce in modo sproporzionato i più vulnerabili, e mina la fiducia nelle istituzioni democratiche e nel diritto interno e internazionale. La responsabilità di indagare e punire le brutali atrocità come il genocidio, i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra è un obbligo giuridico per gli Stati. Né la ragion politica né la ragion di Stato possono essere invocati per non rispettare questo obbligo. La rivendicazione di coloro che soffrono dittature e miseria fa l’effettività del Diritto internazionale dei diritti umani in misura non meno rilevante delle sentenze dei tribunali. È la coscienza profonda dei membri della famiglia umana, in particolare dei più deboli e vulnerabili, che si fa tribunale supremo» (Antonio Papisca).
L’effettività del diritto internazionale dei diritti umani deriva dall’interazione tra molteplici attori, norme e istituzioni situate a diversi livelli di governance, «dalla Città all’Onu». Cruciale è la mobilitazione sociale, educativa e l’attivismo della società civile e la loro interazione con le istituzioni internazionali di garanzia. I governi hanno l’obbligo di far funzionare queste istituzioni che sono fondamentali sulla via della costruzione della pace nella giustizia.
Nel nostro paese gli Statuti comunali si stanno appropriando del diritto internazionale dei diritti umani e operano per calarlo ai livelli della vita quotidiana, facendosi così diretti assertori dell’effettività di norme cui la stessa Costituzione della Repubblica Italiana si conforma secondo quanto disposto dagli articoli 10 e 11. «La legalità non è un obiettivo: l’obiettivo è la giustizia sociale, la legalità è il mezzo non il fine. Non ci potrà mai essere giustizia e pace fino a che non ci saranno uguali diritti. Per il bene di tutti, e non per i privilegi di qualcuno. Non c’è legalità senza uguaglianza» (Don Luigi Ciotti). La legalità definisce il perimetro delle libertà individuali. Indica lo spazio entro il quale un individuo può esercitare la sua libertà senza violare la libertà altrui. Legalità significa che la forza della legge deve prevalere sulla legge della forza. Perché ci sia legalità c’è bisogno di responsabilità e giustizia… La responsabilità è la legalità agita: non implica solo la conoscenza delle regole e il rispetto dei propri doveri ma anche la volontà e la capacità di agire in prima persona per l’attuazione dei principi costituzionali e universali di solidarietà, giustizia e uguaglianza.
Fonte: Il Giornale di Brescia – 17 dicembre 2024