Il coraggio di cambiare e di seguire le vie strette

Il debito pubblico non è solo un numero e non è nemmeno una casualità o una sciagura piovuta da chissà dove di cui dare la colpa a chissà chi. Il debito è una scelta politica, una sintesi di scelte politiche, non sempre, ahinoi, nobili o anche solo lungimiranti. Ed è anche, per certi aspetti, lo specchio di alcune delle peggiori abitudini diffuse qua e là nel Paese. Ad esempio, evadere le tasse. Già si sente in lontananza l’obiezione fastidiosa di chi «legittima» questa pratica con la scusa di una pressione fiscale troppo elevata, ma senso civico vuole che prima le tasse si paghino tutte e da parte di tutti e poi, nel caso, si discuterà, correttamente, di abbassarle. 

Cosa c’entra con il debito? C’entra: più tasse realmente versate sono più entrate per lo Stato, ovvero più soldi a disposizione per pagare la spesa pubblica, quindi meno deficit (la differenza fra entrate e spese), di conseguenza minor bisogno di indebitarsi per avere le risorse necessarie a far funzionare i servizi. Banale? Può darsi, ma dà l’idea di come il debito sia una questione che ci riguarda molto da vicino perché – non è mai di troppo ricordarlo – lo Stato siamo noi, noi che ci abbattiamo o ci arrabbiamo, dipende, quando non troviamo posto per una visita medica specialistica con il Servizio sanitario nazionale o quando dobbiamo portare le risme di carta a scuola per la stampante. Un debito pubblico che sfiora i 3mila miliardi e che ci costa ogni anno grosso modo 80 miliardi di interessi prosciuga finanze che potrebbero essere meglio investite nella sanità e nella scuola, giusto per fare due esempi.

Altra cattiva abitudine che si ravvisa spesso in giro è ascoltare chi grida di più, chi promette di più, chi la spara più grossa, comprimendo il più possibile gli spazi di ragionamento che potrebbero svelare l’inganno. Ascoltare chi propone, invece, riflessioni serie e, spesso, soprattutto nella situazione attuale, strade strette da seguire è più difficile. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ad esempio, alla vigilia della discussione sul Piano strutturale di bilancio, ha prospettato rendite catastali più alte per chi ha usufruito del Superbonus: apriti cielo, subito si è visto costretto a correggere il tiro. Per inciso, neanche al lunapark ti restituiscono più di ciò che hai speso ma tant’è, secondo Conte tutti avrebbero dovuto guadagnarci dal miracolo edilizio. Tutti tranne lo Stato, cioè noi.

Sempre Giorgetti, nella Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza del 2023, ha scritto altre valutazioni che vanno nella direzione della strada stretta. In questo caso si parla di spesa pensionistica, una delle voci più pesanti dei nostri conti pubblici. Facendo riferimento alle misure introdotte in un quindicennio, dal 1995 al 2011, dalla riforma Dini alla riforma Fornero, dal regime contributivo all’innalzamento dei requisiti per la quiescenza, la Nadef sottolinea che «hanno migliorato in modo significativo la sostenibilità del sistema pensionistico nel medio-lungo periodo, garantendo una maggiore equità tra le generazioni». Non avete letto male, c’è scritto proprio così. Viceversa, la Quota 100 di salviniana memoria, recita sempre la Nadef, ha determinato «un sostanziale incremento del numero di pensioni in rapporto al numero di occupati», con conseguente aumento della spesa pensionistica, che nel 2020 ha raggiunto un picco del 16,9% sul Pil, complice anche la battuta d’arresto dell’economia causata dalla pandemia, e ora viaggia attorno al 16%.

Ecco, distribuire la spesa pensando ai giovani, ridurre il debito per non farlo pagare a loro e lavorare per la crescita del Paese – se il Pil dovesse aumentare più di uno striminzito zero virgola è chiaro che il peso del debito diminuirebbe – dovrebbero essere traiettorie indiscutibili. Certo, ci vuole coraggio, il coraggio di scelte politiche che sappiano indirizzare bene la spesa pubblica su ciò che costruisce il futuro del Paese in un contesto europeo che, per fortuna, in tutti questi anni ci ha aiutati a non deragliare.

Fonte: questo articolo è l’introduzione dell’inserto “domenica” del 27 ottobre 2024 de L’Eco di Bergamo. L’inserto completo si può leggere qui.