Il governo Berlusconi-Tremonti nell’ottobre 2011 aveva alzato l’aliquota ordinaria dell’IVA di un punto, passando dal 20 al 21%. Inoltre, aveva programmato un ulteriore aumento di 2 punti per le due aliquote IVA più elevate (quella al 21 e quella ridotta al 10%), se i conti dello Stato non fossero “tornati”.
Il governo Monti con la legge di stabilità ha deciso di dimezzare l’aumento dell’IVA: di conseguenza a partire dal 1° luglio 2013 le nuove aliquote saranno del 22% e dell’11%. Potremmo concludere che l’aumento dell’IVA non è positivo, ma anche che sarebbe potuto capitare di peggio, come era nelle intenzioni del governo precedente.
Il governo Monti, però, non si è limitato ad aumentare l’IVA di un punto; ha anche abbassato l’IRE-IRPEF, cioè l’imposta sui redditi delle persone fisiche di un punto per i due scaglioni più bassi, che nel 2013 scenderanno dal 27 al 26% e dal 23 al 22%. Molti si sono chiesti: che senso ha questa decisione e chi ci guadagna?
Si tratta di una scelta che è chiaramente in linea con la politica economica dell’ex ministro Tremonti, che aveva proposto di spostare la tassazione dalle persone alle cose. Detta così sembra una buona idea. In realtà è l’opposto dei principi che hanno ispirato il criterio di progressività del sistema tributario prescritto dall’art. 53 della Costituzione.
L’IVA è un’imposta indiretta e perciò proporzionale, che tutti pagano indipendentemente dal reddito. Per chi ha un reddito elevato l’aumento dell’1% dei beni di consumo non cambia la qualità della vita. Per chi fa fatica ad arrivare con i soldi necessari alla fine del mese, l’aumento è significativo. Viceversa le aliquote IRPEF, essendo questa un’imposta diretta, dovrebbero servire a recuperare la progressività costituzionale. Ma abbassando di un punto i primi due scaglioni IRPEF, si abbassano le tasse a tutti, perché anche i più ricchi usufruiscono delle aliquote del primo e del secondo scaglione.
Quindi, si tratta di una manovra a somma zero? Purtroppo no: il risultato (paradossale?) è che tutti pagheranno l’aumento dell’IVA, poiché tutti i cittadini sono “consumatori”. Mentre il beneficio della riduzione dell’IRPEF si applicherà totalmente per chi ha redditi che superano i primi due scaglioni, parzialmente per chi è nel secondo scaglione, ancor meno per chi è nel primo e per nulla per i cosiddetti “incapienti”, quelli che hanno un reddito talmente basso da essere esentati dal pagamento delle tasse e quindi dalla presentazione della dichiarazione dei redditi.
In altre parole, questa è “una manovra contro i più poveri”, come ha sottolineato con forza Ernesto Olivero, presidente delle Acli. Ma non è tutto. Il governo Monti riguardo alle deduzioni/detrazioni fiscali ha deciso di introdurre o aumentare le franchigie per molte tipologie di spese e di porre un tetto complessivo per la detraibilità. Questa scelta avrà almeno due effetti: diminuire le donazioni alle onlus e incentivare di fatto l’evasione fiscale. Stefano Zamagni, già presidente dell’Agenzia per le Onlus, in relazione all’introduzione di una franchigia di 250 euro sulla deducibilità delle donazioni ha segnalato che “in Italia un milione di persone dona in media 200-250 euro l’anno a una Onlus”, che di conseguenza non avranno più un vantaggio fiscale e saranno disincentivati ad effettuare la donazione.
Porre un tetto (di 3.000 euro) alla detraibilità è ancora più grave, perché significa che il contribuente non ha più alcun interesse a chiedere fatture o ricevute fiscali oltre la soglia fissata dal governo. Una norma che va nella direzione opposta alla richiesta di introdurre un vero conflitto d’interessi tra fornitore e cliente per contrastare l’evasione fiscale. Si tratta di una politica contraddittoria con altri provvedimenti presi di recente, per esempio con l’aumento dal 36 al 50% della detraibilità per le ristrutturazioni edilizie.
Non solo: è una manovra scorretta poiché retroattiva, sia perché si applica anche a chi ad esempio ha contratto negli anni precedenti un mutuo per l’acquisto della prima casa (e l’ha fatto contando sulla totale detraibilità degli interessi passivi), sia perché nelle intenzioni del governo tutto ciò dovrebbe valere anche per l’anno in corso (e questo è sicuramente un profilo a rischio di incostituzionalità).
In conclusione, è evidente che il governo in carica, per quanto nelle intenzioni abbia cercato di attenuare il danno causato dalle scelte del governo precedente, in realtà abbia totalmente sbagliato le modalità d’intervento. Anziché abbassare l’IVA (visto il danno causato da Berlusconi-Tremonti con l’IVA al 21%), aumentare l’IRPEF per le aliquote più alte (che in 30 anni sono scese dal 72 al 43%) e aumentare la possibilità di detrazioni/deduzioni (per fare emergere il sommerso e recuperare i soldi dell’evasione fiscale), il governo Monti ha deciso di fare l’esatto opposto, sostenendo paradossalmente di aver introdotto con questa manovra elementi di equità (se è uno scherzo, è di pessimo gusto).
Ultima cosa: Luigi Einaudi, che era un liberale, sosteneva che l’imposta che meno pesa sull’economia e sulla crescita è quella patrimoniale. Se “i conti non tornano” e non si vuole continuare “a far piovere sul bagnato”, è il caso che il governo dei tecnici se ne ricordi e prenda iniziative adeguate.