Restiamo con i piedi per terra, sembra dire il presidente Sergio Mattarella dal Forum Ambrosetti di Cernobbio. Fra realismo e sguardo inclusivo, indica tre piste.
La prima: abbattere il debito pubblico è una necessità per l’Italia. La seconda: l’Europa resta incompiuta. La terza: si riaffacciano nostalgie di un passato che spesso ci ha riservato tragedie. Mattarella esamina la zavorra del debito con una difesa dei fondamentali dell’Italia, del suo tessuto produttivo e dei suoi risparmi, essendo un «pagatore affidabile». Si pone però una domanda: è un vincolo esterno o piuttosto interno, come in realtà sarebbe? Di «vincolo esterno» si era parlato nei primi anni ’90 a inizio del percorso verso l’euro: mettere i conti a posto, volenti o nolenti, era il presupposto per entrare nel club della moneta unica.
Chiamando in causa il «vincolo esterno» si avvertiva però un misto di imposizione ed estraneità agli standard europei. Ora il Capo dello Stato ribalta la questione in chiave interna, parla di «necessità ineludibile», e del resto il debito pubblico (il totale di quanto le amministrazioni pubbliche hanno preso a prestito) e il suo uso politico sono parte essenziale delle strategie dei governi. Il debito non si risolve mettendolo da parte. Lo dicono i numeri per un’Italia già sotto infrazione (con Francia ed altri) per deficit eccessivo: il debito sfiora i 3 mila miliardi di euro, quasi il 140% del PIL, il secondo più alto in Europa dopo la Grecia. Uno dei grandi temi che affligge lo Stato da una quarantina d’anni, eppure il peso di questo macigno non entra nella coscienza dell’opinione pubblica che pure paga con le tasse gli interessi sul debito, ma non lo vede con gli occhi. Nel dibattito politico va e viene, sapendo che trattarlo adeguatamente significa sfidare l’impopolarità: chiedere per competenza all’economista Carlo Cottarelli, già commissario straordinario per la revisione della spesa. Il richiamo del presidente coglie una debolezza strutturale del sistema in una fase in cui il cambio di stagione introduce un nuovo paradigma della politica economica. L’Italia non tiene il passo dell’Europa, che pure è più lento di quello del mondo. La congiuntura del continente non è incoraggiante e la profondità della crisi economica (e politica) della Germania, il grande malato, ci coinvolge direttamente perché siamo nella stessa squadra. Con le nuove regole europee, la prossima legge di bilancio copre non uno ma 7 anni.
Serve una prospettiva. Come ha detto recentemente il governatore di Bankitalia, Fabio Panetta, «affrontare il problema del debito richiede un piano credibile volto a stimolare la crescita e la produttività, e nel contempo a realizzare un graduale e costante miglioramento dei conti pubblici». Siamo dentro un percorso di rientro dei conti già scritto che nel giro di qualche anno dovrà portarci dall’attuale 7% del rapporto deficit-PIL al 3%. Significa una politica restrittiva di bilancio: non possiamo fare altro deficit, solo ridurlo. Certo, dalla nostra abbiamo il Pnrr ma va messo a terra in maniera appropriata, consapevoli – per quanto non si sia all’anno zero – che l’investimento di Bruxelles richiede riforme strutturali. «Non bisogna avere paura delle riforme», incalza Mattarella e questo vale su scala nazionale e continentale. Elogia le «scelte di discernimento significative», come il Next Generation EU (da qui il nostro Pnrr), il primo banco di prova verso un passaggio decisivo sulla via della solidarietà e l’Italia, il maggior beneficiario, ha la grossa responsabilità di non farlo fallire: la prima volta di un debito comune per realizzare quel che da soli non si riesce a fare, rilanciata dal presidente. Affermare che l’Europa è incompiuta vuol dire spronarla perché guardi avanti, verso un’architettura sempre più perfezionata e inclusiva di quei popoli in lista d’attesa per entrare nel sodalizio. Questo è il crocevia dove incontriamo i Rapporti di Enrico Letta e Mario Draghi, volti a un cambiamento radicale per spingere il mercato unico e la competitività nella cornice di una maggiore integrazione politica, che per molti Paesi resta un tabù. Mattarella sta oltre le miserie della cronaca, anche perché questa rema contro: dalla Francia che sta rimediando in extremis un «governo di unità», fatto inedito per la Quinta Repubblica, alla Germania sotto schiaffo dopo il terremoto elettorale in Turingia e Sassonia.
Ecco la grande questione democratica che sta strapazzando un po’ tutti i Paesi a cominciare dai due Grandi, ma che esige la responsabilità di tutti per contrastare le nostalgie di un terribile passato. «Tocca alle forze della società civile, nella loro interezza, essere consapevoli che difendere il quadro della civiltà in cui vivono, e che contribuiscono a definire, è compito che non soltanto li interessa ma li riguarda»: il passaggio va sottolineato, perché custodisce un salto concettuale di qualità. La politica non è tutto e i conti possono tornare se c’è la chiamata della comunità con le sue speranze e angosce. L’incontro fra i due mondi è la cittadinanza, una certa idea condivisa di società: per non dimenticare, per non relativizzare inquietanti derive, e soprattutto per difendere la convivenza civile e la «casa di tutti» dai nuovi apprendisti stregoni.