Il rapporto OCSE sull’economia italiana.
L’OCSE è un’organizzazione internazionale di studi economici, apolitica e apartitica, che svolge prevalentemente un ruolo di assemblea consultiva per la risoluzione dei problemi comuni dei 36 Paesi membri.
Nel suo rapporto annuale sull’economia italiana, diffuso la scorsa settimana, l’OCSE ha rilevato che i mali del nostro Paese sono l’alto debito e la bassa crescita economica e demografica.
Si tratta di considerazioni che sostanzialmente non contraddicono quelle elaborate dal nostro Governo nel programma ufficiale di finanza pubblica. Anche se i dati rilevati dai tecnici dell’OCSE sono più pessimisti, sia nella crescita a breve termine, che per quest’anno il MEF fissa a +1,2% e i tecnici dell’OCSE a +0,7%, e sia rispetto al debito pubblico, che l’OCSE calcola al 141,4% del PIL (1,2 punti sopra l’indicazione del Governo italiano). Inoltre, secondo l’OCSE, in assenza di interventi strutturali sui conti, il debito pubblico nel 2040 raggiungerà quota 180% del PIL.
La ricetta anti-debito proposta dall’Organismo internazionale prevede un contributo di solidarietà sulle pensioni più alte che non sono sostenute integralmente dai contributi versati (le vecchie pensioni calcolate integralmente col retributivo, che rendono mediamente di più di quanto avrebbero reso se fosse stato loro applicato il metodo contributivo, soprattutto se frutto di pensionamenti anticipati).
Inoltre, l’OCSE prescrive di “spostare le imposte dal lavoro alla proprietà e all’eredità” (leggasi, patrimoniale) e di continuare a contrastare l’evasione fiscale, anche abbassando il tetto sui pagamenti in contanti.
I provvedimenti assunti dal Governo italiano.
Iniziamo dall’ultimo punto. Rispetto all’abbassamento del tetto sui pagamenti in contanti, l’Italia è andata nella direzione opposta. Infatti, uno dei primi provvedimenti assunti dal nuovo Governo è stato quello di innalzare il tetto all’uso del contante (insieme all’eliminazione dell’uso della moneta digitale per i pagamenti sotto i 60 euro). Dal 1° gennaio 2023, infatti, la soglia per il trasferimento di denaro contante nel nostro Paese è passata da mille a cinque mila euro. La Corte dei Conti, in quella occasione, ha sottolineato che innalzare il tetto al contante contrasta con la necessità di fare emergere il nero “in quei settori rivolti al consumatore finale ove più diffusi sono i fenomeni evasivi. (…) Una riduzione dell’uso del denaro contante, il cui trasferimento – per definizione – non è tracciabile, potenzia l’azione di controllo e, ancora prima, rende le attività criminose più difficili da compiere”.
Un ulteriore provvedimento assunto dal Governo si chiama “concordato preventivo”.
Il testo approvato dal Governo prevede che lo Stato faccia all’imprenditore una proposta di imposte da pagare per i prossimi due anni.
Se l’imprenditore accetta la proposta, non dovrà pagare nulla in più, anche se poi i ricavi si rivelassero di molto superiori e per due anni di fatto non verrà più controllato.
Inoltre, il testo prevede una specie di evasione fiscale programmata; ovverosia, prevede che chi occulta meno del 30% degli incassi non decada dal beneficio del concordato preventivo. Il provvedimento appare iniquo sotto diversi punti di vista. Da una parte fa un regalo a quei lavoratori autonomi i cui incassi sono superiore a quelli fissati dal concordato e dall’altra penalizza tutti gli altri i cui incassi sono inferiori a quelli stabiliti dal Governo, perché li costringe a pagare più imposte di quelle dovute per scongiurare il rischio dei controlli fiscali.
Valutazioni e proposte
C’è una parola che piace molto a questo Governo, la parola è “differenziata”. Purtroppo, questa parola in un recente disegno di legge è stata usata a sproposito. Infatti, l’autonomia differenziata farà aumentare le diseguaglianze sociali tra le regioni e l’ovvia conseguenza sarà un ulteriore grave sgretolamento della coesione sociale.
Al contrario, il nostro Paese in questo momento avrebbe bisogno di provvedimenti normativi che facciano recuperare solidarietà e coesione sociale. Dunque, piuttosto che differenziare i territori, andrebbero differenziati i contribuenti.
Insomma, l’Italia non ha bisogno di un’autonomia differenziata, bensì di una “patrimoniale differenziata”.
Una patrimoniale che tassi in maniera “differenziata” i patrimoni degli italiani in ragione della loro congruità.
Più nel dettaglio, si tratta di mettere a confronto la somma dei redditi dichiarati nel più lungo arco di tempo consentito dal sistema informativo dell’anagrafe tributaria (gli ultimi quindici, venti anni) con l’intero patrimonio nella disponibilità del contribuente.
Nulla da temere per chi non ha “scheletri nell’armadio”, perché con questo metodo verrebbero alla luce solo i patrimoni intestati a prestanome, quelli provenienti da attività illecite e, in particolare, dall’autoriclaggio dell’evasione.
In questo modo ciascun cittadino contribuirebbe in modo molto diverso in base alla sua fedeltà fiscale. A tal proposito appare superfluo precisare che ogni anno l’evasione di imposte e contributi vale oltre 100 miliardi di euro.
Lo stesso discorso andrebbe esteso, come suggerito dall’OCSE, all’imposta di successione e donazione. Essa dovrebbe dipendere dalla congruità dell’asse ereditario al reddito dichiarato in vita dal de cuius.
Dunque, piuttosto che differenziare l’autonomia dei territori, andrebbero differenziati i contribuenti nei territori.