Prima di Natale, la Camera ha bocciato la ratifica della riforma del Meccanismo europeo di stabilità. Il direttore del MES, il lussemburghese Pierre Gramegna, ne parla qui per la prima volta in un’intervista.
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni dice che il MES è obsoleto. Si sbaglia o c’è un fondo di verità?
«Più di dieci anni fa, durante la grande crisi finanziaria, non c’era uno strumento per aiutare i Paesi che avevano perso l’accesso ai mercati finanziari — risponde Gramegna in eccellente italiano —. Per questo abbiamo creato il MES, che ha aiutato cinque Paesi con il suo sostegno finanziario. Il MES è un atto di solidarietà nato dalla necessità, come spesso succede in Europa: un altro esempio è il programma Next Generation EU nato durante la pandemia. Il rischio che un Paese o più Paesi perdano l’accesso ai mercati finanziari o che questo sia troppo oneroso esisteva prima, esiste oggi e esisterà anche domani. Il MES mi fa pensare a un’assicurazione anti-incendio: se uno ce l’ha e la casa non gli va a fuoco è molto felice, però non disdice l’assicurazione; viceversa, quando la casa brucia, è contento di essersi assicurato. In quel senso l’espressione “obsoleto” non mi appare la più adatta».
Da direttore generale del MES ha fatto un giro delle 20 capitali dell’area euro per discutere ulteriori adeguamenti della sua istituzione. Può parlarcene?
«Le situazioni evolvono e c’è bisogno di modernizzare il MES. Le crisi degli ultimi tre o quattro anni, dal Covid alle guerre, sono diverse da quelle di dieci o quindici anni fa. Oggi abbiamo a che fare con fenomeni esogeni. Sono situazioni che i fondatori del MES non avevano in mente, ma anch’esse implicano rischi di instabilità finanziaria senza che i Paesi ne abbiano alcuna colpa. Non per niente gli emendamenti al Trattato, così come ratificato da 19 Paesi, miravano a modernizzare il MES in vari modi».
Può essere più preciso?
«La novità principale prevede di creare un paracadute al fondo di risoluzione delle banche. Questo permette di sostituire l’intervento diretto con capitale azionario in singole banche, previsto oggi nel Trattato del MES attualmente in vigore. Poi c’è l’aspetto preventivo: gli strumenti sono già previsti, ma vanno semplificati per rispondere meglio ai bisogni dei paesi membri. Il terzo punto è che abbiamo un accordo con la Commissione europea per trovare sinergie e più efficacia nella gestione dei programmi. Purtroppo queste tre riforme adesso non possono entrare in vigore. L’ho spiegato ai venti Paesi. L’ho anche spiegato alla presidente Meloni e al ministro Giancarlo Giorgetti».
Lei che idee ha per modernizzare il MES come chiede anche Meloni, adeguandolo alle esigenze attuali?
«Prima di tutto, l’idea è di utilizzare appieno il nuovo trattato quando sarà ratificato. Ma nel dialogo sono emerse tante ipotesi. Ci sono Paesi che hanno ricordato di essere vicini geograficamente alla Russia e non lontani dalla guerra in Ucraina. Come può aiutare il MES? Oggi non è previsto. Alcuni Paesi hanno certe idee e vorrei poterle discutere ulteriormente. Purtroppo diventa difficile, visto che la modernizzazione decisa nel 2021 non può ancora entrare in vigore».
Quindi prima di qualunque nuovo adeguamento del MES, come chiede l’Italia, serve la ratifica delle riforme già concordate? O si può usare l’occasione della mancata ratifica italiana per riaprire di nuovo il trattato?
«È un nodo complicato. Come direttore generale devo ascoltare tutti e venti i Paesi, perché il MES funziona per consenso. Il Ministro Giorgetti ci ha spiegato all’Eurogruppo lunedì scorso che vorrebbe una modernizzazione ulteriore dell’istituzione. Però ci sono diciannove Paesi che dicono che loro la modernizzazione l’hanno già ratificata. Ovviamente la mancanza di una ratifica italiana rallenta la discussione su ulteriori passi avanti. Noi dobbiamo adesso valutare come si vuole muovere l’Italia nei prossimi mesi e vedere con i differenti Paesi come vogliono organizzare la discussione. Noi del MES siamo aperti a tenere le discussioni necessarie, però i 19 Paesi non sono molto rassicurati dall’apertura di un nuovo negoziato, se non si può chiudere quello che già è stato fatto. In particolare perché c’è questa questione sul punto più importante della modernizzazione già decisa: il paracadute che il MES prevede per aiutare il fondo di risoluzione delle banche se questo non ha più risorse sufficienti ad affrontare una crisi».
Ma lei è rimasto sorpreso dalla mancata ratifica italiana?
«Sì, perché abbiamo avuto un dialogo regolare con il governo italiano. E il momento del voto sulla ratifica è stato spostato parecchie volte, perché si diceva che tutto dipendeva da altri elementi. Noi avevamo letto tutto questo in un modo abbastanza positivo. Rispettiamo la decisione del parlamento italiano, anche se è all’opposto degli 19 altri Paesi. Il ministro Giorgetti ha sottolineato all’Eurogruppo lunedì scorso che legalmente il governo italiano può ripresentare la ratifica al Parlamento, dopo sei mesi. Non ha detto che lo farà e per quello penso dobbiamo utilizzare anche i prossimi mesi per capire come l’Italia vuole muoversi, in modo che io stesso e i governi dei 19 Paesi possano trovare soluzioni. Il MES è una struttura molto, molto forte, con 81 miliardi di capitale versato e una capacità di prestito fino a 500 miliardi. Sarebbe bene utilizzarlo al meglio».
In sostanza credeva che, dopo l’accordo sul nuovo Patto di stabilità, ci sarebbe stata la ratifica dell’Italia?
«Sì, è stato detto dal governo parecchie volte che vedeva un legame fra le due cose. Quando dunque si è fatto l’accordo, me l’aspettavo».
Ritiene possibile un accordo per un MES riformato a 19 Paesi, senza l’Italia?
«Non riesco a immaginarmi un MES dove l’Italia non sia presente. Anche perché il MES protegge tutti, inclusa l’Italia. Una soluzione a 19 mi sembra poco sana e da un punto di vista politico, ma anche del diritto internazionale, quasi impossibile».
Immaginiamo che ci sia una crisi bancaria. L’attuale Fondo di risoluzione formato con i contributi delle banche può bastare? O serve anche il MES?
«Dipende del tipo di crisi: se una crisi tocca una sola banca, o se questa banca è così grande da produrre un effetto domino su altre banche dello stesso Paese o di altri Paesi. Oggi il Fondo di risoluzione ha 80 miliardi di euro. Se il paracadute venisse approvato, il MES potrebbe intervenire a prestargli altri 68 miliardi. Poi il Fondo delle banche dovrebbe rimborsare il MES, dunque il denaro dei contribuenti è protetto. Oggi la situazione è tranquilla, ma le crisi possono arrivare all’improvviso. Guardiamo cos’è successo al Credit Suisse e quanto è accaduto in America la primavera scorsa».
Il parlamento italiano ha negato la ratifica perché il MES è molto impopolare in Italia. Siamo certi che questi sospetti siano tutti immeritati?
«La ragione principale che spiega questa reputazione un po’ difficile del MES si deve al programma per la Grecia, il Paese che abbiamo aiutato di più. La Grecia aveva seguito politiche finanziariamente non sostenibili e aveva perso accesso al mercato. Ha dovuto essere aiutata molto. E gli altri Paesi, come previsto nel Trattato, hanno chiesto ad Atene di fare certe riforme che hanno anche portato a una politica fiscale restrittiva. Ne abbiamo tratto delle lezioni, ci sono state cose che magari oggi faremmo diversamente. Però la Grecia oggi è uno dei Paesi che riduce di più il suo debito, ha una crescita tra le più alte d’Europa e ha ritrovato la fiducia dei mercati e delle agenzie di rating. Anche gli altri Paesi che hanno avuto programmi del MES stanno crescendo più della media dell’area euro».
(tratto da corriere.it – 20 gennaio 2024)