Trappola fossile per i Paesi poveri

“Debito nemico della transizione”

Mentre la transizione ecologica, in primis quella energetica, è universalmente avvertita come un’esigenza non più rinviabile, il Sud del mondo è ricacciato fra le braccia dei combustibili fossili in nome del debito. È quanto denuncia l’organizzazione inglese Debt Justice tramite il rapporto “The debt fossil fuel trap”.

Dal 2010 al 2021 il debito pubblico dei Paesi del Sud del mondo ha quasi raddoppiato il proprio peso sul PIL passando dal 35% al 60% del prodotto interno lordo. Un debito accresciuto non solo nei confronti di creditori interni, ma anche stranieri. Dal 2010 al 2021 la parte di debito pubblico verso i creditori esteri è aumentato di dieci punti percentuale passando dal 19% al 29% del prodotto interno lordo.

La conclusione è che dal 2011 al 2023 le somme sborsate dal Sud del mondo in pagamento del debito estero sono aumentate del 150%, toccando picchi mai raggiunti prima. La situazione potrebbe diventare anche peggiore in considerazione del fatto che i tassi d’interesse stanno crescendo e che la guerra in Ucraina sta spingendo verso l’alto i prezzi di cibo ed energia. Con effetti gravissimi per le popolazioni.

Le Nazioni Unite stimano che 3,3 miliardi di persone vivono in Paesi che spendono più per gli interessi sul debito che per sanità e istruzione. E poiché molte di queste somme vanno pagate in dollari o euro perché sono dovute a creditori esteri, il problema di ogni Paese è non solo quello di aumentare le proprie entrate fiscali, ma anche di accrescere gli introiti da esportazione.

Alcuni Paesi, ormai con un buon apparato industriale, possono cercare di spingere sulle esportazioni di manufatti, ma quelli meno industrializzati non hanno altra scelta se non quella di accrescere le esportazioni di risorse naturali compresi carbone, gas e petrolio.



Secondo una ricerca condotta dal New Climate Institute, all’incirca metà dei 76 Paesi meno sviluppati dispongono di combustibili fossili nel proprio sottosuolo e stanno programmando di estrarne di più per far fronte ai propri impegni finanziari. Del resto fra i creditori del Sud del mondo vi sono anche stati e imprese che per tutelarsi contro il rischio di mancati pagamenti hanno previsto la possibilità di essere pagati direttamente in natura tramite la consegna di petrolio o il trasferimento di proprietà dei pozzi detenuti dai governi debitori.

Un esempio è Glencore, multinazionale svizzera attiva nella produzione e commercio di una varietà di minerali compreso il petrolio. 

Nel 2013 prestò due miliardi di dollari al governo del Ciad pretendendo come condizione anche quella di diventare l’acquirente esclusivo del petrolio estratto dai pozzi petroliferi di proprietà governativa e di ottenere una compartecipazione nei due principali pozzi petroliferi del Paese.

L’assurdo è che molti Paesi, per avere più proventi da gas o petrolio da mettere al servizio del debito, prima devono indebitarsi per aprire nuovi giacimenti. Sta succedendo all’Argentina, che in Patagonia ha scoperto l’esistenza di giacimenti di gas sfruttabili con le nuove tecnologie così dette “fracking”. Varie imprese estere si sono fatte avanti per l’estrazione, ma solo in cambio di contributi pubblici a fondo perduto. Fra il 2016 e il 2018, lo Stato argentino ha speso 3,6 miliardi di dollari per contributi alle imprese estrattive, che in molti casi hanno coperto più del 50% dei loro investimenti. Soldi pubblici che hanno contribuito ad aggravare il debito estero dell’Argentina.

Lo stesso potremmo dire per l’Uganda che nel 2021 ha ottenuto un prestito da un miliardo di dollari dal Fondo Monetario Internazionale da usarsi principalmente per la costruzione di un gasdotto utile a trasportare il gas ugandese verso le coste della Tanzania. Nonostante le molteplici dichiarazioni di governi e istituzioni del Nord di non voler più finanziare l’estrazione di combustibili fossili, molti continuano a fornire prestiti per l’apertura di nuovi siti produttivi nel Sud del mondo. Secondo Debt Justice, fra il 2020 e il 2022 il sistema delle banche multilaterali, di cui la Banca Mondiale è capofila, ha concesso un totale di 10 miliardi di dollari per prestiti finalizzati all’estrazione di combustibili fossili. La storia ci dirà se per il Sud del mondo sia stato un affare indebitarsi per accrescere la produzione di combustibili fossili.

Ma fin d’ora possiamo dire che è un pessimo affare da un punto di vista ambientale perché le maggiori emissioni di anidride carbonica che ne deriveranno peggioreranno un quadro già grave. Giova ricordare che le alluvioni avvenute in Pakistan nell’estate 2022 devastarono l’esistenza di 33 milioni di persone uccidendone quasi duemila. Nell’Africa sub sahariana, invece, si assiste ogni anno al crescere del numero di affamati per scarsità di piogge.

Secondo le agenzie più accreditate, da qui al 2030 i Paesi del Sud del mondo dovrebbero investire all’incirca seimila miliardi di dollari per finanziare la transizione energetica e allo stesso tempo costruire le opere utili a ridurre l’impatto dei cambiamenti climatici. Ma complice il debito, questo traguardo è ben lontano dall’essere raggiunto. I Paesi del Sud del mondo spendono per il servizio del debito cinque volte di più di quanto non dedichino alle spese connesse ai cambiamenti climatici.

E pur trattandosi di piccole cifre, totalmente insufficienti alle necessità da soddisfare, contribuiranno anch’esse ad accrescere il debito del Sud del mondo perché la parola “dono” pare scomparsa dal vocabolario internazionale.

In apertura della Cop 28, è stato annunciato come un grande successo la costituzione di un fondo a disposizione dei Paesi più vulnerabili per il risarcimento dei danni provocati dai cambiamenti climatici. Ma al momento i contributi promessi non arrivano al miliardo di dollari. Quanto ai fondi, già operativi, per opere di mitigazione e adattamento, che nel 2021 hanno raccolto 73 miliardi di dollari, erogano principalmente prestiti. Nel 2021 solo il 27% dei contributi raccolti è stato offerto a fondo perduto.

Senza la riscoperta di una nuova solidarietà, la situazione si farà sempre più grave. Per tutti. Per questo la conclusione di Debt Justice è che per liberare il Sud del mondo dall’abbraccio mortale con i combustibili fossili e nel contempo permettergli di affrontare le sfide imposte dai cambiamenti climatici, dobbiamo cancellare il suo debito e sostenerlo con somme a fondo perduto. Potrebbe sembrare buon cuore. In realtà, è solo giustizia. È pagamento dei danni arrecati in cinque secoli di malsviluppo.

Fonte: https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/debito-nemico-della-transizione