“Poche storie, la Riforma fiscale è un incentivo a non pagare”

Nel giorno della “bagarre” sulla tassazione agli extraprofitti bancari, dopo il conseguente crollo dei relativi titoli in Borsa (9 miliardi di capitalizzazione bruciati, compensati dal rialzo odierno) può sembrare persino marginale occuparsi della Riforma fiscale che nella sostanza appare una evidente contraddizione dei provvedimenti del governo Meloni. Un governo che sembra aver riscoperto la questione sociale, sostenuto anche dalle dichiarazioni del leader della Lega Matteo Salvini sulla destinazione (aumento mutui, in particolare) del “prelievo” alle banche.

Fumo negli occhi? Desiderio di accreditarsi come novelli Robin Hood che tolgono ai ricchi per restituire ai poveri? Riequilibrio all’interno dei rapporti tra Lega e Fratelli d’Italia con i primi alla ricerca di nuovo consenso popolare con accenti populisti? Offrire risposte esaurienti non è semplice. Soprattutto non è semplice cercare di spiegare come i due provvedimenti possano essere messi in relazione, in primis, con i principi espressi dalla nostra Carta Costituzionale, come ha più volte ricordato nei suoi interventi Rocco Artifoni.[1]

Ma, andiamo con ordine. Con la sua definitiva approvazione parlamentare la legge delega di riforma fiscale ha tagliato in questi giorni il nastro di partenza per continuare il suo percorso e la sua concreta attuazione con l’emanazione dei decreti delegati entro i prossimi 24 mesi. Essa rappresenta, al momento, una sorta di “cornice” all’interno della quale dovranno essere definite, nel dettaglio, le norme che costituiranno l’insieme e non solo l’ossatura del nuovo sistema tributario. Una “cornice” non priva di incongruenze e in alcuni casi di contenuti particolari (“sostegno ai giovani che non hanno compiuto il trentesimo anno di età”) e affermazioni propagandistiche (per esempio, “casa” bene da tutelare, come sanità, istruzione e previdenza complementare) che non dovrebbero trovare spazio in una legge delega.

Gli effetti che produrrà sul fronte del gettito fiscale, ovvero sui circa 550 miliardi di euro di entrate fiscali del bilancio dello Stato, non sono noti perché saranno precisati solo nella relazione tecnica di accompagnamento ai vari decreti, in quanto la legge delega si limita a precisare, all’art. 22, che “dall’attuazione della delega non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, né incremento della pressione tributaria”.

Dal momento che il nuovo sistema porterà ad una “riduzione del carico fiscale” (Art. 2 c. 1°) occorre intanto chiedersi come questa riduzione troverà risorse alternative per finanziare la spesa pubblica e i servizi ai cittadini, visto che viene in modo esplicito esclusa qualunque introduzione di nuove imposte e tasse, né di revisione dei dati catastali e dell’imposta di successione, neppure per i miliardari. Anzi è prevista l’eliminazione di “micro-tributi” che concorre anch’essa a ridurre le entrate dello Stato. In sostanza: “meno tasse per tutti”, che equivale, visto che la spesa dello Stato si finanzia principalmente col gettito fiscale, ad una precisa volontà politica di limitare l’area del “welfare” spostando il finanziamento di servizi essenziali, come sanità e istruzione, verso il privato. “Meno tasse per tutti”, ma soprattutto per le fasce di reddito più elevate visto che la riduzione a tre scaglioni di reddito, rispetto ai quattro attuali, limita matematicamente la progressività dell’imposta.

Abbandonata l’idea della “flat tax” per i lavoratori dipendenti, (“riduzione IRPEF nel rispetto del principio di progressività e nella prospettiva della transizione del sistema verso l’aliquota impositiva unica”) la delega rimedia con la previsione di applicare una aliquota sostitutiva IRPEF e relative addizionali in misura agevolata su straordinari, premi di produttività e tredicesime di questi lavoratori. Un contentino a questi contribuenti bisognava pur darlo, viene da pensare con un pizzico di malizia!

Per contro le differenze presenti nell’attuale sistema pre-riforma tra trattamento fiscale dei lavoratori dipendenti e dei lavoratori autonomi e imprese, vengono definitivamente consolidate: ulteriori sgravi agli autonomi con l’aliquota secca del 15% e l’estensione della cedolare secca alle attività commerciali che agevolano i grandi patrimoni.

Ai lavoratori dipendenti il prelievo fiscale continuerà ad essere riscosso alla fonte, ad autonomi ed imprese il prelievo verrà “concordato” con essi attraverso la definizione di regole che evitano controlli e sanzioni con la consulenza dei propri commercialisti. In un Paese come il nostro, paese di “azzeccagarbugli”, dove l’evasione fiscale è stimata in oltre 100 miliardi all’anno e dove il fisco non riesce ad incassare più di 1100 miliardi tasse evase accertate, la norma rappresenta un incentivo a non pagare.

In un contesto come quello sopra delineato e nella prospettiva di evitare un probabile ulteriore aumento del debito dello Stato, non resta che augurarsi che la riforma fiscale della Presidente Meloni, come già accaduto per quelle di coloro che l’hanno preceduta a Palazzo Chigi, non giunga mai al suo traguardo. In caso contrario, le alternative possibili sono: ridurre la spesa pubblica o limitare l’applicazione della riforma a interventi sporadici compatibili con le risorse di bilancio disponibili di volta in volta. Situazione quest’ultima che contribuirà a rendere ancora più inefficiente e iniquo l’intero sistema che si vuole riformare.

[1]
– https://www.laportadivetro.com/post/fisco-al-rovescio-nuovi-criteri-di-gestione-delle-entrate-e-il-debito-pubblico-cresce 
– https://www.laportadivetro.com/post/umanità-dispersa-negli-abissi-dell-ingiustizia

Fonte: https://www.laportadivetro.com/post/poche-storie-la-riforma-fiscale-è-un-incentivo-a-non-pagare