Mentre la Banca d’Italia ci informa che a maggio il debito pubblico italiano ha raggiunto la ragguardevole cifra di 2’816 miliardi di euro (147% del PIL), le Nazioni Unite ci mettono in guardia rispetto al debito pubblico mondiale che ha ormai raggiunto i 92mila miliardi di dollari, un ammontare pari al 91% del prodotto lordo globale. Attraverso un rapporto appena pubblicato, segnala che il debito pubblico cresce molto più in fretta della produzione: dal 2000 ad oggi il debito pubblico mondiale è cresciuto più di cinque volte, il prodotto lordo solo tre volte. E a crescere di più sono stati i debiti dei governi del Sud che fra il 2010 e il 2020 si sono triplicati, mentre quelli del Nord sono cresciuti del 50%. In termini di volume la parte più consistente del debito pubblico grava sui governi del Nord: una cinquantina di Stati che complessivamente ospitano un miliardo di persone (12,5% della popolazione mondiale), a cui è garantito un reddito medio pro capite di 55mila dollari l’anno.
La loro parte di debito pubblico ammonta a 64mila miliardi di dollari, il 70% del debito pubblico complessivo. La restante parte è suddivisa fra tutti gli altri Paesi anche detti del Sud del mondo. Con una popolazione di sette miliardi di persone (87,5% della popolazione mondiale), a cui è garantito un reddito medio pro capite di 7mila dollari l’anno, il debito pubblico di questa parte di mondo ammonta a 28mila miliardi di dollari. La Cina, con 14mila miliardi di dollari, detiene all’incirca la metà dell’intero debito del Sud del mondo. In rapporto al PIL, mediamente il debito pubblico dei Paesi del Nord ammonta al 111%; quello dei paesi del Sud al 67%. Ciò nonostante, i Paesi del Nord se la cavano meglio perché la loro situazione economica è più solida: producono di più, esportano di più, le loro valute sono spesso utilizzate per i pagamenti internazionali, per cui hanno maggiore accesso ai mercati finanziari internazionali.
Diversa la posizione di molti Paesi del Sud, in particolare quelli dell’Africa subsahariana, con alti tassi di economia informale e quindi scarsi introiti fiscali, forte dipendenza verso l’estero per i beni essenziali e quindi alta esposizione alle oscillazioni dei prezzi internazionali, necessità di contrarre prestiti in dollari o in euro con conseguente dirottamento di gran parte degli introiti da esportazioni al pagamento del servizio del debito. Dal 2010 al 2021 il debito pubblico dei Paesi del Sud del mondo ha quasi raddoppiato il proprio peso sul PIL passando dal 35% al 60%. Un debito accresciuto non solo nei confronti di creditori interni, ma anche stranieri. Dal 2010 al 2021 la parte di debito pubblico verso i creditori esteri è aumentato di dieci punti percentuale passando dal 19% al 29% del PIL. E se un tempo i creditori esteri erano prevalentemente soggetti pubblici (governi e banche multilaterali), ora sono prevalentemente entità private: banche, fondi d’investimento, società assicurative.
Nel 2010 i creditori privati detenevano il 47% del debito pubblico del Sud del mondo verso l’estero, oggi ne detengono il 62%. Il che è una delle ragioni per cui il debito contratto dal Sud del mondo si sta facendo sempre più costoso. Per i privati, infatti vige solo la legge di mercato, una legge strana che in nome del rischio applica ai poveri tassi più alti che ai ricchi. Una volta Mario Draghi disse che esistono debiti buoni e debiti cattivi. Sono buoni se usati per investimenti produttivi, cattivi se usati per consumi correnti. Ma se è troppo costoso il debito è sempre cattivo, perché finisce per alimentare se stesso. Non avendo abbastanza soldi per pagare gli interessi, il debitore cerca di pagarli ricorrendo a nuovo debito. Ma nuovo debito produce nuovi interessi che a loro volta producono altro debito in una spirale senza fine.
La fine arriva col fallimento, ma nel frattempo la condizione dei cittadini peggiora perché i governi si autoimpongono politiche di austerità nel tentativo di tenere il passo con gli interessi. Che tradotto significa tagli alla sanità, all’istruzione, alla viabilità e a ogni altra spesa utile allo sviluppo del Paese. Il rapporto delle Nazioni Unite certifica che nel Sud del mondo 19 Paesi spendono per interessi più di quanto spendano per l’istruzione e ben 48 più di quanto spendano per la sanità. Complessivamente la salute di 3,8 miliardi di persone è sacrificata sull’altare del debito. Una situazione che non conviene a nessuno, neppure ai ricchi, perché il Covid ha dimostrato che in un mondo globale certe malattie fanno presto a trasformarsi in pandemie.