Messo in ombra da notizie internazionali e nazionali di rilievo, dalla guerra in Ucraina e dai violenti scontri sociali in Francia alla nuova emergenza migranti – sempre la stessa, finché non si andrà all’origine del fenomeno – è passato sotto silenzio o confuso nelle pagine interne dei quotidiani e dell’informazione più in generale, il disegno di legge contenente delega al Governo per la riforma fiscale [1], deliberato dal Consiglio dei Ministri il 16 marzo 2023, che ha concluso il 29 giugno il suo iter in Commissione Finanze. Ora la discussione in aula del testo è prevista per il 10 luglio. L’esame è stato limitato ai primi 13 articoli, lasciando al Senato la modifica dei restanti sette. Per l’approvazione definitiva della legge servirà quindi una terza lettura.
Le modifiche approvate dalla Commissione Finanze (di cui si dirà non appena disponibile il testo emendato) risultano, secondo quanto pubblicato dai media, poco significative rispetto al testo iniziale, ma continua a rimanere assente dal provvedimento la revisione dell’imposta di successione, di cui si prevede, all’art. 10 nel testo inviato alla Commissione, il solo passaggio al sistema di autoliquidazione.
L’imposta di successione italiana è una delle più basse al mondo, prima che il governo Berlusconi nel 2001 la eliminasse del tutto. Non a caso. Venne poi reintrodotta nel 2006 dal governo Prodi, con l’aliquota, tuttora vigente, del 4% e l’esenzione totale del primo milione di euro.
La lezione di Luigi Einaudi
La proposta di Enrico Letta di rendere più pesante, per certi patrimoni, l’imposta ha riaperto nel Paese il dibattito su una sua riforma non venuto meno anche dopo l’arrivo a palazzo Chigi di Mario Draghi nel 2021: “questo non è il momento di prendere soldi ai cittadini, ma di darli”. I sostenitori di una revisione dell’imposta, anche sulla scia dell’autorevolezza del pensiero di Luigi Einaudi – figura più importante della scuola politica liberale italiana, cui Berlusconi diceva di ispirarsi – hanno più volte invocato la concezione che egli aveva dell’uguaglianza nei punti di partenza, che ha rappresentato una costante nel corso della sua vita di economista e statista.
In sintesi: l’imposta deve limitare le ricchezze possedute per eredità perché “in una società sana e duratura i giovani debbono poter partire da situazioni non troppo disuguali”. Tale obiettivo si realizza dando a tutti la possibilità di studiare senza spese a carico delle famiglie. “A nessuno deve essere vietato, solo perché è povero, di arrivare ai gradi più alti della gerarchia sociale od, in ogni modo, di farsi valere per quel che veramente egli vale. Ma il fine si ottiene altresì decimando le fortune acquisite da tempo, cosicché i nipoti ed i pronipoti di chi formò una fortuna, non possano valersene se non in parte ed alla fine non possano valersene affatto, nella gara per la vita”[2].
La seconda esigenza, secondo il pensiero di Luigi Einaudi, che deve assolvere l’imposta successoria è che deve essere congegnata in modo tale che gli eredi, ad ogni trapasso a causa di morte, siano costretti a trasferire allo Stato una porzione sempre più grande della fortuna ricevuta e quindi ad essere capaci di ricostituire tale onere con il loro lavoro e con il risparmio al fine di preservare il patrimonio ricevuto per eredità.
Francia, Germania e Italia a confronto
C’è una terza esigenza, sottolineata da Luigi Einaudi, più di natura contabile. “In se stessa considerata, l’azione della imposta di successione è deleteria” se lo Stato consuma il suo provento in spese pubbliche correnti perché nulla si crea nel patrimonio pubblico che andrà a sostituire quello privato. “Da una parte prelievo sui patrimoni privati, dall’altra mancata sua ricostituzione sotto forma di patrimonio pubblico. Ciò vuol dire decadenza, diminuzione della produttività delle terre, delle case, dell’industria”.
La teoria di Luigi Einaudi non ebbe e continua a non aver fortuna nel Bel Paese: nel 2022, la stessa Corte Costituzionale ha dichiarato l’attuale tassazione conforme alla Costituzione e, in particolare ai diritti della famiglia (art. 129) e alla continuità aziendale con buona pace della dottrina liberaldemocratica.
Quindi l’imposta di successione italiana continua a rappresentare un notevole vantaggio per chi dispone di grandissimi ricchezze, come nel caso più recente, di Silvio Berlusconi che ha lasciato un patrimonio ai propri eredi stimato in oltre 6 miliardi di Euro. Secondo l’attuale regime fiscale lo Stato italiano dovrebbe ricevere circa 240 milioni di Euro (4%). Se Silvio Berlusconi fosse stato un cittadino francese lo stesso patrimonio avrebbe fruttato alle finanze di quel Paese 2,7 miliardi (45%), invece, se fosse invece nato in Germania i suoi eredi ne avrebbero pagati 1,8 miliardi. Criteri e sistemi diversi, concetto di equità decisamente opposto.
Note
[1] AC 1038 e AC 75 (Dossier XIX Legislatura – 19 aprile 2023)
[2] Risorgimento liberale”, 6 marzo 1946. – “L’Opinione, 9 marzo 1946”.