Dopo la caduta del muro di Berlino, illustri economisti italiani come Federico Caffè, Siro Lombardini e Paolo Silos Labini evidenziarono che sul piano economico la caduta del «comunismo» era stata principalmente determinata dalla sua incapacità di creare ricchezza. Ciò aveva di fatto reso impossibile realizzare quei programmi di redistribuzione dei redditi che rappresentavano l’obiettivo primario del regime.
La vittoria del «capitalismo», invece, era dovuta proprio alla sua indubbia capacità potenziale di produrre ricchezza. Quegli stessi economisti, però, tennero a evidenziare la necessità per i Paesi capitalistici d’impegnarsi per la redistribuzione di una parte della ricchezza prodotta, onde evitare squilibri sul piano sociale che avrebbero potuto compromettere la tenuta stessa del sistema. Questo ammonimento, condiviso da altri celebri economisti americani, è rimasto a lungo inosservato anche dopo la grave crisi finanziaria del 2008. Si è riproposto, però, all’attenzione degli operatori economici e dei Capi di Stato dei più importanti Paesi occidentali dopo i gravi squilibri socioeconomici prodotti dalla pandemia di Covid-19.
Al World Economic Forum tenutosi a Davos il 17 gennaio 2022, è stata recapitata una lettera appello di 102 super ricchi, rivolta a tutti i colleghi capitalisti, nella quale, tra l’altro, si diceva: «La maggior parte di noi può dire che, mentre il mondo ha attraversato una quantità immensa di sofferenze negli ultimi due anni, abbiamo effettivamente visto la nostra ricchezza aumentare sensibilmente. Questa ingiustizia, incorporata nelle fondamenta del sistema fiscale internazionale, ha creato una colossale mancanza di fiducia tra la gente del mondo e le élite che sono gli architetti di questo sistema. Per tutto il nostro benessere, ricchi e poveri, è il momento di affrontare la diseguaglianza e scegliere di tassare i ricchi».
L’iniziativa dei 102 super ricchi era stata sollecitata da una denuncia di OXFAM, un movimento di milioni di persone che lottano contro le diseguaglianze, nella quale si evidenziava come dall’inizio dell’emergenza Covid-19 «ogni 26 ore un nuovo miliardario si è unito ad una élite composta da oltre 2’600 super ricchi, le cui fortune sono aumentate di ben 5’000 miliardi di dollari, in termini reali, tra marzo 2020 e novembre 2021». Proprio in collaborazione con OXFAM, gli stessi 102 super ricchi hanno proposto «un’imposta sul patrimonio progressiva, a partire dal 2% per chi ha più di 5 milioni di dollari fino a salire al 5% per i miliardari». Con questa proposta si proponevano di «raccogliere oltre 2’500 miliardi a livello globale per portare 2,3 milioni di persone fuori dalla povertà e garantire assistenza sanitaria e protezione sociale a tutti quelli che vivono nei Paesi a basso reddito». L’iniziativa non ha avuto riscontri significativi, visto che solo l’Argentina e la Colombia hanno attuato incrementi d’imposte per i più ricchi. Tuttavia, nel febbraio scorso Joe Biden, presidente del principale Stato capitalista del mondo, nel Discorso sullo Stato dell’Unione ha annunciato «una tassa minima del 20% sui super ricchi, la quadruplicazione della tassa sul riacquisto delle azioni societarie e un incisivo intervento sugli extraprofitti di Big Oil e Big Pharma». In particolare, ha promesso che «nessuno che guadagna meno di 400mila dollari all’anno vedrà aumentare le tasse, nemmeno di un centesimo, ma che saranno chiuse tutte le strade che consentono ai molti ricchi di non pagare le tasse».
Le sue parole hanno creato scompiglio tra le fila dei repubblicani che si impegneranno certamente a rendergli la vita difficile. Appare emblematico che nel nostro Paese, che vanta un’evasione annua di oltre 100 miliardi di euro, le iniziative fiscali di Biden non siano state prese in considerazione dal governo. La legge delega recentemente varata si propone di ridurre le imposte introducendo novità in materia di IRPEF, IRES, IVA, IRAP e Statuto del contribuente. Non indica, però, quali saranno le coperture e, per alcuni aspetti, non appare ancorata ai principi di «progressività» previsti dalla Costituzione. È riprovevole, peraltro, che gli appelli di Davos e i programmi di Biden non siano stati presi in considerazione dalle forze di opposizione e non abbiano avuto sufficiente risalto da parte dei mezzi d’informazione.