Nella Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza, o NADEF, il governo Draghi, oltre alle previsioni tendenziali per il triennio 2023-2025, ha indicato i dati pressoché definitivi del 2022.
Quest’anno il Pil italiano crescerà del 3,3% che si aggiunge al 6,7% del 2021. Ciò significa che abbiamo recuperato il buco del Covid che nel 2020 aveva ridotto il nostro PIL del 9 per cento. A fine anno avremo pertanto un PIL reale pro-capite pari a circa 27’400 euro, uguale a quello del 2019, ma purtroppo anche a quello che avevamo nel 2000. Si certifica quindi che il nostro reddito pro-capite è fermo da 22 anni.
Con una differenza però. Nel 2000 i nostri 27’400 euro erano superiori alla media dell’Unione europea del 20% e alla media dell’area euro del 3 per cento. Poiché tutti gli altri Paesi europei hanno aumentato, chi più chi meno, il loro reddito pro-capite, nel 2022 quei nostri 27’400 euro risultano inferiori del 7% alla media UE e del 15% rispetto alla media dei Paesi dell’euro. Se negli anni futuri l’economia italiana dovesse crescere dell’1% all’anno, il nostro PIL pro-capite non raggiungerebbe mai più la media europea. Se dovessimo invece crescere al 3% all’anno potremmo riportarci alla media dell’Unione Europea nel 2032 e a quella dei Paesi euro nel 2037.
Questa è la dimensione della sfida sulla crescita strutturale che il nuovo governo e tutti noi abbiamo di fronte.
Sui dati ufficiali del bilancio pubblico, quest’anno, il totale della spesa pubblica sfonda per la prima volta i mille miliardi di euro. Per l’esattezza 1’029 miliardi, cioè il 54,3% del PIL. Destinati a salire a 1’048 miliardi nel 2023. Il totale delle entrate è a 933 miliardi pari al 49,2% del PIL. L’anno prossimo sono previste a 981 miliardi. Per differenza, il deficit pubblico di quest’anno è di 106 miliardi, cioè 5,6% del PIL. Il debito pubblico sale a quasi 2’800 miliardi, ma scende in rapporto al PIL al 145,4% per una buona crescita reale e soprattutto per una forte inflazione.
Nella NADEF c’è inoltre un dato importante e non certo rassicurante. C’è infatti scritto che gli investimenti del Piano nazionale di ripresa e resilienza, PNRR, sarebbero dovuti essere 30 miliardi, come si diceva nel Documento di economia e finanza, o DEF, di aprile. Nella NADEF si dice invece che quest’anno ne faremo soltanto 15, cioè la metà. Poi c’è anche scritto che faremo 41 miliardi nel 2023, 46 nel 2024, 48 nel 2025, 36 nel 2026. Questa mole di investimenti deve però effettivamente entrare nell’economia, mentre nella NADEF è una auspicabile previsione, purtroppo fragilissima in base ai dati di quest’anno.
Ecco perché il profilo tendenziale della NADEF risulta ottimistico sul piano della crescita e ottimistico sul piano anche dell’inflazione. Questo determinerebbe un aumento nominale del PIL con il quale si mostra che i conti pubblici sono in ordine. Il deficit pubblico totale quest’anno sarà il 5,1% e scenderà gradualmente al 3% al 2025. Il rapporto debito/PIL scenderebbe al 143% l’anno prossimo e al 139% nel 2025.
Le previsioni del mio Centro studi Economia Reale indicano invece che l’anno prossimo la crescita sarà sotto zero (-0,1%) e la ripresa successiva sarà modesta e asfittica e nel 2025 saremmo allo 0,9 per cento. Di conseguenza, molto più a rischio appare il quadro di finanza pubblica. Il deficit pubblico scende, ma meno di quanto si dica nella NADEF mentre il rapporto debito/PIL non scende nel 2023, anzi sale a 147,1% contro 146,8% di quest’anno.
In conclusione quindi, la frenata è più forte, la ripresa del biennio successivo è più debole e l’equilibrio dei conti pubblici più fragile.
Il vero confronto allora va fatto soprattutto in riferimento alla urgenza di prevenire al più presto quella che molti chiamano la “tempesta perfetta”, cioè due eventi a tenaglia: minori investimenti del PNRR associati a riforme deboli e crisi da debito con lo spread sopra la soglia dei 500 punti base con tassi raddoppiati.