Dopo trent’anni l’Anagrafe dei rapporti finanziari, finalmente, verrà utilizzata in funzione antievasione. Rischi e opportunità.

L’Anagrafe dei rapporti finanziari è una banca dati di notevoli dimensioni contenente i dati, identificativi e contabili, di tutti i soggetti titolari di rapporti di conto corrente o di deposito.

La sua realizzazione è stata prevista già nel lontano 19911, previa adozione di un decreto ministeriale da emanarsi entro i successivi sessanta giorni. Il decreto di attuazione, in realtà è stato adottato dopo circa dieci anni2 (2000). Tale decreto, peraltro, non ha trovato sin da subito concreta attuazione; sicché si è dovuto attendere ulteriori sei anni3 (2006) per la previsione, in capo agli intermediari, dell’obbligo di comunicazione dei dati all’Anagrafe tributaria, per la conseguente archiviazione in un’apposita sezione. 

Ma non finisce qui. Sono passati altri quattro anni4 (2011) prima di giungere alla espressa previsione dell’utilizzo di tali informazioni per l’elaborazione di specifiche liste selettive di contribuenti a maggior rischio di evasione. L’onere di elaborare le liste è stato affidato all’Agenzia delle Entrate, che contestualmente è stata incaricata anche di predisporre una relazione annuale alle Camere con la quale comunicare i risultati relativi all’emersione dell’evasione. 

La previsione di elaborare le liste, però, per i successivi sei anni (2017) è rimasta totalmente disattesa. Tale circostanza ha fatto perdere la pazienza anche alla Corte dei conti, allorquando il 18 settembre 2017, in una relazione avente per oggetto “L’utilizzo dell’Anagrafe dei rapporti finanziari ai fini dell’attività di controllo fiscale”, ha dichiarato: “a distanza di oltre due anni dalle modifiche introdotte con la legge di stabilità per il 2015, e di oltre cinque anni dall’obbligo di elaborare liste selettive, nessun contribuente è stato selezionato attraverso lo strumento dell’Archivio dei rapporti finanziari quale soggetto a maggior rischio di evasione, né è stata ancora avviata la fase sperimentale, sicché non v’è dubbio che la norma sia stata totalmente disattesa dall’Agenzia. Il che spiega l’ulteriore omissione rispetto al dato normativo (…), ove si prevede che l’Agenzia delle entrate trasmetta alle Camere una relazione con la quale sono comunicati i risultati relativi all’emersione dell’evasione a seguito dell’applicazione delle disposizioni di cui trattasi. Tale relazione, prevista con cadenza annuale, in realtà non è mai stata predisposta, omettendo così di dare attuazione a un chiaro disposto normativo. Deve, altresì, prendersi atto che il Ministro dell’economia e delle finanze, pur titolare dei poteri di indirizzo e vigilanza, non è mai intervenuto attraverso specifiche indicazioni affinché l’Agenzia provvedesse, prima, ad elaborare le liste selettive e, poi, ad effettuare analisi del rischio evasione, nonché a riferire al Parlamento, come dovuto per espressa previsione normativa. Si ritiene necessario, quindi, che il Ministro provveda ad esercitare le sue prerogative per porre rimedio alle riferite inadempienze. (…) Quel che appare palese è il chiaro sottoutilizzo dello strumento per finalità tributarie e di lotta all’evasione da parte dell’Agenzia delle entrate (…) In definitiva, non è mai stato realizzato, né pare sia imminente, un utilizzo massivo dell’ingente mole di dati presenti nell’Anagrafe relativa alle disponibilità finanziarie”.

Le straordinarie potenzialità dell’Anagrafe dei rapporti finanziari emersero agli addetti ai lavori già nel 2016, in occasione della pubblicazione del Rapporto relativo alla situazione economica degli italiani che avevano richiesto l’ISEE l’anno precedente. 

Infatti, nel 2015, per la prima volta, i richiedenti l’ISEE si trovarono a fare i conti con le nuove regole di compilazione, secondo le quali i saldi dei conti correnti e dei depositi vennero attinti a cura dell’Amministrazione finanziaria dall’Anagrafe dei rapporti. Pertanto, ai richiedenti l’ISEE non rimaneva altro che confermare gli importi precompilati. Ebbene, quell’anno le dichiarazioni ISEE con patrimonio nullo passarono da quasi il 70% al 16%. Nel mezzogiorno, addirittura, dal 90% al 20%. 

L’impatto sul Welfare, come è facile immaginare, fu enorme: la drastica riduzione del numero dei nullatenenti facilitò l’accesso alle prestazioni sociali a coloro che ne avevano effettivamente bisogno, escludendo tutti gli altri.

Nonostante le sue enormi potenzialità, in tutti questi anni l’Anagrafe dei Rapporti finanziari è stata utilizzata quasi esclusivamente nei confronti dei richiedenti le prestazioni sociali e assistenziali; ovverosia, per separare i falsi poveri dai veri poveri (o “poveri congrui”, cioè coloro la cui situazione patrimoniale riflette la condizione di povertà emergente dal modello ISEE). 

Se lo strumento dell’Anagrafe dei Rapporti fosse stato utilizzato sin dal 1991 per contrastare l’evasione fiscale, che ogni anno vale cento miliardi, forse oggi non ci si troverebbe nella situazione in cui il 10% della popolazione italiana detiene il 48% della ricchezza nazionale. Ma questo è un altro discorso.

Le motivazioni, al quanto discutibili, per le quali l’Anagrafe dei rapporti finanziari non è stata usata per contrastare l’evasione fiscale erano basate sulla convinzione che l’utilizzo dell’Anagrafe per fini antievasione avrebbe compromesso il diritto alla privacy dei contribuenti. Affermare ciò equivale a dire che gli interessi dello Stato a ricercare gli evasori retrocedono di fronte al diritto alla privacy dei contribuenti, compresi gli stessi evasori. 

Ma le cose ultimamente stanno cambiando. Si è trovato il modo di superare le succitate esigenze di privacy e, pertanto, l’anagrafe verrà utilizzata, finalmente, anche per contrastare l’evasione fiscale. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, dopo avere acquisito le indicazioni del Garante della Privacy, ha pubblicato in Gazzetta Ufficiale (n. 152 dell’1 luglio) il D.M. 28 giugno 2022 attuativo della disposizione5 relativa al trattamento dei dati contenuti nell’archivio dei rapporti finanziari. 

A mente del decreto, l’amministrazione finanziaria per il perseguimento delle finalità di prevenzione e contrasto all’evasione e all’elusione fiscale, “applicando tecniche e modelli di analisi coerenti con i criteri di rischio prescelti, verificherà la presenza di rischi fiscali”. Successivamente, “nei confronti delle posizioni fiscali dei contribuenti, caratterizzate dalla ricorrenza di uno o più rischi fiscali, potranno essere avviate le attività di controllo ovvero le attività volte a stimolare l’adempimento spontaneo6”. 

In sostanza, l’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza potranno controllare tutti gli accrediti che arrivano sul conto corrente per accertarsi che queste somme siano state inserite nella dichiarazione dei redditi, in caso contrario il contribuente verrà invitato all’adempimento spontaneo ed eventualmente sanzionato. 

Le criticità, inizialmente sollevate relativamente al trattamento dei dati personali, verranno superate in quanto in una prima fase istruttoria i dati raccolti in relazione a possibili anomalie saranno associati a un codice, senza svelare il nome del contribuente interessato, e solo in una seconda fase potrà essere reso visibile il nominativo reale. In questo modo, i dati che verranno raccolti rispettano le procedure per la pseudo-anonimizzazione dei dati, richieste dal Garante della privacy.

Come mai solo oggi è stato possibile bypassare le esigenze di privacy? 

Il cambio di direzione non è dovuto ad una maggiore attenzione alla lotta all’evasione, bensì alle esigenze di attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Infatti, nel quadro della “Riforma dell’Amministrazione fiscale” del PNRR, la “Missione 1” prevede una serie di riforme volte a contrastare l’evasione fiscale, ed in particolare l’omessa fatturazione. 

Il PNRR dice che l’Italia, entro il 2024, deve ridurre il tax gap al 15,8% rispetto al 18,5% del 2019, significa 12 miliardi di evasione in meno. Per raggiungere questo risultato il Governo dovrebbe mandare ai contribuenti almeno il 20 per cento in più di lettere di compliance.

Dunque, a questo risultato della lotta all’evasione sono legati i finanziamenti europei previsti dal Piano di Ripresa e Resilienza, dei quali all’Italia spetta la fetta più grande, circa duecento miliardi di euro. In altre parole, l’Italia per incassare 200 miliardi deve recuperarne almeno 12 con la lotta all’evasione. 

Sulla destinazione che prenderanno i 200 miliardi previsti dal PNRR non ci sono grossi dubbi. I piani dei singoli Paesi dovranno concentrarsi su aree specifiche, come efficienza energetica, digitalizzazione della Pubblica Amministrazione, istruzione, trasporto sostenibile. Dunque, i primi a beneficiare dei soldi del PNRR saranno i rappresentanti del partito degli appalti pubblici, costituito dalle imprese e dal capitale privato, che finanzierà direttamente i vari progetti volti a creare un Paese più green e più digitale. E solo successivamente ne beneficeranno anche tutti gli altri: i pensionati, i lavoratori dipendenti, le partite Iva, ecc…- perché si ritroveranno a vivere in un Pese più green e più digitale. 

Qualche dubbio, invece, sussiste in relazione ai destinatari delle lettere di compliance, coloro che dovranno sborsare al fisco i dodici miliardi necessari per incassarne duecento. Si spera che non siano i soliti: i pensionati, i lavoratori dipendenti e la maggior parte delle partite iva, categorie queste che attualmente stanno pagando un prezzo altissimo a causa della guerra e della pandemia. 

Quale criterio utilizzare per individuare le posizioni a più elevato rischio di evasione?

L’amministrazione finanziaria dovrebbe preliminarmente operare una distinzione tra chi pratica un’evasione di galleggiamento -cioè, chi annaspa per stare a galla- e chi evade e ricicla i proventi dell’evasione in beni mobili e immobili e in attività commerciali. 

L’evasione di galleggiamento, per certi aspetti, è strutturale al sistema fiscale italiano, in quanto necessaria per compensare l’assenza di politiche di welfare simili a quelle di altri paesi del nord Europa. 

A preoccupare, dunque, è la cecità di un algoritmo che processa i dati in maniera del tutto asettica. A ciò si aggiunga il premio di produttività che i funzionari dell’amministrazione finanziaria maturano al raggiungimento di determinati obiettivi. Si tratta di una posta molto appetitosa (vale diverse migliaia di euro) che potrebbe incentivare i rilievi indiscriminati e/o le contestazioni temerarie. 

Premesso quanto sopra, sarebbe sbagliato e anche pericoloso, stante l’aumento dei suicidi per motivi economici, “sparare nel mucchio”, usando come unico presupposto per l’invio delle lettere di compliance l’accredito sul conto di somme di denaro di dubbia provenienza; in questo modo si rischia di “colpire” anche chi è già in serie difficoltà economiche. 

Pertanto, prima di “sparare”, l’amministrazione finanziaria dovrebbe perimetrare una “zona di caccia”, che a parere di chi scrive dovrebbe coincidere con tutte quelle posizioni fiscali il cui patrimonio, per dimensioni e struttura, risulta incompatibile con i redditi dichiarati al fisco nel più lungo arco di tempo consentito dagli archivi dell’Anagrafe tributaria.

Intendo dire che il faro dell’Anagrafe dei Rapporti finanziari, che fino ad oggi è rimasto puntato sui “poveri congrui” (cioè, è servito per individuare coloro la cui situazione patrimoniale riflette lo stato d’indigenza), dovrebbe spostarsi sui “ricchi incongrui” (cioè, coloro la cui situazione patrimoniale appare incongrua rispetto ai redditi dichiarati). 

Questa è la “zona di caccia” (le posizioni a più elevato rischio di evasione) all’interno della quale l’amministrazione finanziaria dovrebbe “sparare” (concentrare le sue attività volte a stimolare l’adempimento spontaneo). 

Post scriptum

È curioso che a temi così importanti per la vita degli elettori non venga dato alcuno spazio nei dibattiti elettorali in corso. Ma anche questo, forse, è un altro problema.


1) Con l’art. 20, c. 2, lett. b) della l. 30 dicembre 1991, n. 413, “Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini (nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario)” – Spending review.

2) D.m. 4 agosto 2000, n. 269 “Regolamento istitutivo dell’Anagrafe dei rapporti di conto e di deposito”, previsto dall’art. 20, c. 4, della l. 30 dicembre 1991, n. 413.

3) Con l’art. 37 del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni dalla l. 4 agosto 2006, n. 24813, è stato ulteriormente modificato l’art. 7 del d.p.r. n. 605/1973.

4) Con l’art. 11, c. 2, del d.l. n. 201/2011.

5) Art. 1, comma 683, legge n. 160/2019.

6) Art. 1, comma 1, lettere f) e g), D.M. 28 giugno 2022.