La prestigiosa rivista Limes ha come titolo dell’ultimo numero “La fine della pace”. Diversi giornali dicono che siamo in guerra e che non sappiamo come e quando ne usciremo. Uno studente che ha chiesto di parlare della guerra in corso fra Russia e Ucraina si è sentito rispondere: “non parliamo di cose tristi”. Come se la scuola potesse distrarsi o rimuovere il problema più lacerante della storia umana e la frustrazione antropologica che consegue la difficoltà di sostituire al “mors tua vita mea” il “vita tua vita mea”.
All’elaborazione di una cultura di pace, oltre alla famiglia, è chiamata a contribuire la scuola, insieme alle associazioni giovanili, ai mass media, alle chiese e a tutti gli enti pubblici e privati la cui attività può incidere, direttamente o indirettamente, sulla mentalità, sulla qualità dei rapporti e sul senso complessivo dello stare e del crescere insieme.
La scuola, in virtù della sua capillare estensione, delle sue potenzialità culturali e relazionali e delle sue specifiche difficoltà congiunturali, è al centro di contrastanti pressioni, volte da un lato ad aprirla a tutto ciò che sia ritenuto socialmente importante e dall’altro a chiuderla a tutto ciò che non sia riconducibile a un compito istruttivo restrittivamente interpretato.
Anche ammettendo che la scuola abbia suoi compiti prioritari da affrontare, in cui nessun altro può sostituirla, non si può negare che il vero problema è quello di affrontarli in modo deontologicamente corretto, utilizzando le norme e i programmi vigenti per affrontare questioni strategicamente importanti e significative per i singoli ragazzi e per la società d’oggi e di domani.
Se volessimo raccogliere più precisamente tutto ciò che da anni bussa alle porte della scuola, con crescente consapevolezza delle implicazioni e delle connessioni con la vita reale, per trovarvi uno spazio curricolare o meglio un’attenzione “intelligente” di tipo interstiziale o di tipo trasversale, dovremmo parlare di educazione ai diritti umani, alla pace, allo sviluppo, alla salute, all’ambiente.
Questa problematica è soggetta in tutto il mondo ad approfondimenti, revisioni, accorpamenti sotto l’uno o l’altro termine, ritenuto più comprensivo o più strategico. Per la sua densità valoriale può alimentare conflitti, occupare spazi eccessivi nell’attività scolastica, degenerare nella chiacchiera, nel moralismo, nella faziosità.
Di qui le comprensibili cautele delle persone serie; ma di qui anche gli alibi di chi non vuole impegnarsi a pensare e a rinnovare una scuola, la cui auspicata migliore produttività non può comunque prescindere dalle motivazioni e dalle prospettive dell’apprendimento.
La pace, intesa come “nucleo pesante”, in cui si addensano tutti i significati positivi della vita personale e sociale, non può considerarsi un tema estraneo, né di diritto né di fatto, alla vita scolastica. Anche quando non era esplicitamente tematizzata come finalità da perseguire da parte di tutti, in particolare degli educatori, di fatto la pace occupava un suo spazio nella letteratura, nella storia, nella filosofia, nel diritto, nella geografia, nell’economia e finalmente nell’educazione civica, che nella scuola ha avuto però sempre uno statuto precario. Oggi abbiamo la legge 92/2019 sull’educazione civica, che fa perno sulla Costituzione italiana, in cui sono stati “aggiornati” nel febbraio scorso gli artt. 9 e 41. Non è poco.
Nota: articolo uscito sul Giornale di Brescia, il 19/4/2022.
Cerca strade percorribili per orientarsi di fronte al grande male della guerra: cioè per cercare di capirlo e di viverlo in modo non superficiale e non distruttivo, ma con l’impegno a superarlo a tutti i livelli in una prospettiva non violenta. Ciò che è stato possibile a certe persone, in certi momenti, può diventare prima o poi una conquista definitiva o almeno duratura. Frattanto è più importante capire empaticamente, rispettare, aiutare, agire in termini di solidarietà che odiare chi non la pensa come noi.