Più risparmi con meno risparmiatori. Si potrebbe sintetizzare così il principale risultato della ricerca realizzata dal Centro Einaudi e da Intesa Sanpaolo sul risparmio e le scelte finanziarie degli italiani nel 2021. Infatti dall’indagine emerge che nell’ultimo anno i risparmi degli italiani sono aumentati di 110 miliardi di euro, mentre i risparmiatori sono diminuiti di 6,5 punti in percentuale. Detto in un altro modo: sono aumentate le disuguaglianze.
In questo scenario il Covid è stato un attore protagonista: il 36,8% ha visto ridursi o azzerarsi le entrate ordinarie a causa delle conseguenze economiche della pandemia. In particolare il 19,6% dichiara che le entrate sono «un poco» diminuite, il 15,7% che sono «molto» diminuite e l’1,5% che tutte le entrate sono state perdute. Queste percentuali mostrano che la perdita media di reddito netto familiare, pari a 105 euro mensili, non ha riguardato tutti: si è avuta una forte concentrazione dell’impatto economico, che si è scaricato su poco più di una famiglia su tre.
Di fronte all’emergenza, le famiglie italiane erano preparate? Nonostante l’ampio serbatoio di risparmio privato, in realtà la maggioranza non lo era. Infatti, è risultato che il 53% delle famiglie non aveva accantonato un fondo di riserva, ossia non aveva depositi liquidi sufficienti o strumenti finanziari monetari liquidabili immediatamente per far fronte ad una emergenza economica come quella che abbiamo vissuto. Le istituzioni pubbliche sono intervenute per mitigare l’impatto della crisi. In media, i sussidi o altre forme di supporto economico hanno raggiunto il 28% delle persone, quindi hanno servito il 74% di coloro che hanno perduto entrate.
La pandemia è intervenuta anche sui comportamenti di risparmio, evidenziando due cambiamenti. Anzitutto, la diminuzione, dal 55,1% al 48,6%, della quota di risparmiatori, per effetto delle ridotte disponibilità: di conseguenza il numero dei non risparmiatori ha superato quello dei risparmiatori. Inoltre, tra i risparmiatori sono cresciuti (di 6,7 punti percentuali) quelli involontari, essenzialmente per non essere riusciti a spendere nell’anno della pandemia a causa delle restrizioni di attività e mobilità. Chi ha avuto la possibilità di risparmiare, l’ha fatto ampiamente: il monte risparmi complessivamente è salito di 110 miliardi di euro. Mediamente per i risparmiatori si tratterebbe di un aumento di quasi 4.000 euro pro capite.
Gli investimenti finanziari sono stati ridotti e messi in larga parte in standby proprio dall’incertezza pandemica, ma anche dalla difficoltà oggettiva di incontrare sul mercato investimenti corrispondenti agli obiettivi dei risparmiatori, che nel 2021 hanno privilegiato nel lungo periodo la sicurezza (ossia il desiderio di non perdere il capitale investito) e nel breve periodo la liquidità (per poter far fronte alle emergenze). Da notare che soltanto il 6,7% del campione – ma si sale al 14% tra i laureati – risulta interessato agli investimenti etici e a impatto positivo sull’ambiente e sulla società.
La maggioranza tra i risparmiatori vorrebbe per il momento aspettare a spendere e tenere da parte il gruzzoletto accantonato: si tratta del 64%. Non è tuttavia la parte più abbiente, bensì quella più avanti negli anni e che appartiene al ceto medio-basso e con limitata istruzione. Il restante 36%, che include i laureati, i giovani e gli appartenenti al ceto medio-alto e per reddito, è di opinione diversa e vorrebbe rilanciare i suoi consumi, anche se con priorità differenti. Il ceto medio è pronto a spendere di nuovo, nell’ordine, in viaggi, in una nuova auto o nuovi beni durevoli, al terzo posto in una casa nuova. I laureati mettono sempre in cima alla lista un viaggio, segno che la fermata dei movimenti è stata sofferta, ma invertono le preferenze che vengono dopo: prima la casa e poi una nuova auto. I giovani mettono al primo posto la casa, poi l’auto e infine i viaggi.
Le case degli italiani sono mediamente più piccole (81 mq) di quelle degli spagnoli (96 mq), dei francesi (102 mq) e dei tedeschi (109 mq): la didattica a distanza e lo smart-working hanno mostrato l’insufficienza del patrimonio abitativo italiano. Il 18% del campione ha dichiarato che, a seguito della pandemia, giudica oggi insufficiente lo spazio della propria casa. D’altra parte è necessario sottolineare che il 16,8% dei possessori di un mutuo per la casa ha chiesto e ottenuto la sospensione, quota che sale al 31,5% tra coloro che in famiglia hanno avuto un impatto sanitario relativo al Covid.
Le fasce di età che evidenziano uno stato di maggiore preoccupazione per il futuro sono quelle intermedie, ossia fra i 35 e i 64 anni. L’apprensione è strutturalmente salita non tanto riguardo alla salute, quanto piuttosto al lavoro e al reddito. È salita di 10 punti percentuali, al 54%, la quota delle persone preoccupate della possibilità di subire una diminuzione temporanea del reddito; il 63% (+13 punti rispetto all’anno precedente) teme invece una perdita permanente del reddito.
I problemi economici e finanziari nel tempo della pandemia sarebbero stati estremamente più seri senza i benefici decisi dall’Unione Europea. La differenza tra la quota di intervistati che hanno fiducia nell’Europa rispetto a coloro che non ce l’hanno è di 46 punti percentuali. Tale risultato segna un progresso notevole rispetto al 2020, quando lo stesso saldo era stato appena di 26 punti in percentuale. Interessante notare che il tasso di approvazione dell’Europa aumenta con il livello di istruzione e non con i trasferimenti di cui si è beneficiato. In altri termini, l’Europa è apprezzata non per avere ricevuto trasferimenti di denaro ma per la sua attuale politica economica in risposta alla pandemia.