di Francesco Testi
All’apparenza sembra una cosa totalmente folle; poi studiandola un po’ meglio si capisce che è la solita aspirazione irrealistica di un manipolo di valorosi.
Gli alfieri dell’utopia sono i membri dell’ARDeP, l’Associazione per la riduzione del debito pubblico presieduta dal professor Luciano Corradini: pagano più tasse del dovuto allo Stato per dare il buon esempio a tutti noi. Intendiamoci, è poca roba: lo stesso professore,
in visita il sei novembre scorso a Palazzo Chigi, ha consegnato i mille euro raccolti quest’anno al premier Prodi; e Anna Paschero, un altro dei soci fondatori dell’ARDeP, riconosce che la cifra complessiva ricavata finora si aggira attorno ai 25mila euro.
L’iniziativa ha fini soprattutto morali e pedagogici: se tutti facessimo così, è il pensiero dei soci dell’ARDeP, si arriverebbe alla scomparsa del debito, che nel 2006 ammontava a oltre 1.575 miliardi di euro (dati del ministero dell’Economia). Che dire, una buona intenzione: peccato che di buone intenzioni sia lastricata la strada per l’inferno. Se infatti tutti pagassimo più del dovuto, il debito aumenterebbe: come ha recentemente illustrato il Governatore di Bankitalia Mario Draghi, all’aumentare della pressione fiscale è seguito un aumento della spesa pubblica. In parole povere, lo Stato più ha e più spende. E io candidamente mi rifiuto di affidare ai nostri politici il mio (simbolico) gruzzolo: so già che non solo lo spenderanno tutto ma forse anche qualcosa in più, creando nuovo debito.
Il volontariato (apostolato?) fiscale è un’interessante provocazione, ma poi sorge il dubbio: siamo noi cittadini a dover servire lo Stato, o piuttosto è il contrario? In effetti negli stati assoluti è il singolo a doversi piegare alle esigenze dello Stato; le democrazie liberali invece sono nate proprio per proteggere i diritti dell’individuo dall’intromissione della macchina statale. Ne segue quindi che a doversi limitare è lo Stato stesso, che pure ha la brutta tendenza a strabordare; ricordiamoci che fino ad una ventina d’anni fa in Italia lo Stato produceva di tutto, dalle auto ai panettoni (servizi bancari inclusi) tramite l’Iri: rispettivamente Alfa Romeo, Motta, Credito Italiano.
Tuttavia l’ARDeP pone l’accento su un altro tema importante: l’evasione fiscale. Anni fa la già citata Anna Paschero, allora assessore al comune piemontese di Rivoli, recuperò all’erario somme notevoli con la creazione dell’anagrafe elettronica degli immobili, risanando i conti senza nuove imposte o tagli alle spese: nacque il cosiddetto “modello Rivoli”, peraltro applicato anche in altri comuni italiani. Temo comunque che, al di là delle lodevolissime iniziative, sfugga a tutti un dato essenziale: la curva di Laffer. Quella curva a campana, cioè, che dimostra come (oltre una certa soglia) ad un’alta aliquota d’imposta corrispondano introiti minimi per lo Stato: il contribuente infatti pur di non finire spennato accetta di evadere col relativo rischio di essere scoperto. Sicché in Italia di certo c’è un’evasione spaventosa, ma forse c’è anche una pressione fiscale troppo alta.
E allora la vera provocazione sarebbe semplicemente questa: abbassiamo le tasse. Ma poi rischia di passare come una bestemmia.