“Siamo molto soddisfatti. L’ipotesi di accordo concentra le risorse sull’IRPEF, come chiedevamo, e aiuta innanzitutto chi oggi paga gran parte dell’imposta: dipendenti, pensionati, ceto medio, con benefici che possono superare i 700 euro annui per alcune fasce di contribuenti del terzo scaglione IRPEF, attualmente compreso tra 28 e 55 mila euro”.
Mentre leggevo queste roboanti dichiarazioni del responsabile economico di uno dei partiti di governo, mi è tornata alla mente una conversazione tra una pensionata e una sua conoscente, cui avevo assistito qualche mese prima nella sala d’attesa di un CAF.
La più giovane: “Maria, anche tu qui? Non sai che con la pensione e solo la prima casa non sei tenuta a fare il 730?”
“Si, lo so, però quest’anno ho tante spese mediche da scaricare, sono stata operata all’anca”.
“Ah, non lo sapevo. Mi dispiace. Ma adesso stai bene?”
“Beh, bene, alla mia età, è una parola grossa; diciamo che adesso almeno riesco a camminare. Sai, ero in lista d’attesa nella struttura pubblica ma non mi chiamavano mai ed allora ho dovuto farmi operare privatamente. Non ce la facevo più ad aspettare. Per l’intervento ho speso cinque mila euro. Ho dovuto fare un prestito. Sai da quando è morto mio marito prendo appena 700 euro di pensione di reversibilità.
In clinica, però, mi hanno detto che la fattura si può scaricare e posso recuperare circa mille euro, 920 per l’esattezza. Ci pagherò le prossime tre rate di prestito”.
“Ecco è arrivato il tuo turno, adesso puoi entrare”.
L’anziana signora, con passo incerto, imbocca l’ufficio con in mano la documentazione fiscale da scaricare in dichiarazione dei redditi.
Dopo qualche minuto esce con sguardo triste e incupito.
L’altra: “Ma cos’è successo?”
“Mi hanno detto che non posso scaricare queste spese, perché SONO INCAPIENTE.
Per recuperare i mille euro avrei dovuto percepire una pensione più ricca.
Cose da matti! E secondo loro, se io avessi avuto una pensione più ricca, avrei fatto un prestito per farmi operare?”
Detto ciò, l’anziana signora se ne andò triste e sconsolata.
L’incapienza fiscale, in effetti, è una situazione che si verifica quando il reddito imponibile è particolarmente basso da non permetterne le detrazioni spettanti.
In buona sostanza, quella stessa operazione, che la nostra pensionata ha pagato cinque mila euro, sarebbe costata poco più di quattro mila euro ad un contribuente più ricco, grazie alla detrazione dall’IRPEF di una percentuale della spesa sostenuta (pari al 19%) per la parte eccedente l’importo di 129,11 euro (la cosiddetta franchigia).
Inoltre, il contribuente più ricco avrebbe risparmiato anche gli interessi sul prestito, perché certamente non avrebbe avuto bisogno di chiedere un prestito per pagare l’operazione. Ma questo è un altro discorso.
Torniamo per un attimo ai motivi di soddisfazione del responsabile economico del partito di centro-sinistra al Governo.
Dalla rimodulazione delle aliquote fiscali non trarranno alcun beneficio tutti i redditi che non superano i 15’000 €. E sono più di 8 milioni di lavoratori e pensionati.
“La differenza maggiore riguarderà gli individui con un reddito dichiarato tra 50 e 55 mila euro: per loro lo sconto sarà in media di ben 692 euro annui, ma con picchi anche di 920 euro, un contribuente con un reddito da 50 mila euro tondi scenderà dagli attuali 15’320 euro annui di IRPEF a 14.400 euro” (fonte: quifinanza/fisco-tasse).
La domanda, a questo punto, sorge spontanea: il governo, invece di dare 920 euro ai contribuenti che hanno già un reddito di 50 mila euro, perché non li ha dati all’anziana signora? Ovverosia, perché non ha usato il tesoretto per permettere ai poveri di pagare le medicine, non dico di meno, ma almeno tanto quanto le pagano i ricchi?
In fondo, l’imposta sul reddito è lo strumento principale di redistribuzione della ricchezza. Come tale, deve garantire a tutti i cittadini di poter provvedere al proprio sostentamento e di poter accedere ai servizi essenziali.