Mettiamo che si abbiano a disposizione 7 miliardi di euro per la riduzione delle imposte, tralasciando per ora il fatto non secondario che in realtà si tratta di fondi presi in prestito e che andranno ad aumentare il debito pubblico. Parlamento e Governo debbono decidere a chi distribuire questi fondi, cioè a chi diminuire le tasse.
Dopo un anno di audizioni, confronti, simulazioni e dibattiti sembra che si sia arrivati ad un accordo tra tutte le componenti della maggioranza parlamentare che sostiene il Governo presieduto da Mario Draghi. Tutto bene dunque? Per nulla. Basta fare due conti e trasformali in un grafico per verificare dove sono finiti i fondi a disposizione.
Logica vorrebbe che la diminuzione delle imposte sia inversamente proporzionale al reddito dichiarato. La prima cosa che colpisce invece è che ai redditi fino a 15mila euro vengono dati zero euro, nonostante si tratti della fascia dei contribuenti più poveri, con aliquota invariata al 23%.
Oltre i 15mila euro il risparmio fiscale inizia a crescere e raggiunge il massimo con un reddito di 50mila euro, con 920 euro di minori imposte. Poi decresce fino a 270 euro di risparmio per redditi superiori a 75mila euro. Si noti che il reddito medio dei contribuenti italiani è di 26mila euro, che usufruirebbe di uno sconto fiscale di 220 euro.
Di fronte a questi dati si pongono alcune domande. Ha senso fare uno sconto fiscale a tutti i contribuenti? Anche a chi guadagna oltre 75mila euro? E perché i ricchi dovrebbero avere un vantaggio superiore rispetto a chi ha un reddito medio? E soprattutto: perché ai contribuenti più poveri non si fa alcuno sconto? Così facendo è evidente che le disuguaglianze aumentano.
Non è tutto. L’accordo prevede che nel 2022 gli scaglioni dell’IRPEF da 5 vengano ridotti a 4 e che nel 2023 da 4 diventino 3. È del tutto evidente che la riduzione degli scaglioni è tendenzialmente in contrasto con la progressività costituzionale. È appena il caso di ricordare che 50 anni fa con l’entrata in vigore dell’IRPEF gli scaglioni erano 32.
Purtroppo ogni volta che si mette mano alla revisione delle aliquote fiscali si fa un passo indietro verso lo Statuto Albertino, che prevedeva la tassazione proporzionale (sì, proprio la flat tax per tutti). Che tutto ciò oggi avvenga con il consenso unanime di tutte le forze politiche appare davvero sconcertante.
Piero Calamandrei scriveva: “Per far vivere una democrazia non basta la ragione codificata nelle norme di una Costituzione democratica ma occorre, dietro di esse, la vigile e operosa presenza del costume democratico che voglia e sappia tradurla, giorno per giorno, in concreta, ragionata e ragionevole realtà”. Quello che oggi manca è proprio un’etica democratica, che abbia come punto di riferimento imprescindibile la solidarietà e l’equità.