Ammettiamolo: vista dalla parte dei più deboli, la manovra economica delineata dal governo Draghi non è confortante. Non lo è soprattutto per gli aspetti di merito di una riforma che avrebbe potuto, secondo le stesse intenzioni enunciate dal presidente del Consiglio, conformarsi in modo più aderente al dettato costituzionale e ridare un maggior senso di equità al prelievo fiscale e alla sua redistribuzione. In questo disegno, purtroppo, questi temi continuano a rimanere del tutto assenti. Il previsto mantenimento della flat tax per gli autonomi, l’alleggerimento della tassazione su redditi da lavoro dipendente superiori ai 28.000 Euro, il mantenimento del sistema “duale” con la tassazione proporzionale e la riduzione del prelievo sui redditi da capitale (finanziario e immobiliare) lascerà inalterato il prelievo Irpef sui redditi da lavoro più bassi e sui redditi da pensione, con buona pace della cosiddetta equità orizzontale, quella della generalità e uniformità del prelievo, proposta dai nostri Padri costituenti.
Delusione, dunque. Ma non sconforto. Gli interessi contrapposti nel nostro Paese, in cui le ragioni dei più forti (e dei più furbi in materia di fisco) tendenzialmente prevalgono, dovranno necessariamente trovare una mediazione in nome della collettività, se non si vorrà vedere la barca Italia incagliarsi sugli scogli. E non è erigersi a Cassandra pronosticare uno stellone italico sul viale del tramonto nel ruolo di scudo-economico, anche a dispetto delle cifre del Pil in crescita. Del resto, se la gestione del PNRR richiederà molto coraggio, la sfida di una equa riforma fiscale ne richiederà ancora di più. Vediamo allora come si è iniziata.
La Legge Delega Fiscale, approvata dal Consiglio dei Ministri il 5 ottobre scorso, è approdata il 27 ottobre scorso alla Camera dei Deputati, dopo la “bollinatura” e il parere del Ragioniere Generale dello Stato, dando così inizio effettivo all’iter parlamentare del provvedimento. Nello stesso tempo, il Parlamento è stato chiamato ad approvare il disegno di legge di Bilancio 2022, che anticipa, nel suo articolo 2, l’attuazione di un primo passaggio – importante – delle delega fiscale, ovvero la creazione di un fondo pluriennale per la riduzione della pressione fiscale e lo stanziamento di 8 miliardi per ridurre, a partire dal 2022, il cuneo fiscale sul lavoro e le aliquote marginali effettive, oltre che per rivedere l’intero sistema delle detrazioni per redditi di lavoro dipendente e del trattamento integrativo.
Entrambi i provvedimenti avranno un percorso distinto ma parallelo, per quando riguarda i tempi di approvazione, previsti entro il 31 dicembre 2021. Da tale data decorreranno i 18 mesi previsti dall’art. 1 della Legge Delega per l’emanazione dei decreti legislativi attuativi, che dovranno dare un “corpo” al nuovo sistema fiscale e sui quali le competenti Commissioni di Camera e Senato dovranno pronunciare il loro parere entro un massimo di 50 giorni.
I decreti dovranno, inoltre, ottenere il parere positivo del Ragioniere Generale dello Stato sulla copertura finanziaria. Secondo quanto dispone l’art. 10 della Legge Delega i decreti sono tenuti ad evidenziare, nella relativa relazione tecnica, gli effetti sui saldi di finanza pubblica oggi non determinabili “in considerazione della complessità della materia”, ma anche per effetto di un testo di legge che, per la sua genericità, concede ampi margini di manovra al Governo.
Il percorso è dunque tracciato e non resta che percorrerlo “nel rispetto dei principi costituzionali in particolare di quelli di cui agli articoli 3 e 53 della Costituzione” (Art. 1 c. 1 Legge Delega). Ma non è così scontato che sia destinato a raggiungere i traguardi – se non tutti, almeno quelli richiamati dalla legge delega – in grado di riparare le inadeguatezze dell’attuale sistema fiscale italiano. Quello principale – l’unico dichiarato dalla legge delega e non a caso inserito nella nuova legge di bilancio all’art. 2 – riguarda la riduzione delle aliquote medie effettive per il calcolo dell’Irpef che sembra riferirsi solo al lavoro dipendente, con la revisione delle relative detrazioni. Tale strategia manifesta tutte le incertezze politiche presenti sul buon esito della riforma, che è probabile non riesca ad andare oltre questo punto, cruciale almeno per rispondere alle richieste dell’Unione Europea di attuazione delle riforme di accompagnamento previste dal PNRR.
Una volta superate le pressioni delle diverse forze politiche in Parlamento, dove ognuno cercherà di porre i propri veti, la stessa situazione si verificherà nelle Commissioni che dovranno scrivere i decreti legislativi attuativi attraverso il confronto con sindacati e rappresentanti di categoria. Non sarà un passaggio facile, soprattutto sul tema controverso della graduale abolizione dell‘IRAP. I tempi dell’emanazione dei decreti coincidono, ove rispettati, con le elezioni politiche la cui scadenza naturale sarebbe prevista nel 2023. Un ritardo nella loro emanazione potrebbe rinviare tutta la materia al nuovo Parlamento, che potrebbe anche decidere di non farne assolutamente nulla. E l’ambito delle incertezze potrebbe riguardare anche la durata del governo Draghi…
Fonte: https://www.laportadivetro.org/coraggio-presidente-draghi-la-riforma-fiscale-val-piu-di-una-messa/