Ipotesi per un’altra progressività

Un fisco più equo, e per giunta più conveniente, è possibile. È quanto emerge dallo studio condotto da ARDeP, l’associazione per la riduzione del debito pubblico, a firma della sua vicepresidente Anna Paschero. Una proposta che il governo farebbe bene a considerare con molta attenzione considerato che la sua richiesta di legge delega per la revisione del sistema fiscale include fra i criteri direttivi anche quello di “preservare la progressività del sistema fiscale”. Principio che, ahimè, negli ultimi decenni è stato più volte tradito contribuendo di fatto ad acuire le disuguaglianze nel nostro Paese Lo dimostra un ulteriore ricerca, sempre di area ARDeP, condotta dal suo presidente Rocco Artifoni. Spesso le scoperte più eloquenti si fanno analizzando i dati ufficiali ed è stato proprio mettendo a confronto i dati IRPEF del 2015 con quelli del 2019 che Artifoni ha fatto una scoperta sorprendente: “Nel 2015 i contribuenti con redditi dichiarati oltre i 75 mila euro (che corrisponde all’ultimo scaglione IRPEF) erano 895 mila per un importo complessivo di 117,6 miliardi di euro. La media pro-capite era di 131,4 mila euro. Nel 2019 i contribuenti dello scaglione più elevato erano 1 milione con un reddito globale di 134,5 miliardi: la media è salita a 134 mila euro a testa. Se consideriamo le imposte nette versate, la situazione si rovescia: nel 2015 i contribuenti di questo scaglione hanno versato un’imposta media del 33,45%, mentre nel 2019 l’imposta è scesa al 32,70%.” In conclusione i ricchi sono sempre più ricchi e pagano sempre meno tasse.

Già nel 1776 Adam Smith, padre dell’economia classica, sosteneva che “i ricchi dovrebbero contribuire in misura alquanto superiore alla semplice proporzionalità rispetto al reddito”. Un modo per dire che la contribuzione non può essere tipo flat tax a percentuale unica, ma differenziata in base al livello di ricchezza: aliquota bassa sui redditi bassi, aliquota elevata sui redditi alti, per la semplice ragione che ciò che può sembrare equo nei numeri può risultare enormemente iniquo nella realtà. Se hai un carico di due figli e guadagni 1000 euro al mese, 100 euro di imposte possono risultarti fatali. Se invece guadagni 10.000 euro, anche se paghi 1000 euro di imposte il tuo livello di vita non ne risente. Eppure in ambedue i casi è stata applicata l’aliquota del 10%. Chiaro esempio di come le aliquote abbiano un diverso peso specifico in base al reddito percepito e come sia necessario differenziarle per garantire un minimo di equità. Proprio come prevede l’articolo 53 della Costituzione secondo il quale: “Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.”

In Italia la prima seria revisione del sistema tributario, finalizzato ad attuare lo spirito costituzionale, si ebbe a inizio anni settanta del secolo scorso, tramite una serie di riforme che modificarono in profondità sia le imposte dirette che quelle indirette. In materia di imposte dirette una delle novità di maggior rilievo fu l’introduzione dell’IRPEF, Imposta sulle Persone Fisiche, ossia sui redditi personali, che volendo essere altamente progressiva prevedeva 32 scaglioni di reddito. Il sistema degli scaglioni segmenta i redditi in fasce ed applica a ciascuna di esse un’aliquota differenziata. Ad esempio se una persona guadagna 50.000 euro, il suo reddito potrebbe risultare formato da cinque scaglioni di 10.000 euro ciascuno, con aliquota zero sul primo scaglione, 5% sul secondo, 7% sul terzo, 10% sul quarto, 20% sul quinto. Una gradualità progressiva basata sulla constatazione che le prime quote di reddito sono fondamentali per vivere, mentre le successive sono risparmiate o devolute a spese meno essenziali. Più sono numerosi gli scaglioni di reddito, più il sistema diventa progressivo. Eppure negli ultimi 40 anni gli scaglioni sono passati da 32 a 5, con i risultati disastrosi evidenziati da Artifoni.

Per rimediare, ARDeP propone di tornare ad un sistema molto differenziato con l’introduzione immediata di 20 scaglioni fino al limite di 300mila euro, riservandosi di introdurne di ulteriori fino a 600mila euro o anche oltre. Ma un altro aspetto interessante della proposta è l’introduzione di una no tax area, ipotizzata a 10mila euro, che assorba la giungla di detrazioni d’imposta oggi esistenti. In altre parole fino a 10mila euro nessuno dovrebbe pagare niente perché, come affermò l’On. Scoca in sede di Assemblea Costituente, “non si può negare che il cittadino prima di essere chiamato a corrispondere una quota parte della sua ricchezza allo Stato per la soddisfazione dei bisogni pubblici, deve soddisfare i bisogni elementari di vita suoi propri e di coloro ai quali, per obbligo morale e giuridico, deve provvedere”. Ed è proprio in virtù di questo riconoscimento che ARDeP non si limita a proporre l’esonero contributivo fino a 10mila euro, ma propone che chi percepisce redditi inferiori, riceva un’integrazione da parte dello stato fino al raggiungimento del limite esente. In termini tecnici questo meccanismo si definisce “imposta negativa sul reddito”, ma più popolarmente potrebbe essere chiamato “reddito di cittadinanza di tipo compensativo”. Dalla lettura dei dati IRPEF del 2020, ARDeP ha calcolato che un tale meccanismo costerebbe allo stato 63 miliardi di euro, che però potrebbe essere finanziato con le risorse finanziarie che il sistema di welfare italiano destina agli attuali e molteplici interventi di carattere assistenziale e sociale la cui quantificazione era stata determinata, nel 2014, in 59 miliardi.

Oltre che essere sostenibile sul piano economico, l’imposta negativa sul reddito produrrebbe altri due effetti positivi. Per cominciare risparmierebbe ai cittadini in stato di bisogno l’umiliazione di doversi mettere allo scoperto come succede quando bisogna compilare domande apposite. Infatti un sistema fiscale corredato di imposta negativa può funzionare solo se tutti hanno l’obbligo di dichiarare i propri redditi anche se fossero pari a zero. In questo modo si contribuirebbe a risolvere anche un’altra grave piaga che è quella dell’evasione fiscale. Per ammissione generale il primo passo verso la legalità è l’emersione dalla clandestinità, ricordandoci che al momento risultano oltre 5 milioni di cittadini che non presentano dichiarazioni al fisco.
E a conclusione dell’intera ricerca, ARDeP dimostra che il suo impianto oltre a garantire un reddito di almeno 10mila euro a tutti i contribuenti, non ridurrebbe di un centesimo l’attuale gettito IRPEF. Anzi lo innalzerebbe di 24 milioni di euro attestandolo su 165 miliardi e 140 milioni di euro. Ma con una diversa partecipazione contributiva da parte dei diversi scaglioni di reddito. Fondamentalmente calerebbero le aliquote medie di chi percepisce redditi fino a 50mila euro, mentre salirebbero quelle di chi ha redditi oltre tale soglia. Un sano riequilibrio contributivo che converrebbe non solo all’equità, ma anche alla dignità e alla convivenza sociale.