Presentato al Congresso il piano di riforma fiscale che inverte la rotta seguita dall’amministrazione Trump. Crescono i prelievi sulle plusvalenze, sui redditi più alti e sugli utili aziendali. Al vaglio anche un’imposta del 2% sui riacquisti di azioni proprie. Le risorse serviranno per finanziare il piano da 3’500 miliardi di dollari per il rilancio dell’economia a stelle e strisce.
Prende forma e concretezza la riforma fiscale statunitense che prevede un incremento del prelievo sui profitti aziendali e sui redditi più alti a favore del ceto medio e delle fasce di popolazione più disagiate. I democratici hanno presentato oggi alla Camera il piano dettagliato della svolta tributaria. L’aliquota sui profitti societari salirebbe dal 21 al 26,5%, dopo essere stata ridotta nel 2018 di ben 14 punti da Donald Trump (in Italia il prelievo sugli utili d’impresa è del 24%, ndr). Dovrebbe salire del 2,6% (dal 37% al 39,6%) l’aliquota sulla parte di redditi personali che vanno oltre i 400mila dollari l’anno, una soglia più bassa rispetto a quanto inizialmente proposto dalla Casa Bianca. Nel caso di introiti superiori ai 5 milioni di dollari l’incremento delle tasse è invece del 3%.
Sale anche il prelievo sui guadagni realizzati investendo in borsa, con la tassa sulle plusvalenze che passa dal 20 al 25%. Considerando anche l’imposta che grava sui redditi da capitale il prelievo sui profitti ottenuti sui mercati arriva a sfiorare il 32%. Tra le proposte al vaglio del Congresso c’è anche un’imposta del 2% sui “buy back”, ossia il riacquisto di azioni proprie da parte di una società. Pratica molto utilizzata in questi anni a Wall Street, un modo per spingere verso l’alto il valore di azioni e stock options e quindi premiare soci e manager.
Prevista pure una stretta sulle società i cui utili finiscono direttamente nei redditi dei proprietari e le aziende dovrebbero anche affrontare nuovi limiti sulla detrazione degli interessi e imposte più elevate sui redditi realizzati all’estero. Il giro di vite sulle società arriva anche alla luce di quanto accaduto negli scorsi anni quando, grazie ad uno slalom tra diverse legislazioni tributarie e detrazioni dei singoli stati, oltre le metà delle grandi aziende Usa sono riuscite a non pagare nemmeno un dollaro di imposte. Il caso più noto, ma non l’unico, è quello di Amazon che a fronte di profitti per quasi 8 miliardi di dollari realizzati solo negli Usa nel 2019, nel 2020 non ha pagato imposte. Un aspetto più volte rimarcato dal presidente Biden. Così come le inchieste che hanno mostrato come miliardari statunitensi del calibro di Jeff Bezos, Elon Musk o Warren Buffett riescano a pagare un’aliquota media di poco superiore al 3%.
Se approvata nei termini illustrati oggi la riforma fiscale potrebbe essere sufficiente per finanziare gli interventi a sostegno di economia e classe media che valgono complessivamente 3’500 miliardi di dollari nei prossimi 10 anni. Tra le misure principali ci sono maggiori risorse per l’assistenza all’infanzia, per la creazione di scuole materne per tutti e l’offerta di due anni di community college, istituti di istruzione superiore, gratuiti a tutti gli americani e garantire aspettative familiari e mediche pagate. Il piano prevede anche ingenti sgravi fiscali per i redditi medio bassi