Proprio nel momento in cui stanno per arrivare i primi fondi del Next Generation EU si riaccendono in Europa i contrasti sulla condivisione del debito e dei rischi. È fin troppo evidente che qualcuno voglia portarsi avanti influenzando le scelte della Commissione europea chiamata a fine anno ad avanzare proposte sulla riforma del Patto di stabilità sospeso fino al 2022. La prima a muoversi è stata l’Austria con il ministro delle Finanze Gernot Blumen preoccupato che l’Europa «diventi un’unione del debito». Inoltre, riferendosi alla volontà di Francia e Italia di rivedere sostanzialmente i parametri di Maastrict, sempre Blumen ha affermato che questa scelta sarebbe «allarmante sia da un punto di vista economico che morale». La posizione del ministro austriaco – distintosi anche come strenuo oppositore della costituzione, con debito comune, del Next Generation EU – parte dalla convinzione che «creare debiti è pericoloso, anche con bassi tassi di interesse».
La situazione rischierebbe di diventare ancor più critica in presenza di un aumento dei tassi che, peraltro, si sta già verificando negli USA dove l’inflazione tende ormai al 4%. Nella stessa direzione vanno i toni minacciosi con cui l’attuale presidente del Bundestag e già ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble, sulle colonne del Financial Times si è rivolto al premier Draghi proponendogli la ricetta del «rigore finanziario incondizionato» orientato esclusivamente alle politiche di stabilizzazione della finanza pubblica. Ciò significherebbe mettere in discussione le politiche di crescita più volte auspicate dal nostro premier attraverso l’utilizzo del «debito buono», quello destinato agli investimenti.
L’ex ministro delle Finanze tedesco, già strenuo oppositore di Draghi in occasione del «Watever it takes», resta ancorato ad una sua vecchia idea enunciata una decina di anni fa al Consiglio degli esperti economici della Germania, che potrebbe essere presa in considerazione in occasione della revisione dei parametri di Maastricht. Quella, cioè, di separare il debito pubblico dei Paesi membri in due parti: una compatibile con la soglia del debito del 60% del PIL prevista dal Patto di stabilità; l’altra riguardante il debito al di sopra di detta soglia. Quest’ultima parte del debito, definito «eccessivo», verrebbe trasferita ad un costituendo Fondo europeo, con obbligo di restituzione entro 20/25 anni. Una volta avvenuto il trasferimento, il debito che rimane in capo ad ogni Paese non dovrebbe superare il livello del 60% del PIL.
Schäuble dimentica, o forse preferisce non ricordare, che a suo tempo questa proposta non trovò consenso non solo perché trascurava del tutto l’efficacia delle politiche orientate alla crescita ma, soprattutto, perché giudicata inattuabile dal punto di vista sia tecnico che giuridico. Non si può pensare, infatti, che centinaia di miliardi di titoli appartenenti a varie categorie di investitori possano essere trasferiti ad un fondo senza la loro volontà, prefigurando un vero e proprio esproprio. In tal modo, si introdurrebbe in Europa un’ulteriore unità sovrannazionale che presenterebbe complessi meccanismi di gestione. Va considerato, peraltro, che se la posizione di Schäuble non trovò a suo tempo consenso è ancor più difficile che lo possa trovare ora in una situazione che la pandemia ha sostanzialmente cambiato. In tutti i Paesi europei il peso del debito pubblico sul PIL – post pandemia – ha ormai superato il 100%, il valore più elevato dall’introduzione dell’euro, con un aumento medio di oltre 14 punti nel 2020. Per quanto riguarda la nostra situazione, esistono alcune ragioni che, almeno nell’immediato, rendono meno pressanti le esigenze di rientro dal nostro enorme debito. Tra queste, anzitutto le politiche monetarie poste in campo dalla BCE, che negli ultimi anni hanno consentito un massiccio acquisto di nostri titoli pari al 30% del totale.
In secondo luogo, la possibilità di effettuare massicci investimenti attraverso l’utilizzo del Next Generation EU che, se effettuati con efficacia e rapidità, consentiranno di dare avvio ad una crescita sostenuta, in grado di attenuare sensibilmente il peso del debito. È infatti sempre necessario, che al «debito buono» segua una «spesa buona».
Fonte https://www.ecodibergamo.it/stories/premium/Editoriale/debito-leuropatorna-a-discutere_1402603_11/