Se fossimo un popolo solo di santi, di eroi e di navigatori, allora la proposta del segretario nazionale del PD Enrico Letta di aumentare l’imposta di successione sui grandi patrimoni per finanziare una “dote” da conferire ai nostri giovani sarebbe da prendere al volo; bisognerebbe solo definire meglio l’impiego della dote. Non servono le paghette e i bonus a pioggia per rendere i nostri figli competitivi a livello europeo, ma ci vogliono massicci investimenti in cultura e formazione. Però, dal momento che siamo un popolo anche di grandi evasori, quella proposta deve essere necessariamente emendata, per adattarla alla nostra peculiarità.
In Italia ormai da decenni l’evasione fiscale viaggia ad 11 cifre. Si stima che per alcune categorie di contribuenti l’evasione fiscale e contributiva sia pari addirittura all’80% del reddito totale prodotto.
In base alle stime dell’Istituto di Ricerca Eurispes l’economia sommersa in Italia vale circa il 18% del PIL, di conseguenza ogni anno sfuggono a tassazione circa 270 miliardi di euro. Questa enorme massa di denaro ricomprende sia l’evasione cosiddetta di galleggiamento – quella praticata da chi, per usare le parole dell’onorevole Scoca, evade “per soddisfare i bisogni di vita propri e di coloro ai quali, per obbligo morale e giuridico, deve provvedere” – e sia quella praticata da chi evade per soddisfare il suo desiderio di “galleggiare” a bordo di un lussuoso yacht.
Dunque, dove finiscono tutte le imposte relative ai 270 miliardi di euro che annualmente sfuggono al fisco?
In parte vengono utilizzate per soddisfare i bisogni primari delle famiglie, in parte investite in attività economiche e in larga parte riciclate in patrimoni mobiliari e immobiliari.
Infatti, la ricchezza netta delle famiglie italiane – cioè la somma di attività reali (abitazioni, terreni, ecc.) e di attività finanziarie (depositi, titoli, azioni, ecc.), al netto delle passività finanziarie (mutui, prestiti personali, ecc.) – ammonta a circa 9.000 miliardi di euro.
Tuttavia questa ricchezza non è equamente distribuita, pare che il 50% sia finito nelle mani del 10% delle famiglie.
Stando così le cose, una tassa sui grandi patrimoni senza un preventivo accertamento circa la reale provenienza degli stessi patrimoni, non farebbe altro che aggiungere ingiustizia ad iniquità.
Sarebbe, infatti, inaccettabile una tassa patrimoniale che preveda la medesima aliquota su un patrimonio accumulato grazie ad artifizi evasivi ed elusivi e su un patrimonio di pari importo accumulato con decenni onesto risparmio.
Fare di tutti i patrimoni “un fascio” significherebbe violare il principio di progressività in ragione della capacità contributiva, di cui all’articolo 53 della Costituzione.
Ma allora, come emendare la proposta Letta?
Una tassa straordinaria di successione sui grandi patrimoni (mobili e immobili) da destinare ad un “fondo-dote” per i giovani dovrebbe dipendere, oltre che dal valore di ciascun patrimonio, anche dal reddito medio che il contribuente ha dichiarato al fisco nel più lungo arco di tempo consentito dal sistema informativo dell’anagrafe tributaria (l’intera vita lavorativa del contribuente o comunque gli ultimi 20 – 25 anni).
Ponendo in relazione il reddito medio dichiarato con il patrimonio mobiliare e immobiliare posseduto, ovviamente tenendo conto delle successioni ereditarie, ben si potrebbero individuare i patrimoni totalmente o parzialmente incongrui.
In questo modo non ci sarebbe alcun bisogno di tassare indistintamente tutti i patrimoni –cioè, anche quelli detenuti alla luce del sole- ma basterebbe tassare con un’aliquota a due cifre solamente quelli totalmente o parzialmente incongrui.
In sintesi, si tratterebbe di passare, per una volta, dall’attuale sistema di aliquote “impersonali” a progressività orizzontale ad un sistema di aliquote personali a progressività verticale, nel quale l’imposta dipendere oltre che dal valore del patrimonio anche dal profilo fiscale del contribuente.
In fondo, se l’Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE) sta funzionando molto bene per distribuire le prestazioni sociali, perché non sperimentare lo stesso metodo – cioè, prevedere un Indicatore della Provenienza Patrimoniale Equivalente (IPPE)- per tassare i patrimoni?
Un tale atto di giustizia fiscale riparativa permetterebbe di recuperare, non solo un “fondo-dote”, ma anche l’unica vera dote di cui le future generazioni, e non solo, hanno veramente bisogno: l’equità e la coesione sociale.