Debito pubblico alle stelle e senza riforma fiscale è illusorio ridurre le distanze tra ricchi e poveri

L’ultimo rapporto della Ragioneria dello Stato registra una flessione delle entrate fiscali e contributive del 2020, da gennaio a novembre, di 28,6 miliardi di euro, circa il 4,6% in meno rispetto allo stesso periodo del 2019. La metà della riduzione, 14,6 miliardi, è imputabile a minori entrate fiscali, il resto (14 miliardi) a minori entrate contributive, il 6,5% in meno di quelle dello stesso periodo dell’anno precedente. Nello stesso periodo il debito dello Stato è cresciuto di 139 miliardi (rilevazione dei mesi di ottobre 2019 e 2020) arrivando al massimo storico di 2’587 miliardi di €uro. Sono i danni della pandemia che, insieme a oltre 81’000 italiani, si è portata via la speranza, almeno nell’immediato, di assestare i conti della nostra economia – già in bilico, anche prima dell’avvento del virus – per far ripartire l’Italia con maggior fiducia.

Insieme a questi dati che ci lasciano smarriti, c’è quello dell’andamento demografico dell’Italia che traccia scenari nazionali da far riflettere, perché toccherà alla prossima generazione il compito di fronteggiarli, insieme alla questione del debito, del fisco, della spesa dello stato per pensioni, sanità e sicurezza sociale: sono quelli della denatalità e dell’allungamento della vita media dei cittadini nel nostro Paese. In circa 20 anni, con l’attuale tasso di fecondità, speranza di vita e riduzione dell’immigrazione, la popolazione scenderà a 59,3 milioni di abitanti. A fronte di poco più di 24 milioni di occupati (che contribuiscono al sistema pensionistico) ci saranno 17,5 milioni di pensionati a cui pagare la pensione. L’allungamento della vita comporta anche la crescita della spesa sanitaria, che in percentuale del PIL raggiungerà, nel 2040, il 7,7% e di quella socio assistenziale stimata nello stesso anno al 2,1% del PIL.

A fronte di questa prospettiva, la riforma del sistema fiscale italiano appare non più rinviabile se non si vuole che l’intero sistema di protezione sociale smetta di reggere, evidenziando e acutizzando maggiormente le profonde disuguaglianze esistenti nel Paese. L’art. 53 della Costituzione individua nella “capacità contributiva” e nella “progressività” i cardini fondamentali su cui deve poggiare l’intero sistema fiscale per assicurare uguaglianza e sviluppo di servizi pubblici universali – come la sanità e l’istruzione – da rivolgere indistintamente a tutti i cittadini. La progressività del sistema, nel suo complesso, deve ridurre i divari tra i redditi, colpendo in misura proporzionalmente maggiore quelli più alti.

Il Parlamento nazionale ha approvato nel 1971 la Legge delega al Governo per attuare il dettato costituzionale, prevedendo un sistema di imposta personale molto progressivo per scaglioni di reddito con 32 aliquote di cui la minima veniva fissata al 10% e la massima al 72%. Nel corso degli anni l’intero sistema è stato stravolto, fino all’ultima modifica del 2007 con la quale sono state fissate 5 aliquote, di cui la minima al 23% e la massima al 43%. È del tutto evidente come tali riforme hanno spostato il peso tributario principalmente sui redditi più bassi, alleggerendo di conseguenza la tassazione su quelli più alti. Questa situazione ha allargato il divario tra i più ricchi e i più poveri, creando una evidente disuguaglianza economica che negli ultimi anni è cresciuta e continua a crescere; le istituzioni democratiche devono intervenire al più presto per evitare un disagio sociale, che prima o poi rischia di manifestarsi con rabbia ed esplodere.

Occorre, per cominciare, una profonda riforma della tassazione sui redditi delle persone fisiche (IRPEF) attraverso una rimodulazione e aumento significativo del numero delle sue aliquote, che devono essere crescenti con il crescere del reddito e applicate a scaglioni di reddito già al netto di “oneri e spese essenziali”, andando a tassare in maniera progressiva i redditi oltre i 600’000 Euro – e non i 75’000 euro come accade ora. Gli “oneri e spese essenziali”, che incidono sulla situazione famigliare del contribuente e della sua famiglia, devono sostituire tutte le attuali deduzioni dal reddito (come la cedolare secca, ed altri redditi che siano tassati separatamente con aliquote proporzionali) e le detrazioni di imposta e devono essere esclusivamente rilevati con strumenti elettronici, come succede ora con il cashback.

Per tutti i redditi personali lordi da “zero” a 10’000 euro deve essere prevista l’applicazione di una “imposta negativa sul reddito“ che sostituisca ogni altra forma di sostegno economico pubblico. Attualmente sono più di dieci, compreso il reddito di cittadinanza e gestiti da diversi soggetti che non si interfacciano tra di loro. Tutti i contribuenti, compresi quelli privi di reddito, dovranno sottoscrivere una dichiarazione fiscale – che l’Agenzia delle Entrate potrà elaborare con i dati di propria conoscenza, come già avviene attualmente – che dimostri la loro personale capacità contributiva, ovvero che contenga, oltre ai redditi, anche ove siano inesistenti o negativi, i consumi effettuati e il patrimonio posseduto.

La riduzione delle disuguaglianze deve passare anche attraverso una analoga proposta di riforma dell’imposta di successione che preveda la sua trasformazione in aliquote “progressive” applicate sul valore del patrimonio da trasferire agli eredi. Oggi tale imposta è praticamente inesistente. La motivazione principale, è quella di stimolare la mobilità sociale inter-generazionale e garantire una società più eguale e mobile nel divario ricchi-poveri. Il gettito dell’imposta deve servire al sostegno di bambini e di giovani le cui famiglie si trovano sotto la soglia del reddito di povertà relativa affinché a tutti i cittadini, fin dalla nascita siano garantite le stesse possibilità di crescita e di affermazione nella vita, a partire dagli studi fino alla costruzione di una attività lavorativa. Non è solo più una questione di uguaglianza (dare a tutti le stesse cose), ma anche di equità (dare a tutti le stesse possibilità).

In ultimo un sistema fiscale cosi riformato può ridurre e recuperare molta dell’evasione fiscale oggi stimata in oltre 100 miliardi annui. Stimata perché l’evasione è una realtà per sua natura nascosta, che trova nell’occultamento dell’imponibile la sua ragione e il suo stesso presupposto. Il raffronto tra la contabilità nazionale con la base imponibile denunciata rappresenta quanto annualmente viene sottratto al fisco ovvero la cosiddetta economia sommersa. Il recupero dell’evasione, che si realizza anche con le proposte qui formulate, può non solo migliorare sensibilmente la qualità della vita e della democrazia dei cittadini italiani, ma può ridurre il debito pubblico, che rappresenta un macigno sullo sviluppo del nostro Paese e sulle spalle delle generazioni che verranno dopo la nostra1.

Fonte: https://www.laportadivetro.org/debito-pubblico-alle-stelle-e-senza-riforma-fiscale-e-illusorio-ridurre-le-distanze-tra-ricchi-e-poveri/

 

Note:

1. La proposta più articolata nei dettagli è leggibile all’indirizzo web:https://www.ardep.it/articoli/fisco/402-dossier-fisco-e-uguaglianza/