Non c’è ormai giorno in cui non appaia, nelle cronache e nei commenti dei media, il riferimento al problema del “macigno del debito pubblico”. Ne abbiamo ricordato i nodi principali sabato scorso, in un’assemblea on line dell’ARDeP, associazione per la riduzione del debito pubblico, costituitasi a Roma il 20/12/1993, l’anno seguito alla crisi finanziaria del 1992. Si è iniziato il discorso con una battuta. Se in questi quasi trent’anni di impegno associativo il debito è quasi sempre cresciuto, non è colpa del nostro impegno di volontariato civile, iniziato addirittura con un’esperienza pluriennale di “volontariato fiscale”, cioè di contributi volontari a favore di un Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato, istituito con legge 432/1993.
Una buona sintesi problematica da cui si è avviata la discussione è quella fornita da Mario Draghi, al meeting di Rimini (18/8/2020), che ha gettato l’allarme sulle conseguenze del debito antico e nuovo, che il nostro Paese sta accumulando sulle spalle dei nostri giovani, per affrontare le conseguenze devastanti prodotte finora dalla pandemia del Covid 19: “Il deficit (annuale) e il debito (complessivo) – ha detto – sono cresciuti a livelli mai visti prima in tempo di pace”.
Questo debito, ora indispensabile per la difesa delle famiglie, delle imprese e delle istituzioni dal crollo dell’economia, sarà sopportabile se sarà “buono”, cioè usato per un tempo breve, di aiuto a ripartire e in seguito a fini di investimenti nel capitale umano, e cioè nel finanziamento della ricerca, dell’istruzione, della formazione, e senza rinnegare i nostri principi. Altrimenti le nuove generazioni si troveranno a dover pagare un debito “cattivo” e cioè crescente e insopportabile, e saranno incapaci di affrontare dignitosamente il futuro.
L’imperativo assoluto per uscire da questa situazione di crisi è quindi il ritorno alla crescita, “una crescita che rispetti l’ambiente e che non umili la persona”. L’obiettivo è impegnativo ma non irraggiungibile se riusciremo a disperdere l’incertezza che oggi aleggia sui nostri Paesi. È nostro dovere, ha concluso Draghi, far sì che i giovani abbiano tutti gli strumenti per liberarsi da questo peso. “Privare un giovane del futuro è una delle forme più gravi di disuguaglianza”.
È quello che dobbiamo fare su tutti i fronti, passando attraverso la pandemia, con informazioni corrette, oneste credibili, con un impegno politico determinato e non irresponsabile, con una rinnovata fiducia nella scuola come laboratorio di futuro. Uno strumento aggiornato alle Linee guida del Ministero è fornito dal libro Una convivenza civile. Itinerari di educazione civica, a cura di chi scrive e di Andrea Porcarelli (La Scuola – SEI, 2020). Il sito ardep.it, con il suo patrimonio di documenti, ricerche, idee, svolge un ruolo di osservatorio in progress, che può essere utilizzato anche dalle scuole nei loro percorsi di educazione civica.
Uno degli ultimi interventi ospitati nel sito, scritto da Francesco Gesualdi, allievo di don Milani, sotto il titolo Un calcio al debito, conclude in questo modo:
“Dal 2000 al 2018 la ricchezza complessiva delle famiglie italiane è quasi raddoppiata passando da 5’500 a 10’500 miliardi di euro. Dunque di ricchezza in Italia ce n’è. Bisogna avere il coraggio di andare a prenderla dov’è con più progressività, una diversa modulazione dell’IVA, il ripristino di una seria imposta sull’eredità, l’introduzione di una patrimoniale anch’essa progressiva, una seria lotta ai paradisi fiscali e più in generale all’evasione fiscale. È una strada che possiamo intraprendere, magari per piccoli passi, sapendo che se fossero associati ad altri passi appartenenti ad altri ambiti, tutti insieme potrebbero portarci ad una totale liberazione dal debito”.