Alcuni docenti dell’Università di Torino e del Piemonte Orientale hanno lanciato una petizione popolare per introdurre una imposta “Paperoniale” sulla ricchezza finanziaria posseduta dai cittadini italiani. Il nome, scherzoso, dato al progetto ci riconduce ad un noto personaggio disneyano, e rappresenta una parafrasi di “patrimoniale”.
Non si può non essere d’accordo sull’intento redistributivo del progetto. Togliere ai ricchi per dare ai poveri: le molteplici proposte dell’ ARDEP sono tutte orientate alla riduzione delle disuguaglianze (non solo economiche), alla tolleranza e alla solidarietà, da attuarsi soprattutto attraverso una diversa redistribuzione delle risorse, che consenta ad ognuno di vivere dignitosamente e di fruire delle stesse opportunità di crescita, non solo materiale, ma anche sociale.
Si tratta, se ho ben compreso la proposta, di tassare il risparmio degli italiani che, ed è vero, ha un valore elevato e che consentirebbe, con un’operazione di prelievo automatico sui conti correnti, di recuperare parecchie risorse da destinare a maggiori servizi per i cittadini, a vantaggio delle persone più in difficoltà e dei giovani disoccupati.. Così il prelievo sui risparmi dei cittadini si tradurrebbe in un aumento della spesa dello Stato, sia pure destinata a nobili e condivisibili intenti, anziché alla riduzione del debito pubblico nazionale.
Non è casuale che in capo alla petizione appaia l’immagine di John Maynard Keynes, padre della macroeconomia, uno tra i maggiori economisti del XX secolo che, con il suo saggio sulla “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta” ha sostenuto la necessità dell’intervento pubblico dello Stato nell’economia, in particolare nelle fasi di crisi del ciclo economico.
Non si dice se la proposta sia da considerarsi “una tantum” oppure strutturale, e nemmeno appare corredata da un’analisi sugli effetti che potrebbe generare se attuata, lasciando al Parlamento il compito di decidere le aliquote da applicare, purchè improntate alla progressività e in modo tale da escludere a metà più povera delle famiglie.
Si tratta, a tutti gli effetti, di un’imposta patrimoniale, variabile, in funzione del patrimonio dei contribuenti, e reale perché colpisce una sola componente della ricchezza, e non il reddito che essa produce.
Nell’attuale sistema fiscale italiano, come è stato più volte sottolineato dai contributi dell’ARDEP, solo una parte dei redditi dei cittadini viene tassata in misura progressiva (quella di lavoratori dipendenti e pensionati). I redditi derivanti dalla ricchezza finanziaria, (depositi e transazioni finanziarie),come molti altri sono tassati in misura proporzionale, generando quindi una progressività alla rovescia. Le imposte patrimoniali non riguardano il reddito generato dal patrimonio, bensì il valore del patrimonio medesimo a prescindere dalla sua redditività.
In Italia esistono almeno una decina di imposte patrimoniali (IMU, bollo Auto, canone RAI, imposte sulle donazioni e successioni, l’imposta di bollo, di registro, etc.). Rispetto al 1990 il gettito derivante dalle imposte sul possesso di beni – e non sul reddito che producono – (beni mobili, immobili, investimenti finanziari) è aumentato del 400% mentre l’inflazione è cresciuta del 92%. La prima imposta patrimoniale venne applicata nel 1922, dopo la prima guerra mondiale, e colpiva sia i cittadini, sia quasi tutte le imprese che possedevano un patrimonio di 50.000 lire. Quindici anni più tardi, sempre per esigenze di finanza nazionale dovute a cause belliche (guerra d’Africa) vennero istituite altre tre imposte patrimoniali, sulla proprietà immobiliare, sul capitale delle società per azioni, e sul capitale delle aziende industriali.
Nei dieci anni successivi vennero ancora introdotte altre tre imposte per risanare la finanza statale dopo la seconda guerra mondiale: l’imposta straordinaria fortemente progressiva sul patrimonio delle persone fisiche che riguardava i beni dei cittadini italiani e dei cittadini stranieri, ma anche i beni dei cittadini italiani posseduti all’estero; l’imposta straordinaria proporzionale sul patrimonio delle società e degli enti e l’imposta straordinaria proporzionale sul patrimonio.
Nel 1992 il governo di Giuliano Amato prese una decisione senza precedenti: applicare una patrimoniale sui conti correnti degli italiani per evitare un nuovo dissesto dei conti nazionali, il famoso 6 per mille sui capitali che, in realtà, erano già al netto delle imposte. Quelle tasse erano già state pagate, ma il crollo della lira italiana, non lasciò altra scelta al governo di allora, anche se si rivelo inutile perché la lira venne comunque sospesa dal sistema monetario europeo. Servivano 8 mila miliardi di lire per la manovra correttiva, il Governo non vide altra soluzione che proporre l’idea del prelievo forzoso sui conti correnti degli italiani. Il prelievo avvenne nella notte tra il 9 e il 10 di luglio 1992. Ma l’idea di tagliare i costi della Pubblica Amministrazione non venne in mente a nessuno.
Ciò che successe in quell’anno i meno giovani, come me, se lo ricordano molto bene. I tassi di interesse erano altissimi e l’Italia era frenata da un cambio valutario forte. L’accesso al credito da parte delle imprese era ostacolato, e incideva sulla loro competitività a livello internazionale. La svalutazione era improponibile perché l’Italia aveva già un debito pubblico molto elevato. I tedeschi non vollero apprezzare il marco e Moody’s declassò a sorpresa i titoli di Stato Italiani. Vennero emanati decreti su pensioni ed enti locali e la spesa pubblica venne congelata ai livelli del 1992, senza aggiustamenti inflattivi o al PIL.
La lira collassò e subì un crollo del 25%. Anche se le imprese avevano ripreso la loro competitività sui mercati si scatenò il caos: file agli sportelli, fughe di capitali in Svizzera, conti statali allo strenuo. A ottobre dello stesso anno l’Italia venne salvata dalla recessione da una emissione di titoli di stato di 47 mila miliardi di lire. Ricordare il passato dovrebbe aiutare ad affrontare il futuro.
Oggi l’Italia è di nuovo in guerra. Contro un amico invisibile contro il quale non sono ancora state trovate armi efficaci. Ma questa volta l’Italia non è sola perché la guerra si combatte in tutta l’Europa.
Il Partito Democratico nella prima fase dell’epidemia Covid aveva proposto un “contributo di solidarietà” straordinario a carico dei redditi più elevati per il 2020 e il 2021 per fronteggiare le situazioni di accresciuta povertà di famiglie e di lavoratori che avevano perso il lavoro a causa della pandemia. In un momento così drammatico per il Paese l’idea di aumentare il prelievo fiscale è apparso inopportuno. Si sono aumentati deficit e debito per fronteggiare l’emergenza, in attesa dell’arrivo delle risorse europee Next Generation EU, ma, nello stesso tempo il Governo ha annunciato la riforma fiscale nel 2021.
Se si vuole per davvero fare un’operazione di equità e di redistribuzione delle risorse nel nostro Paese la strada maestra non è quella di istituire nuove tasse, ma di operare una profonda e rivoluzionaria modifica dell’attuale sistema fiscale. In senso fortemente progressivo, con la determinazione di aliquote che crescono con il crescere del reddito e che devono essere determinate in misura crescente su diversi scaglioni. Più gli scaglioni di reddito sono numerosi, più il sistema diventa progressivo. Perché tale progressività deve poter correggere l’iniquità dei tributi sui consumi, che essendo uguali per tutti gravano con diversi effetti sui cittadini con diversa capacità contributiva. Un sistema tributario fortemente progressivo è quindi capace di ridurre le disuguaglianze attivando il principio di solidarietà tra chi ha molto e chi ha poco. Per assolvere a questa necessità occorre non solo che l’imposta sia calcolata su un numero molto elevato di scaglioni di reddito, prevedendone l’articolazione fino a redditi che superano i 3 milioni di Euro, ma anche che tutte le diverse tipologie di reddito siano assoggettate all’imposta in modo cumulativo e non siano tassate separatamente con aliquote fisse, altrimenti le aliquote applicate ai redditi più alti non sono quasi mai utilizzate.
Occorre che la politica sia determinata e coraggiosa nel perseguire un sistema di prelievo fiscale più equo ma è di fondamentale importanza che essa sia supportata dalla scienza, ovvero dalle competenze che esistono nel nostro Paese. Gli economisti degli atenei torinesi che hanno lanciato la petizione potrebbero essi stessi impegnarsi, con la stessa passione, a trovare soluzioni a questa ingiustizia non solo chiedendo la progressività della tassazione sui patrimoni finanziari, ma quella su tutti i redditi percepiti dai cittadini italiani, nessuno escluso, attraverso una riforma fiscale che sia di portata straordinaria e veramente capace di ridurre le disuguaglianze tra i cittadini. E’ impegnativo ma si può fare.