Si fa troppo poco contro il riciclaggio. Ma sono 200-300 miliardi, un sesto del PIL

Salvatore Ricci, ex ispettore Uif Banca d’Italia e poi in Vigilanza, all’HuffPost: “Servirebbe più collaborazione a livello internazionale. Ma per ora è un’utopia”.

I giudizi sono duri e sferzanti. Sulla lotta al riciclaggio di denaro sporco, un giro d’affari calcolato in 200-300 miliardi di euro all’anno, circa un sesto del PIL italiano, “la collaborazione internazionale sarebbe necessaria ma si fa poco perché molti Paesi vivono proprio grazie a questa attività”. Quanto ai soggetti finanziari, in primis banche, che dovrebbero segnalare i casi sospetti, “privilegiano il numero piuttosto che la qualità”, e sono “condizionati dalla politica aziendale”. Infine, stiamo attenti ai soggetti finanziari non bancari “soprattutto alle assicurazioni che raccolgono grandi quantità di denaro di cui non sempre si segue l’origine e il percorso”. A parlare non è uno studioso di riciclaggio, un professore universitario comodamente seduto a tavolino che si occupa di una materia astratta e lontana, ma uno che può vantare una lunghissima esperienza sul campo: Salvatore Ricci, ex ispettore dell’UIC, a suo tempo l’organo delegato ai controlli antiriciclaggio poi assorbito dalla Banca d’Italia. Qui Ricci ha proseguito l’attività ispettiva prima nell’Ufficio informazione finanziaria (UIF) e poi alla Vigilanza. Dopo il pensionamento, ha svolto attività di consulente tecnico per alcune Procure nonché quella di consulente antiriciclaggio presso un importante gruppo a partecipazione pubblica.

C’è una quantificazione in Italia, anche solo stimata, della portata del riciclaggio o esistono soltanto i dati ufficiali dell’UIF sulle segnalazioni effettuate e sull’importo di queste ultime?

“Non esiste, né potrebbe esistere, una quantificazione ufficiale del fenomeno riciclaggio in Italia. Si ritiene tuttavia, per deduzione da più componenti, a loro volta dedotti, che la quantità di disponibilità finanziarie riciclate annualmente si aggiri intorno a 200-300 miliardi di euro l’anno”.

In che modo sono distribuiti?

“A spanne, 150 miliardi derivano dall’evasione fiscale, 100 da attività criminali, il resto da corruzione pubblica e privata. In ogni caso questa quantificazione non tiene conto dei valori riportati nelle segnalazioni ufficiali di operazioni sospette, che sono del tutto indicativi”.

Le segnalazioni per possibile riciclaggio sono circa 100.000. Sembrano tante. Occorrerebbe fare di più?

“Il discorso sulle SOS (segnalazioni di operazioni sospette, Ndr) è abbastanza complesso: i soggetti obbligati (intermediari bancari, finanziari e altro) producono come ha ricordato lei circa 100.000 segnalazioni all’anno su un universo di operazioni ed operatori composto da centinaia di milioni di input. Un’analisi delle operazioni segnalate per attività che hanno possibili caratteristiche di anomalia parrebbe evidenziare, tenendo conto degli importi, la tendenza, da parte degli intermediari bancari e finanziari, a privilegiare la quantità a scapito della qualità”.

Lei sta dicendo che i soggetti finanziari si concentrano più sul “numero” delle segnalazioni che non sulla sostanza?

“Loro ragionano così: è sempre opportuno fare in via cautelativa un certo numero di segnalazioni piuttosto che farne poche o non farne del tutto. È l’effetto distorto delle statistiche”.

Secondo lei le attuali norme sono sufficienti a scovare i riciclatori o servirebbe qualche aggiustamento? E perché?

“La normativa vigente, frutto di un laborioso cammino di adeguamenti e perfezionamenti appare più che adeguata al contenimento del fenomeno. Il problema piuttosto è nell’applicazione della stessa legata soprattutto a valutazioni degli operatori bancari e finanziari non avulse dal contesto in cui operano. I più recenti Nobel dell’economia evidenziano l’incisività del “fattore umano” nelle scelte economiche. Al più esiste un problema di armonizzazione delle regolamentazioni dei Paesi che compongono l’Unione europea, in alcuni casi assai distanti tra loro. Sul tema sono in corso iniziative di ‘compattamento’ e di ‘controllo centralizzato’ che non siano condizionate dalle diverse politiche nazionali”.

Scusi, potrebbe spiegare meglio il concetto di “valutazioni degli operatori bancari non avulse dal contesto in cui operano”? Cosa intende dire esattamente? Forse che gli operatori bancari sono influenzati dalle politiche dei loro istituti di credito?

“La banca è un’impresa soggetta alle regole del libero mercato. Deve produrre utili per soddisfare gli azionisti. Assottigliandosi sempre di più gli utili derivanti dall’intermediazione creditizia, anche in ragione delle più recenti politiche monetarie fortemente espansive, rimane la fornitura di servizi che quanto più sofisticati sono tanto più producono importanti commissioni. Il rapporto con la clientela non può che essere condizionato da tale stato di cose. Basta leggere le ultime inchieste dell’Espresso o di altra stampa internazionale per avere conferma di tale contesto”.

Quali soggetti finanziari vengono preferibilmente utilizzati dai riciclatori e per quale motivo?

“Il riciclaggio si avvale soprattutto dei soggetti bancari con attività sovranazionale che per la loro ramificazione operativa possono operare in più realtà di mercato. A questi si collegano tutta una serie di soggetti minori (società finanziarie, fiduciarie, studi legali e altro) che hanno il compito di preparare gli schemi delle operazioni che le banche dovranno realizzare”.

Si parla tanto dell’opacità delle operazioni sulle criptovalute e quindi del loro uso nel riciclaggio. È così?

“Sulle operazioni in criptovalute, atte per loro natura ad essere utilizzate con minor controllo soggettivo, non esiste ancora una casistica sufficiente per fare valutazioni. Personalmente ritengo indispensabile una normativa più rigorosa da applicare a livello sovranazionale”.

Secondo lei gli 007 antiriciclaggio italiani sono in numero sufficiente rispetto alle esigenze e hanno la preparazione giusta?

“L’attività dei controllori nazionali, UIF e Banca d’Italia è, in via prioritaria, volta alle operazioni interne che, in un mercato globale, rappresentano solo una parte, peraltro di modesto livello qualitativo, dell’insieme del mercato finanziario”.

Dal che si deduce che sarebbero molto più importanti le collaborazioni internazionali fra le autorità antiriciclaggio?

“Una maggiore collaborazione internazionale sarebbe indispensabile ma è utopistica”.

Perché?

“Perché molti paesi traggono dai servizi finanziari buona parte del reddito nazionale”.

L’attività di vigilanza sull’antiriciclaggio avviene soprattutto “a tavolino” seguendo le transazioni informatiche o tramite ispezioni in loco?

“L’attività di vigilanza sull’antiriciclaggio è sia cartolare che ispettiva. Le due linee, che camminano in parallelo, all’occorrenza di integrano. Ma, ripeto, entrambe necessitano della collaborazione attiva degli operatori bancari e finanziari che in genere conoscono bene chi richiede l’operazione e le possibili finalità della stessa”.

In sintesi, cosa si dovrebbe fare per rendere i controlli in Italia più pervasivi e incisivi?

“Le risorse dedicate all’antiriciclaggio andrebbero implementate soprattutto nel settore finanziario non bancario ed ancor più assicurativo. In Italia ormai le compagnie di assicurazione grandi e piccole raccolgono enormi quantità di denaro di cui non sempre si segue l’origine ed il percorso. È indubbia la preparazione professionale degli addetti al controllo; è la gestione delle successive fasi amministrative che meriterebbe più attenzione. Le competenze ci sono e sono adeguate ma la tendenza all’autoreferenza del Controllore, certamente esercitata al fine di salvaguardare il sistema, a volte incide negativamente sui risultati”.

(Tratto da Huffington Post – Economia – 04/10/2020)

Fonte: https://www.huffingtonpost.it/entry/serve-piu-collaborazione-tra-i-paesi-sullantiriciclaggio-ma-per-ora-e-unutopia-intervista-allesperto-ricci_it_5f79f02cc5b649e564b441b9