Il recupero delle imposte evase – per dolo, errore o necessità – non porta frutti: negli ultimi 20 anni, fino al 2019, oltre mille miliardi di euro di imposte sono stati oggetto di cartelle esattoriali, ma alla fine solo il 13,3% risulta incassato. A fare i conti, utilizzando i dati forniti dall’Agenzia Entrate-Riscossione, è la Corte dei Conti che, pur registrando i miglioramenti degli ultimi 5 anni, fa parlare i dati dai quali emerge, ad esempio, che le cartelle superiori ai 100mila euro hanno una percentuale di incasso reale che si ferma appena al 2,7%.
«Si deduce – scrive la Corte – che verso i contribuenti più importanti si riscuotono mediamente 2.700 euro per ogni 100mila iscritti a ruolo». Non solo: il magazzino di imposte ancora da incassare ammontava a 954 miliardi, dei quali – in uno slalom tra imprese fallite, contribuenti morti e nullatenenti – solo 79,6 miliardi effettivamente recuperabili.
La foto di un Fisco che fa fatica a recuperare il terreno perduto arriva proprio mentre si inizia a discutere di riforma, con il direttore dell’Agenzia, Ernesto Maria Ruffini, che in un’intervista propone di riscrivere le regole per «sfrondare» una giungla normativa: «Innanzitutto bisogna fare 5 testi unici per riunire organicamente una materia immensa, di cui nemmeno gli esperti conoscono i confini. Non si conosce neppure con esattezza il numero delle leggi in materia fiscale oggi in vigore: dovrebbero essere circa 800».
Difficile parlare ora di riduzione del prelievo, anche se nei progetti sul tavolo del Tesoro circola l’idea di un meccanismo che potrebbe favorire i redditi medi. E sulla necessità di una riforma fiscale insistono le ACLI.
I dati sulla riscossione raccontano intanto una vecchia storia. Il recupero delle imposte è spesso difficilissimo. Il tasso di riscossione appare più elevato in anni lontani, ma questo si spiega anche perché ora è possibile rateizzare: così il tasso al 28% nel 2000 crolla al 4,97 e all’1,88% nel 2018 e nel 2019. Se si guarda però all’ultimo quinquennio si scoprono progressi, seppure modesti: la quota riscossa passa dal 10,8% del 2010-14 al 12,5% del 2015-19. E non per tutti è uguale: sale dal 7,7 al 9% per i ruoli fiscali, dal 21,9 al 25,5% per quelli dell’Inps e rimane al 30,5% per i tributi di Comuni e Regioni.
Questo recupero limitato ha però alimentato l’enorme serbatoio di somme da recuperare, che nemmeno le molte sanatorie di questi anni sono riuscite a svuotare. E non sono serviti nemmeno i 5,7 milioni di avvisi di intimazione, gli 1,8 milioni di solleciti, i 429mila pignoramenti e i 270mila fermi amministrativi (le ganasce fiscali), cresciuti nel 2019 3 volte in più dell’anno precedente.
Lo zoccolo duro dei 954 miliardi “sospesi” era rappresentato da tributi e contributi dovuti da soggetti falliti (153 miliardi), contribuenti deceduti e ditte cessate (118,9), nullatenenti (109) ed evasori renitenti che già sono incappati negli strumenti “coattivi” ma che continuano ad alimentare il proprio debito fiscale, tanto da farlo lievitare a 410 miliardi di euro.
(tratto da “L’Avvenire” del 26 agosto 2020)
Fonte: https://www.avvenire.it/attualita/pagine/italiani-che-non-pagano-le-tasse