Dico subito che lo slogan “andrà tutto bene” non mi piace. Mi sembra sciocco e puerile, probabilmente offensivo per chi sta davvero male. Forse è utile per far disegnare arcobaleni di speranza a qualche infante che non ha ancora compreso come va il mondo. Forse può “dare morale” come nello sport, oppure favorire una sorta di spirito di squadra in un gruppo sotto pressione. Sentirselo ripetere da autorità pubbliche è una via sbagliata per affrontare la crisi, una via d’uscita troppo semplice. L’emergenza sanitaria è lontanissima dal risolversi, anche se l’incremento del numero dei contagi sta diminuendo. Dobbiamo guardare con fiducia al futuro, sapendo che siamo soltanto all’inizio.
Allo stesso tempo dobbiamo prepararci a giorni tormentati e cupi. Non va e non andrà tutto bene finché avremo la più alta percentuale di morti a livello globale. Troppi operatori sanitari sono a rischio, troppi caduti. Altro che eccellenza della sanità, qualcosa non ha funzionato. Evidentemente non è colpa di medici, infermieri, personale di altro tipo. I problemi sono di lungo periodo. Il Paese è stato praticamente chiuso. Provvedimenti draconiani ma inevitabili. Gli scioperi annunciati ci danno un assaggio di quanto accadrà quando non avremo più (troppi) timori per la salute.
La realtà che sperimenteremo quando smetteremo di piangere chi non ce l’ha fatta non sarà migliore di quella attuale.
Sarà dura, durissima. Adesso ne abbiamo le avvisaglie. Bisognerà cambiare paradigma, non si potrà più tornare alla normalità. Si prospetta una “grande depressione” senza precedenti con una recessione che supererà sicuramente il meno 10%. Questo scenario mai visto determinerà un crollo del gettito fiscale, disoccupazione, impoverimento soprattutto per le fasce più deboli, crollo dei consumi, fallimenti di aziende e un’Italia che intravede la possibilità di una bancarotta.
S’invocano sostegni e aiuti da tutte le parti, ma pochi spiegano come faremo a trovare le risorse già spese. Non possiamo pensare a una nuova esplosione del debito pubblico; serviranno probabilmente misure pesanti come una patrimoniale.
Saranno necessari investimenti pubblici, si parlerà di nazionalizzazioni su larga scala. Su questo ci si dividerà.
L’UE – e in particolare l’euro zona – sta vivendo giornate decisive. Non bastano più i piani per salvare le banche e il sistema finanziario e neppure gli strumenti di aiuto agli Stati in difficoltà come avvenuto in passato. Bisogna rendere comunitaria la fiscalità con un abbozzo di vero governo federale.
Se ciascuno si trincererà dietro al “si salvi chi può”, il progetto europeo rischierà di morire davvero. Affinché in futuro le cose possano cominciare ad andare bene, occorre dirsi la verità. Abbiamo forse sottovalutato la pandemia. Sono stati commessi errori imperdonabili.
Il sociologo norvegese Johan Galtung afferma che tre elementi contribuiscono a plasmare l’identità delle collettività: il mito, la predestinazione e il trauma. L’Italia del dopoguerra si è costruita sul mito della resistenza e della ricostruzione postbellica. C’è stato uno sforzo comunitario che ci ha portato democrazia e benessere. I cittadini e le cittadine erano consapevoli di far parte di un orizzonte collettivo. La nostra predestinazione la conosciamo: essere chiusi nel nostro particolare, litigare tra di noi, ma anche risollevarci.
Di traumi ne abbiamo avuti molti: terremoti, il terrorismo, una crisi politica e istituzionale. Adesso siamo di fronte a qualcosa di molto più grande. Soltanto il nostro lato migliore ci salverà.
In “Trentino” del 25 marzo 2020