In un articolo pubblicato sulle pagine de Il Sole 24 Ore il 6 febbraio scorso, Innocenzo Cipolletta si chiedeva se oggi sarebbe possibile replicare “una manovra alla Ciampi” allo scopo di “ridurre il disavanzo pubblico di almeno un punto percentuale di PIL” e “beneficiare subito di una riduzione dello spread (almeno 70 punti) che si tradurrebbe, almeno in parte, in spazio di manovra della spesa pubblica, mentre l’emersione di un maggiore avanzo primario potrebbe generare veramente una riduzione del peso del debito pubblico”.
Il riferimento è alla manovra messa in atto dal governo Prodi nel 1996 (con L. 662/1996) con ministro del Tesoro e del Bilancio Carlo Azeglio Ciampi e, in particolare al “Contributo straordinario per l’Europa” volto a recuperare i 4’300 miliardi di lire necessari a ridurre il disavanzo dello Stato di quello 0,6% che avrebbe consentito al nostro Paese di rispettare i parametri di Maastricht e di entrare nell’euro. Contributo che venne restituito nella misura del 60% senza interessi nel 1999 (DL 378/1998).
Non a caso l’espressione utilizzata da Innocenzo Cipolletta è “manovra alla Ciampi” allo scopo di esaltarne il carattere di straordinarietà in luogo di quello della similarità. Tanto è vero che le ipotesi di intervento avanzate riguardano la disattivazione delle clausole di salvaguardia e/o una riduzione di spesa pubblica.
Anche perché oggi, in un momento in cui si discute di riforma dell’IRPEF e di riduzione del carico fiscale sui redditi bassi e medio bassi, sarebbe impossibile riproporre lo schema utilizzato nel 1996, che vide l’introduzione di una imposta progressiva con aliquote variabili dallo 0 al 3,5% (per i redditi superiori a 100 milioni di lire, oggi poco più di 51 mila euro), proprio sui redditi da lavoro dipendente, autonomo, e d’impresa (oltre a quelli fondiari di capitale e diversi, ma con esclusione, guarda caso, dei redditi assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta o a imposizione sostitutiva, nonché gli emolumenti soggetti a tassazione separata).
Se l’obiettivo di ridurre il debito pubblico e la spesa per interessi appare condivisibile, la strada per per eseguirlo potrebbe essere diversa. Anche perché il gettito che sarebbe ottenuto da una parziale disattivazione delle clausole di salvaguardia IVA per il 2021 e 2022, e da una rimodulazione delle aliquote applicate ai diversi beni e servizi, dovrebbe essere prioritariamente destinato, a mio avviso, alla riduzione dell’IRPEF.
La diversità consisterebbe nell’adottare un prelievo che gravi non sui patrimoni in generale, ma sui grandi patrimoni, quelli superiori a 1/1.5 milioni di euro, con aliquote differenziate per scaglioni di valore (almeno cinque, 1/1,5-2,5; 2,5-5; 5-10; 10-50, oltre 50), a partire da uno 0,5% e fino ad un tetto massimo “europeo” compreso tra il 2,5% e il 3,5%.
Secondo le periodiche indagini della Banca d’Italia e dell’ISTAT sulla ricchezza degli italiani, e una indagine del NENS che, seppur prodotta nel 2015 mantiene intatta la sua rilevanza, l’8% delle famiglie italiane sarebbe in possesso del 47% della ricchezza lorda complessiva (oltre 10 mila miliardi).
Se adottassimo una “manovra alla Ciampi” e applicassimo una aliquota massima dell’1% potremmo ottenere un gettito annuo compreso tra i 30 e i 40 miliardi di euro da destinare alla riduzione del debito pubblico. Se invece, ci “limitassimo” a un punto di PIL, l’aliquota sarebbe mediamente pari a uno 0,37%, che potrebbe partire da livelli più bassi qualora fosse giustamente prevista una progressività.
Senza contare che, come successe all’epoca, l’imposta potrebbe essere in parte restituita qualora il processo di riduzione del debito, al netto del contributo straordinario, dovesse allinearsi ai parametri europei.
È noto che secondo le ultime dichiarazioni del ministro dell’economia e delle finanze Gualtieri, la patrimoniale non sarebbe nel programma di governo, ma dovrebbe essere altrettanto noto che una imposizione di questo genere renderebbe più progressivo l’intero sistema tributario, in quanto integrerebbe l’imposizione sui consumi redistribuendo in modo più equo l’onere tra reddito consumato e reddito risparmiato. Tanto è vero che è presente in altri Paesi europei come il Regno Unito, la Norvegia, la Svizzera, mentre lo è stata in Francia (fino al 2018), in Spagna (fino al 2016) e anche in Germania c’è una forte spinta politica alla sua reintroduzione.
Inoltre, allo scopo di depurare l’argomento da pregiudizi ideologici, vale la pena ricordare che nel 2011 fu l’Assonime, guidata dal presidente Luigi Abete, a proporre l’introduzione di una imposta patrimoniale leggera allo scopo di recuperare 9 miliardi di euro da destinare alla riduzione delle aliquote IRPEF.
Una misura che incidesse sui grandi patrimoni con aliquote minimali non assumerebbe certo il carattere di “imposta espropriativa”, stante il ben noto limite imposto al legislatore dall’art. 42, co. 3, Cost., né si porrebbe in contrasto con l’art. 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europa (CDFUE).
Fabio Ghiselli, autore del libro “Giù le tasse, ma con stile!”, Franco Angeli editore.
(Pubblicato da Il Sole 24 Ore l’11 febbraio 2020)