Caro direttore,
nel 1952 il ministro Vanoni convoca mio padre Noè Cinti, apprezzato funzionario del ministero delle Finanze, e lo manda negli Stati Uniti per studiare il sistema tributario americano, convinto che il più urgente problema italiano sia quello dell’evasione fiscale.
Mio padre parte, lasciando una moglie incinta e con quattro figli a carico, con grande senso del dovere, e svolge sei mesi di intensa missione visitando tutti i singoli Stati di quella nazione.
Al ritorno porge al ministro un voluminoso plico con una dettagliata relazione:
Se vuole, posso riassumere in due frasi:
- L’evasione fiscale è considerata furto allo Stato e giuridicamente più grave dell’omicidio, e per gli evasori c’è solo il carcere;
- tutto è deducibile per cui nessuno si fa sfuggire una ricevuta.
Il ministro congedò mio padre con una deprimente affermazione (simile a quella che ho sentito oggi alla radio del premier Conte) relativa al fatto che era contrario ai sistemi coercitivi.
Settant’anni dopo siamo ancora alle prese con il problema enorme dell’evasione fiscale, forse è giunto il momento di applicare quanto suggerito allora.
Saverio Cinti
(lettera pubblicata sul sito internet corriere.it)