La Sovranità Monetaria pura chimera senza credibilità e reputazione. Una possibile soluzione per il recupero.

La sovranità monetaria di un Paese, e dell’Italia in Particolare, in un contesto di cooperazione e aggregazione di Stati, di cui il Paese faccia parte e che ha geneticamente voluto, può essere pensabile solo se tale Paese esprime credibilità, coerenza e reputazione quanto meno pari all’aggregazione nel suo insieme. In alternativa nel lungo periodo la moneta di quel Paese tende a perdere valore relativo e la sovranità tende ad essere limata, arginata ed isolata.

La Banca Centrale di quel Paese finirebbe per svolgere il solo compito di pompiere raffreddatore delle fiammate inflazionistiche e svalutative della moneta con progressiva perdita di forza ed energia atta alla preservazione del valore della moneta, elemento essenziale per la competizione e sviluppo dell’economia in un contesto globalizzato.

L’indebolimento del valore della moneta, espressione del valore dell’economia e in definitiva di un popolo sovrano, causa inevitabilmente crepe nel collante democratico indispensabile per valorizzare la sovranità.

Ma le crepe nella democrazia generano competizioni riparatorie a discapito della stabilità e con utilizzo di risorse destinate principalmente a ripagare i consensi non stabili e non stabilizzanti.

Un consesso socio economico con tali dinamiche precarietà viene scarsamente valorizzato, il misuratore del suo valore, la moneta, assume connotazioni di instabilità perché poco o per nulla richiesta fuori dai confini nazionali con indebolimento della sovranità sia monetaria, sia politico competitiva.

L’evoluzione dei popoli, per accrescerne la sicurezza fisica esposta a aggressioni belliche, si è caratterizzata da aggregazioni formanti staterelli, prima, stati, poi e federazioni di stati ancora in processing in varie parti del mondo.

L’evoluzione dei Popoli e delle loro economie, e con esse, della moneta misuratore del valore, va verso un graduale e inarrestabile processo di aggregazione.

Se ciò è condiviso allora è inevitabile che solo i Popoli ed i Paesi che essi esprimono e che adottano politiche, comportamenti ed esprimono credibilità e reputazione protesa a tale intento aggregativo, possono e saranno valorizzati.

Le politiche divergenti ed in particolare gli atteggiamenti scollanti possono scatenare rigetto delle economie e della finanza verso i Paesi che si caratterizzano con tali politiche e tali atteggiamenti.

L’Italia si sta evidenziando particolarmente virtuosa con tali politiche e tali atteggiamenti e ciò sta causando il graduale allentamento dei flussi finanziari e attrazioni economiche a sostegno della sete di credito pubblico e ripresa economica.

Il Belpaese sembra ricoperto di rughe e non desta più interesse agli investitori che prima del rendimento valutano la credibilità e la reputazione, più queste si abbassano tanto più vengono pretesi rendimenti elevati.

La convivenza con Paesi virtuosi e credibili attutisce il disprezzo sicchè la unica moneta smorza parecchie diseconomie che altrimenti tarlerebbero tutto il tessuto produttivo e socioeconomico del Paese.

La misura dello spread esprime solo in parte e molto ridotta il divario di credibilità, di reputazione, di produttività e di stabilità prospettica tra l’Italia e il Paese Banchmark come la Germania. Senza l’Euro tale divario si proietterebbe a dieci volte tanto e forse anche più con ripercussioni drammatiche sulla popolazione.

Possibile cura da qualcuno suggerita comporterebbe la nazionalizzazione della Banca D’Italia, ultimo gioiello di famiglia da immortalare sull’altare del contenimento del Debito.

Una tale ipotesi così come formulata aggiungerebbe pochissimo o nulla sul piatto del bilanciamento del debito Pubblico. E ciò perché gli utili Prodotti annualmente dalla Banca D’Italia per il 70% abbondante già vanno al Tesoro, dopo gli accontanamenti e una modesta quota (appena l’8% quale media degli ultimi 15 anni) destinata ai Soci partecipanti e finiscono per dissetare solo in parte la gola profonda delle uscite di cassa del Paese Italia. Nell’ultimo triennio la Banca D’Italia ha riversato allo Stato ben 7,6 miliardi di Euro di soli profitti netti senza contare le imposte.

Ma un secchio d’acqua non spegne l’incendio e tantissimi secchi d’acqua temporalmente distanziati non spengono ugualmente. Occorre una poderosa cascata ed in luogo della inutile nazionalizzazione della Banca D’Italia potrebbe concepirsi la cartolarizzazione o anticipazione sui suoi utili futuri, almeno quelli dei prossimi 30 anni, stimabili mediamente uguali a quelli del quindicennio passato pari alla media di 1,032 miliardi di € sicchè da riversare al Tesoro, considerando un tasso di attualizzazione del 3,80% annuo applicato al rimborso annuale, una valanga stimabile in circa 18,3 miliardi di € esercitante un impatto riduttivo del rapporto debito PIL di circa l’1,06% secondo i tassi attuali che sul trentennale oscillano attorno al citato 3,80%.

Tale valanga potrebbe raggiungere la dimensione, rispetto al PIL, dell’1,57% pari ad € 27 miliardi, laddove si volessero cartolarizzare\anticipare la media degli ultimi 10 anni di Utili netti che la Banca D’Italia ha riversato allo STATO pari ad € 1,5 miliardi di € all’anno. La TABELLA di seguito esposta fornisce in chiaro detti dati:

BILANCI DELLA
BANCA D’ITALIA

DATI IN MILIONI DI €

ANNI

UTILE NETTO

IMPOSTE

RIVERSATI
AL TESORO

VERSATO AI SOCI 
PARTECIPANTI

2003

52,40

1.116,10

31,42

1,56

2004

25,45

258,06

15,26

1,56

2005

50,28

934,50

30,16

1,56

2006

133,76

668,92

80,24

1,56

2007

95,16

1.610,49

57,08

1,56

2008

175,21

327,72

105,11

1,56

2009

1.668,57

805,07

1.001,13

1,56

2010

852,31

924,66

511,37

1,56

2011

1.129,18

1.101,24

677,49

1,56

2012

2.501,13

1.927,12

1.500,66

1,56

2013

3.035,32

1.643,60

1.896,48

380,00

2014

2.998,24

1.158,73

1.908,68

340,00

2015

2.797,18

1.012,15

2.157,18

340,00

2016

2.685,78

1.310,33

2.155,78

340,00

2017

3.895,35

1.562,72

3.365,35

340,00

MEDIA 15 ANNI

1.473,02

1.090,76

1.032,89

117,04

MEDIA 10 ANNI

2.173,83

1.177,33

1.527,92

174,78

TOTALI

22.095,32

16.361,41

15.493,38

1.755,60

Fonte: bilanci annuali della banca d’Italia

Ma tale operazione, se accompagnata da una inversione di rotta delle politiche aridamente spenderecce e più protese allo sviluppo di lungo periodo e fortificazione del capitale umano, schiaccerebbe lo spread a livelli Francesi o quasi con notevoli benefici per l’abbattimento degli interessi sul debito, per il sistema bancario e del credito in generale, linfa indispensabile per la ripresa economica.

Una esemplificazione molto realistica, con l’aiuto dei dati esposti in TABELLA aiuta a comprendere come il “gioiello di Famiglia” potrebbe essere utilizzato per salvare il patrimonio, la credibilità e reputazione del “Belpaese”.

Il Tesoro potrebbe affidare ad un consorzio di Banche la cartolarizzazione (con emissione di speciale serie obbligazionaria da tenere fuori dalle componenti costituenti Debito ai fni del rispetto dei parametri di stabilità) oppure chiedere l’anticipazione sul flusso degli utili futuri attesi generati dalla Banca D’Italia per i prossimi 30 anni.

Secondo i dati esposti in TABELLA ed acquisiti dai Bilanci della Banca D’Italia tale flusso medio attendibile potrebbe essere fissato pari ad € 1,032 Miliardi annui, in base alla media dell’ultimo quindicennio, oppure pari ad € 1,527 Miliardi sulla scorta della media dell’ultimo decennio.

Il beneficio immediato sul rapporto debito PIL dovrebbe essere accompagnato da politiche rafforzative degli investimenti a produttività prolungata destinabili sia al capitale fisico sia a quello umano.

La conseguente diminuzione dello Spread ricondurrebbe il Tassi di interesse da corrispondere ai detentori di Debito Pubblico entro limiti compatibili con l’allineamento al virtuosismo voluto e vigilato dell’Unione Europea sicché da far riemergere maggiori profitti per la stessa Banca D’Italia, detentrice di Titoli Pubblici, sia per l’intero sistema Bancario che, partecipando, alla maxi operazione di Cartolarizzazione\Anticipazione, verrebbe a beneficiare di forti plusvalenze in linea capitale a motivo della riduzione dei rendimenti (e conseguente aumento del valore dei Titoli) anche sulle lunghe scadenze.

I benefici che i due alternativi stock prospettati determinerebbero sui bilanci dei detentori di detto assets oscillerebbero tra i 10,9 miliardi di €, nell’ipotesi di attualizzazione dei 30 flussi da € 1,527 miliardi, ed i 7,3 miliardi di € nella ipotesi più prudente di attualizzazione dei 30 flussi da 1,032 miliardi di € annui.

Tali benefici sono da assumersi concretizzabili nel presupposto dell’appiattimento dello Spread a livello di poco superiore a quello francese e con l’utilizzo di un tasso di interesse sul trentennale pari al 2% in luogo del 3,80% che oggi grava sul Belpaese.

La ipotesi prospettata, laddove ritenuta concretizzabile, potrebbe essere estesa anche ad altre partecipate del Tesoro che senza soluzione di continuità abbiano prodotto utili nell’ultimo quindicennio o decennio.

La vendita o la secretazione dei gioielli di famiglia è l’ultima spiaggia del disperato e non avrebbe alcun senso porla in essere se non si diagnostica correttamente le cause profonde e antiche della disperazione e se ne pongano rimedi per il futuro, nell’ottica di Governare il lungo periodo e non lo scambio di consensi a prendere voti e distribuire riconoscenze irrazionali, improduttive e dannose per gli stessi beneficiati.

Ortona, ottobre 2018