La Commissione europea ha avviato per la prima volta nella sua storia una procedura di infrazione per debito eccessivo contro il nostro Paese, perché la traiettoria del nostro debito pubblico (arrivato al 132 % del PIL, pari a 2.370 miliardi) dopo essere aumentata negli anni della crisi ed essere stata stazionaria nell’ultimo triennio, ora rischia di aumentare di nuovo.
Secondo il rapporto della Commissione Ue, in mancanza di correttivi, nel 2021 potremmo arrivare al 135% del PIL e secondo il Fondo monetario, al 2025 potremmo superare il 139%: Tutto ciò contrasta con gli accordi presi in sede europea, che prevedevano un percorso di graduale e costante discesa del debito, come chiedono anche la BCE e la Banca d’Italia. Se continuasse a crescere, il debito rischierebbe di apparire non sostenibile agli occhi degli investitori, che ogni anno debbono prestarci circa 400 miliardi, e ciò provocherebbe un aumento dei tassi d’interesse, perché per continuare a prestarci soldi gli investitori chiederebbero una remunerazione maggiore, correlata al maggior rischio, che potrebbe sfociare anche nella mancata sottoscrizione dei nostri titoli pubblici. Già un aumento dei tassi è comunque negativo, perché sottrae allo Stato risorse che potrebbero essere impiegate in modo diverso: oggi paghiamo circa 65 miliardi l’anno di interessi sul debito. Se avessimo i tassi non dico tedeschi, ma spagnoli o portoghesi, pagheremmo 20 o 30 miliardi di meno per interessi, soldi che potrebbero essere impiegati per ridurre le tasse oppure per investire di più in scuola, sanità, ricerca…
Eppure la riduzione del debito pubblico, che è l’assillo principale dei nostri partner europei perché una nostra difficoltà finanziaria potrebbe mettere in crisi la moneta comune con riflessi negativi anche negli altri Paesi dell’euro, sembra non interessare i nostri politici, che si affannano a promettere sempre nuove spese o nuove riduzioni di tasse, e i nostri concittadini che continuano a credere in quelle promesse impossibili e a votare i politici che le strombazzano. Occorrerebbe invece prendere coscienza che la riduzione del debito è un nostro interesse primario, sia per ridurre gli interessi e poter ridurre le tasse o spendere di più per i servizi pubblici, sia per proteggere i nostri risparmi che potrebbero essere compromessi da una crisi del debito pubblico. Secondo Banca d’Italia le famiglie italiane hanno patrimoni complessivi per poco meno di 10 mila miliardi (5.300 miliardi di immobili e 4.200 miliardi di attività finanziarie). Una crisi del debito, che potrebbe condurre l’Italia fuori dall’Euro verso la vecchia liretta, avrebbe come prezzo immediato una riduzione del valore dei nostri patrimoni e risparmi che gli esperti valutano tra il 30 e il 40%. Saremmo dunque tutti più poveri.
Ridurre il debito, del resto, non sarebbe doloroso. Basterebbe gestire la spesa pubblica in modo prudente e soprattutto convogliare le risorse disponibili verso la crescita economica perché per far scendere il debito occorrere che il tasso di crescita del PIL sia superiore al tasso d’interesse medio dei titoli di Stato. Oggi invece non è così, e siamo l’unico grande Paese europeo che ha questa caratteristica negativa: quest’anno il nostro PIL crescerà dello 0,1-0,2%, mentre il tasso medio sui titoli di Stato è attorno all’1,4%. In queste condizioni il debito non può che aumentare.
In attesa di ottenere l’inversione del rapporto tra crescita del PIL e tasso d’interesse sul debito, potremmo almeno dare ai nostri partner e ai mercati l’impressione che abbiamo la volontà di ridurre il debito. Potremmo per esempio convogliare alla riduzione del debito (attraverso il Fondo di ammortamento dei titoli di Stato, che andrebbe ribattezzato Fondo di riduzione del debito) tutti gli incassi straordinari dello Stato, come i proventi della lotta all’evasione fiscale, i patrimoni confiscati alla criminalità organizzata e ai corrotti, oltre ai proventi delle privatizzazioni, che andrebbero accelerate ed estese sia alle aziende nazionali e locali, sia agli immobili di Stato, Regioni e Comuni (Banca Intesa San Paolo ha presentato al governo un Piano per favorire queste cessioni a livello centrale e locale).
Se ci impegnassimo in un serio piano di promozione della crescita del PIL, se contenessimo la spesa pubblica ai livelli attuali, se dessimo al mondo l’impressione di voler davvero ridurre il debito anche con misure “psicologiche”, riusciremo ad evitare la procedura europea di infrazione e a riportare il debito sul percorso di riduzione che stiamo pericolosamente abbandonando. E staremmo tutti meglio.