La natura e la rilevanza del debito pubblico italiano è l’effetto del più colossale caso di corruzione ai danni del popolo. Proviamo a riavvolgere il nastro e a ripartire dagli anni settanta.
In quegli anni grandi riforme ispirate dalla Costituzione videro la luce ed una stagione di rivendicazioni sociali ed economiche finalmente approdarono nel porto sicuro della giustizia sociale, segno che le lotte coinvolsero grandi strati della popolazione di fronte alle quali i governi dovettero piegarsi. Entrò in vigore una riforma fortemente progressiva dell’Irpef (imposta sul reddito delle persone fisiche), fu deciso l’intervento della Banca d’Italia a tutela del debito italiano, fu introdotta la scala mobile.
Eventi internazionali mutarono il quadro economico: le crisi petrolifere crearono un sistema finanziario importante che iniziò a contare sempre di più. La Banca d’Italia se ne accorse in ritardo e, soprattutto in occasione di alcuni scandali bancari in cui figurarono coalizzati banche private, Ior, mafia, politica e settori deviati dello Stato, cercò di fare luce e chiarezza, pagando un prezzo molto alto. La finanza che governava davvero l’Italia e la politica corrotta di quegli anni fecero guerra a tutto quello che poteva ostacolare questo processo inarrestabile di “mutazione genetica” e fecero, ingiustamente, incriminare i vertici della Banca d’Italia, giusto il tempo di creare le premesse per quello che è stato da molti definito “il colpo di Stato” finanziario ed economico più silenzioso ed efficace dalla fine della seconda guerra mondiale: il divorzio della Banca d’Italia dal Ministero del Tesoro.
Dopo questa scelta, unitamente a fattori internazionali, il nostro debito in rapporto al Pil raddoppia e nulla più resterà come prima. Il divorzio in realtà fu un accordo di non belligeranza. I conflitti, fino a quel momento forti e drammatici tra politica e Banca d’Italia che sostanzialmente vertevano sui rischi dei processi di finanziarizzazione per l’intero assetto internazionale, europeo ed italiano, furono barattati con l’allentamento dei controlli in cambio di un generale abbassamento del livello del conflitto. La politica e la finanza avrebbero lasciato in pace la Banca d’Italia ed in cambio questa avrebbe ridotto i controlli su un sistema finanziario infettato e colluso con la criminalità organizzata e con forti poteri diffusi che vedevano nella finanza ombra, e nella deregolamentazione, il nuovo Eldorado.
Il drastico allargamento della forbice tra top e down della scala sociale è un tratto caratteristico degli ultimi 30 anni della nostra storia. Fino agli anni ‘80 nei paesi avanzati il divario di ricchezza si era attenuato. Ma nella disuguaglianza c’è un forte vissuto di deprivazione relativa: uno “smottamento” per il Censis; la perdita relativa di ricchezza dei molti nei confronti dei più ricchi accresce invidia e risentimento sociale, alimentano il populismo e l’avventura politica; abbiamo sbagliato a pensare che il processo, molto accelerato, di benessere potesse non avere mai fine.
Le dinamiche di privatizzazione, utilizzate come risoluzione dei problemi, rappresentarono in realtà la capitolazione dinanzi ai nuovi padroni del mondo. Svelare questi meccanismi e renderli patrimonio comune può aiutarci ad arricchire il discorso pubblico sul debito e a non restare all’angolo cadendo nelle trappole della illusoria “crescita”, insostenibile dal punto di vista ambientale, e nel gioco al massacro dei “tagli”, ormai insostenibili dal punto di vista sociale.
Questa prospettiva evita anche di farci cadere nella ideologia nazionalistica o sovranista per cui la colpa delle nostre condizioni socio-economiche è da attribuire ai migranti o a categorie sociali fragili, e quindi a smontare la retorica xenofoba e razzista.
Gli italiani non possono prendersela con coloro che non erano neanche nati in quegli anni e che non erano neanche presenti in Italia, ma che solo dopo molto tempo approdarono sulle nostre coste in cerca di dignità. Ci siamo fatti mali anche da soli e con noi molti paesi del mondo. Gli squilibri economici nel mondo, alla base del “non ci sono i soldi” e “prima i nostri” sono un fenomeno di lungo corso e non il portato della crisi degli ultimi 10 anni.
Occorre rifiutare “l’ideologia dell’ordine dei conti”, facendo pagare un debito pubblico, a questo punto incolpevole per il 99% della popolazione, ai ricchi e super-ricchi con patrimoniali straordinarie ed ordinarie e reintroducendo una reale progressività e cumulabilità. Altro che “flat tax” nella versione scandalosa ed incostituzionale in cui è stata presentata dal governo in carica!
Il recente studio “Fisco & Debito”, promosso da Cadtm Italia, dimostra come tutti i governi italiani, dal 1983 ad oggi, si sono inseriti nel solco delle riforme neo-liberiste globali, che realizzano disuguaglianze scandalose e governano con ogni mezzo il processo autoalimentandolo senza soluzione di continuità.
È evidente che fenomeni mondiali sono alla base dell’aumento del debito pubblico dei paesi vulnerabili e ciò smonta anche l’attribuzione delle responsabilità ad un’Europa che, d’altra parte, con i suoi vincoli e con le sue storture istituzionali, non indica un’uscita democratica dall’attuale capitalismo finanziario.
L’obiettivo resta il ripudio concordato del debito pubblico mondiale, almeno nella parte alimentata dalle speculazioni finanziarie, dagli interessi passivi che non dovrebbero maturare sui titoli del debito pubblico, dalle spese militari, dalle grandi opere inutili e dannose, dalle privatizzazioni di servizi essenziali, dai salvataggi bancari scandalosi, dai contratti asimmetrici come i derivati.
Questi approcci e queste ricerche possono ridefinire un discorso pubblico nuovo, un metodo di approccio sociale e politico che può sortire effetti liberatori nella direzione di una nuova giustizia sociale ed economica mondiale. Tutto ciò dimostra come gli effetti di questi processi possono essere inquadrati dentro il più ampio fenomeno corruttivo che vede da una parte la finanza, la criminalità organizzata, settori imprenditoriali collusi, la politica governativa debole e succube dei poteri forti e dall’altra un popolo che subisce ignaro e per lo più distratto dalla “politica del nemico”, guarda caso povero, fragile, debole, solo oppure lontano e irraggiungibile.