estratto da pag. 27 di “ITALIA OGGI” di oggi, a firma di Valerio Stroppa.
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– Prioritaria la messa a regime dell’incrocio dei dati presenti nell’Archivio rapporti – Al via le società di capitali. Poi le persone fisiche – di VALERIO STROPPA
Saldi e movimentazioni di conti correnti e investimenti finanziari utilizzati per individuare i contribuenti a maggiore rischio di evasione. Seppur con quasi sei anni di ritardo rispetto all’entrata in vigore della norma, l’Agenzia delle entrate ha lanciato la sperimentazione con il provvedimento del 31 agosto scorso (si veda ItaliaOggi di sabato), con riferimento alle società di persone e di capitali, e punta a estendere la nuova metodologia di controllo anche alle persone fisiche nel giro di pochi mesi. La messa a regime dell’incrocio tra i dati presenti in anagrafe tributaria e le informazioni incluse nell’Archivio dei rapporti finanziari è infatti uno degli obiettivi indicati nel piano triennale delle performance 2018-2020. Era il dicembre del 2011 quando, tra le pieghe della manovra Monti, il decreto emanato d’urgenza per rispondere alla tempesta finanziaria abbattutasi sui mercati a scapito dell’Italia, veniva introdotto l’obbligo per banche e altre intermediari di comunicare annualmente al fisco i dati relativi ai rapporti in essere con i propri clienti: codice fiscale dell’intestatario, tipologia del conto o investimento, saldo iniziale e finale, somma delle movimentazioni attive e passive del periodo. Il «grande fratello» fiscale è scattato nel 2012, in anticipo di diversi anni rispetto a quanto sarebbe avvenuto poi con lo scambio automatico di informazioni a livello europeo e infine globale, grazie al Common reporting standard dell’Ocse. Da allora l’Archivio rapporti ha accolto una mole notevole di informazioni. Solo tra il 2011 e il 2014 gli operatori finanziari hanno indicato 669 milioni di posizioni, per un totale di anagrafiche associate vicino ai 900 milioni di contribuenti. Ma il contemporaneo compito assegnato all’Agenzia delle entrate dallo stesso di n. 201/2011 di elaborare specifiche liste di contribuenti a maggior rischio evasione «è stato totalmente disatteso», ha rilevato un anno fa la Corte dei conti nella delibera n. 11/2017/G. Nonostante una lunga fase di sperimentazione interna, che ha coinvolto anche Sogei, il provvedimento che avrebbe dovuto indicare i criteri selettivi per l’individuazione dei contribuenti a maggior rischio basandosi sulle risultanze finanziarie non ha visto la luce. Una situazione che ha portato la magistratura contabile a stigmatizzare «il chiaro sottoutilizzo» dell’Archivio rapporti. Le critiche non avevano risparmiato nemmeno i diversi ministri dell’economia che si erano nel frattempo succeduti, i quali, pur titolari dei poteri di indirizzo e vigilanza, «non erano mai intervenuti attraverso specifiche indicazioni affinché l’Agenzia provvedesse a elaborare le liste come dovuto per espressa previsione normativa». Dopo un’ulteriore fase sperimentale, nei giorni scorsi le Entrate hanno dato il via all’incrocio dei dati finanziari riguardanti le società di persone e di capitali che, avendo ricevuto accrediti sui propri conti secondo quanto risultante dall’Archivio rapporti, non hanno presentato la dichiarazioni dei redditi e/o Iva per l’anno 2016, oppure non hanno indicato dati significativi. Si amplia così l’impiego dei database dell’amministrazione finanziaria per stimolare la compliance. Già dal 2015 l’Agenzia invia a cittadini e imprese specifici «alert» di anomalia, derivanti dall’incrocio dei dati presenti in anagrafe tributaria con le dichiarazioni trasmesse.
Nota:
[1] “…Si consideri che la Corte dei conti in un suo recente rapporto[2] ha scritto che, nonostante questa banca dati sia potentissima, è scarsamente utilizzata, la sua capacità di utilizzo in chiave antievasione è ridotta ai minimi termini.
La Corte ha messo nero su bianco che la legge[3] con cui è stata istituita la banca dati aveva espressamente previsto l’elaborazione, attraverso procedure centralizzate, di specifiche liste selettive di contribuenti a maggior rischio di evasione. Il compito di predisporle era demandato, dalla legge, al direttore dell’Agenzia delle entrate.
Ebbene, a distanza di oltre cinque anni dall’obbligo di elaborare le liste selettive – conclude la Corte – nessun contribuente è stato selezionato quale soggetto a maggior rischio di evasione, «sicché non v’è dubbio che la norma sia stata totalmente disattesa dall’Agenzia».
Queste conclusioni dovrebbero indurci ad una seria riflessione, anche alla luce delle due premesse appena fatte.”
Praia a Mare 6/7 ottobre 2017
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