di Angelo Grasso
Presi come siamo dalla pressante contingenza rappresentata dalla fine del Quantitative Easing da parte della BCE, fine che decreterà sicuramente l’innalzamento dello spread BTP/Bund, noi Italiani non riusciamo ad alzare lo sguardo oltre l’orizzonte temporale del brevissimo termine.
Aver dato, purtroppo, la potestà di batter moneta ad un Ente esterno alla Nazione senza aver al contempo centralizzato il Debito Pubblico a livello europeo ci rende fragili ed indifesi ad ogni stormir di fronda dei mercati e degli speculatori, spesso vestiti anche di paludati panni istituzionali.
Ci sono degli aspetti invece poco o per nulla considerati riguardo alla relazione tra il nostro grande Debito Pubblico e la Quarta Rivoluzione Industriale appena iniziata. Questa rivoluzione porterà ad una catena di effetti che avranno una pervasiva influenza futura su tutte le Nazioni, effetti che cambieranno sicuramente il volto, ma soprattutto le strutture degli stati nazionali, quelli che noi oggi conosciamo e viviamo. Industria o Industry 4.0 viaggerà ad una velocità tecnologica quadrupla rispetto alla precedente. I futurologi prevedono che nei prossimi trent’anni potrebbero sparire tra il 10 e il 40% dei posti di lavoro attuali. Se anche rimanessimo a metà della forchetta rischieremmo di perderne un quarto. Con ovvi e conseguenti nuovi problemi sociali. Riusciremo a creare al contempo nuovo lavoro? I futurologi non lo sanno. Se non sarà così qualcuno già paventa possibili fenomeni di neoluddismo. Che rapporto avrà questa rivoluzione con il nostro Debito e segnatamente con i Debiti Pubblici di tutte le nazioni? Vediamo innanzi tutto quali saranno i capisaldi tecnologici di questa rivoluzione. Verterà su cinque innovazioni fondamentali: robotica, intelligenza artificiale, internet delle cose, rivoluzione elettrica e blockchain. Tralascio di proposito temi come lo sviluppo delle scienze biologiche e quello delle nanotecnologie. Il primo perché foriero di temi etici scabrosi, come ad esempio la clonazione umana. Il secondo perché inerente allo sviluppo di quasi tutte le nuove tecnologie. Esaminiamo in dettaglio i cinque punti.
Robotica e Intelligenza Artificiale
Attualmente si stanno costruendo in tutto il mondo innumerevoli tipi di robot. Molti di questi sono androidi, assolutamente simili agli esseri umani e già oggi difficilmente distinguibili a distanza. Possono deambulare come gli umani, muoversi su ruote o cingoli, o restare ancorati al suolo e fare lavori ripetitivi al posto degli operai in fabbrica. I robot attuali sono dotati di normali computer. Oggi il computer è potentissimo, ma potenzialmente stupido. E’ l’uomo che deve saperlo gestire. Se do un piatto di ceramica ad un androide dotato di un odierno computer devo insegnargli come manipolarlo. “Attento,è fragile”. Ma se l’androide è dotato di un computer intelligente non ce ne sarà bisogno. Senza nessuna conoscenza dell’oggetto lo prenderà in mano e manipolandolo, capirà da solo la sua fragilità, trattandolo di conseguenza con attenzione. Nei prossimi anni, quando questi robot saranno dotati di intelligenza artificiale, ovvero un computer capace di ragionare come un uomo, avremo al nostro fianco dei nuovi “esseri” affascinanti ed inquietanti al contempo. La nuova frontiera dell’intelligenza artificiale sarà rappresentata dai computer quantistici. In breve. Mentre oggi un computer è strutturato sul codice binario zero-uno, quelli quantistici opereranno con bit compresi nell’intervallo tra zero e uno, moltiplicandone la potenza di calcolo. Il robottino italiano Icub è uno dei più avanzati al mondo. Costruito dall’Università di Genova in varie decine di esemplari distribuiti in tutto il pianeta rappresenta uno dei primi esempi di creazione di un robot “opensource”. Un robot che riesca ad imparare da solo, sia dall’esperienza, sia dall’interazione con ciò che lo circonda. Dotato di una pelle artificiale che trasmette sensazioni “umane” è probabilmente la piattaforma robotica umanoide più diffusa al mondo. In futuro, se una macchina sbaglierà e farà danno, di chi sarà la colpa? Del proprietario? Del costruttore? Dello sviluppatore del software? O infine del manutentore? I replicanti di Blade Runner e di Terminator potrebbero essere presto realtà. Ad un certo punto dovremo sicuramente aggiornare il Diritto e forse la Filosofia.
Si prevede di costruire un computer che ragioni come un essere umano, con quoziente intellettivo pari a 130, entro 10/15 anni. Otterremo così la Agi, Artificial General Intelligence. Quando questo computer costerà 1.000 dollari potremo sostituire gli esseri umani in quasi tutte le attività. Entro 30/40 anni si prevede di costruire un computer Asi, Artificial Super Intelligence con quoziente intellettivo pari a ….13.000…. o a 34.500! Qualcuno ipotizza che nuovi esseri, androidi dotati di intelligenza artificiale, un domani avranno anche diritti in linea con quelli degli umani. Bill Gates, Stephen Hawkings (appena mancato) ed Elon Musk, tanto per citare tre personaggi noti in tutto il mondo, si sono detti, in modi, spazi e tempi diversi, preoccupati per questo sviluppo. Secondo loro i nuovi super computer potrebbero prendere coscienza di loro stessi. Matrix e Skynet diventare realtà. Non tutti però sono concordi. Il noto scienziato italiano Mario Rasetti pensa invece che l’umanità debba stare tranquilla, dato che, secondo lui, il cervello umano non è attualmente replicabile. Comunque sia, queste innovazioni porteranno alla diminuzione del lavoro umano. I primi a sparire saranno tutti i mestieri semplici: cassieri, magazzinieri, commessi, operai, impiegati.
Meno redditi, meno imposte, meno welfare state, più Debito Pubblico. Da segnalare infine che con il divorzio definitivo tra costo della manifattura e salario operaio si potrebbe avverare la profezia della “stagnazione secolare”. Robot che lavorino instancabilmente, senza mai fermarsi, ammalarsi o andare in vacanza consentirebbero di mantenere stabili i prezzi dei prodotti industriali. Combinando una produzione completamente robotizzata con l’utilizzo di energia rinnovabile, sempre meno costosa e potenzialmente infinita, l’umanità potrebbe andare incontro a periodi di inflazione nulla. Ricordo che la “grid parity”, ovvero la parità nel costo di produzione dell’elettricità tra fonti rinnovabili e combustibili fossili, è già oggi realtà in molti Paesi del mondo. In questo caso i tassi potrebbero rimanere sempre bassi, tendenti allo zero. L’aumento della produttività potrebbe consentire in questo caso l’aumento dei consumi sganciando, in parte o totalmente, l’umanità dai cicli del debito di breve e lungo termine, cicli che hanno dominato finora il capitalismo.
Internet delle Cose o Internet of Things (IoT)
Tutto quello che avrà un chip sarà collegato e interconnesso in rete. La macchine dialogheranno tra loro, anche senza bisogno di una intermediazione umana. Entro sette anni saranno interconnessi in rete 150 miliardi di dispositivi. Dal macchinario a cui fare un “upgrade” a distanza, alla domotica a controllo remoto, al vasetto dei medicinali che mi avvertirà via sms o email se non ho preso la pastiglia quotidiana, al vasetto di yogurt che mi dirà “mangiami perché sono in scadenza”. Internet of things significherà in un futuro più lontano anche smart city. Auto a guida autonoma regolate nel traffico da computer semaforo e cartelli stradali intelligenti. Con l’auto a guida autonoma di livello 5, possibile già nei prossimi anni, quali mestieri e attività potrebbero sparire? Scuole guida, uffici rinnovo patenti, carrozzieri, tassisti, autisti, Rca personale. Quest’ultima non sarà più individuale, ma pagata al/dal costruttore. Bassissima e uguale per tutti.
Rivoluzione elettrica
Quella della rivoluzione elettrica spesso è una rivoluzione trascurata da massmedia e futurologi. Avrà invece un risultato sulle nostre vite e sui conti pubblici degli stati molto superiore a quello finora paventato. Strumenti elettrici più disparati sostituiranno dispositivi funzionanti con altri principi. Le pompe di calore e sistemi integrati di riscaldamento sostituiranno le caldaie a gas.
Oggi un edificio in Classe G, quello che rappresenta la stragrande maggioranza di quelli costruiti in Italia, consuma in media oltre 180 kw/h mq/anno per condizionamento ed elettricità. Le attuali case passive consumano 10/15 kw/h mq/anno. Le case del futuro non saranno solo passive, ma saranno addirittura produttrici nette di energia. E’ chiaro che il fabbisogno elettrico per mq/anno dei fabbricati crollerà in prospettiva, sia per merito delle nuove costruzioni, sia per il restauro dell’esistente. Uno studio di Eurelectric, l’associazione delle utility elettriche europee, indica per l’Italia l’obiettivo di raggiungere un tasso di elettrificazione dei consumi totali pari al 59% (praticamente in media con quello europeo posto al 60%), partendo dal 21% del 2015. I mezzi di trasporto del futuro saranno sempre più elettrici. Nel tempo arriveremo addirittura ad aerei elettrici, probabilmente aiutati nel raggiungimento di una maggiore autonomia di volo da un range extender a turbina. Un dirigente della Siemens, uno dei più grandi costruttori mondiali di motori elettrici, ha recentemente dichiarato che entro 10 anni sarà possibile progettare un liner da 100 posti di tipo ibrido. Le auto elettriche si affiancheranno gradatamente a quelle a motore a scoppio. L’Europa, patria del diesel, ha deciso di dichiarare guerra a questo efficiente propulsore. La colpa? Essere un grande produttore di polveri sottili. Misurazioni del nostro Ministero della Sanità hanno però evidenziato che i diesel Euro 6 emettono allo scarico la stessa qualità d’aria che aspirano, qualche volta addirittura più pulita. Il diesel tra l’altro è il miglior motore a combustione per quanto riguarda le emissioni di CO2.. Le emissioni di anidride carbonica, essendo relative al diretto consumo di carburante, non sono ovviamente comprese nelle varie direttive Euro 4, 5 e 6. E la CO2 aumenta l’effetto serra. Ma tant’è. Guerra sia. Con che cosa sostituiremo le diesel? Con un mix di ibride benzina/elettriche, gas (GPL, metano, biometano, idrogeno) ed elettriche. Per queste ultime bisognerà riconvertire tutta una filiera produttiva. L’Italia produce più di 700.000 motori diesel all’anno destinati ad autovetture e veicoli commerciali. Il motore elettrico non ha olio motore, filtro olio, olio del cambio, filtro carburante, cinghia di distribuzione, candelette e candele. Anche l’indotto after market potrebbe così perire. E le imposte sui carburanti? Mancheranno gradualmente. L’energia eolica e fotovoltaica, oltre alla mini-idroelettica che sfrutta gli innumerevoli piccoli salti d’acqua presenti sul nostro territorio non ancora sfruttati, aumenterà ancora di produzione. Nel 2017 oltre il 32% della produzione nazionale italiana di elettricità è stata fatta grazie a tutte le fonti rinnovabili. Il continuo aumento dell’efficienza dei moduli fotovoltaici e delle pale eoliche, oltre al possibile sfruttamento in futuro del vento d’alta quota (interessante il progetto italiano KiteGen imperniato su grandi “aquiloni” fluttuanti a 800-1000 metri), relegheranno via via le fonti fossili a percentuali calanti. La produzione di idrogeno, ora molto inquinante perché attuata dal metano, potrebbe venire effettuata tramite elettrolisi. Attualmente questo metodo è molto costoso. Impiegando energia elettrica rinnovabile marginale prodotta nelle ore notturne, che altrimenti andrebbe persa, potremmo invece ottenere un buon sistema di immagazzinamento dell’elettricità. Altro metodo allo studio è quello della produzione biologica dell’idrogeno tramite alghe in bioreattori. Ricordiamo che l’idrogeno non è un combustibile, ma un “vettore energetico”. Gli effetti della produzione di energia rinnovabile saranno benefici per la nostra bolletta petrolifera e la Bilancia dei Pagamenti. Calo dei consumi e disponibilità ancora abbondante di petrolio potrebbero portare ad una conseguente stabilità o calo dei prezzi. Al contempo i Paesi esportatori di petrolio potrebbero avere meno denaro per comprare i prodotti delle nostre industrie. Sarà per gli Stati però che si avranno gli effetti più grandi. Ogni anno l’Italia incassa decine di miliardi di euro da Iva e accise sui carburanti. Questo ammanco porterà inevitabilmente ad una nuova riformulazione delle varie imposte. Nel caso non si sapesse più cosa tassare si dovrebbe procedere a sensibili tagli di spesa e dire parzialmente addio al welfare state.
Blockchain
Una blockchain, in italiano “catena di blocchi”, è un registro informatico aperto e distribuito che può registrare le transazioni tra due parti in modo sicuro grazie alla crittografia. Una volta registrati, i dati di un blocco non possono essere retroattivamente alterati senza il consenso dei creatori del blocco e di quelli dei blocchi successivi. Lo sviluppo delle blockchain permetterebbe a chiunque di essere in possesso dei suoi dati. Si formerebbe in questo caso una società orizzontale non più bisognosa di piramide gerarchiche, né di grandi aziende, come Google o Facebook. Gli utenti potrebbero creare un nuovo social creando una nuova blockchain. Ognuno sarebbe possessore dei propri dati. Una nuova società orizzontale dove uno vale uno. Dove ognuno potrà crearsi, attingendo dalla consulenza libera disponibile in rete, i prodotti necessari ai propri bisogni. Qualcuno ipotizza la possibilità di farsi anche i medicinali in casa. In Italia il Movimento 5Stelle, fatto inizialmente da giovani internauti ha attinto da questi temi parte della sua mission. Alle ultime elezioni però i pentastellati hanno in parte abbandonato il tema del “uno vale uno” andando alla ricerca di persone con competenze specifiche, mettendo poi in lista personaggi esperti nelle varie discipline umane. L’utilizzo più significativo finora avuto dalle blockchain è quello relativo alla nascita delle criptovalute, o valute digitali, avvenuto con la nascita del bitcoin. A tutt’oggi sono già nate oltre 1.600 criptovalute. Oltre la metà di queste sono già fallite. Altre, come il prisco bitcoin, hanno fatto invece la fortuna dei primi investitori. Il Bitcoin, emesso per la prima volta nel 2009, all’inizio non valeva nemmeno un centesimo di dollaro l’uno, per rasentare, a dicembre 2017, i 20.000 dollari. Come funziona una criptovaluta? Un gruppo di lavoro, o una sola persona, situati in ogni parte del globo creano un algoritmo con cui “estraggono” le monete virtuali e le mettono in vendita. Le criptovalute sono generate al di fuori del controllo degli Stati nazionali e sono apparentemente limitate nella loro creazione. Il limite è rappresentato dagli algoritmi necessari alla loro creazione, via via sempre più complessi e bisognosi di imponenti quantitativi di elettricità. Tutte le transazioni finora avvenute hanno il vantaggio di non essere controllate dagli stati e dunque essere esentasse. Una enorme partita di creazione di valore che sfugge all’imposizione fiscale. Le criptovalute tra l’altro hanno il vantaggio di essere impignorabili in quanto nessuna autorità ha, data la complessità delle catene, una qualsivoglia capacità tecnologica per attuare un sequestro. Si creano così agognati santuari di accumulo e salvaguardia della ricchezza. La sicurezza di un vecchio conto svizzero alla portata di quasi tutti. Anche nel luogo più remoto o nel paese più disastrato del mondo si può detenere il proprio conto parabancario senza spostarsi di un metro da casa propria. I governi hanno tentato di frenare questo mercato. In Corea le autorità hanno dovuto fare marcia indietro. Dopo un primo stop migliaia di giovani hanno protestato e costretto il Governo a riammettere la transazione dei bitcoin. Per molti disoccupati era l’unica fonte di guadagno. Tutto questo impone ovviamente ai Governi scelte difficili. Scontentare i cittadini, ovvero gli elettori, o permettere ampi buchi nel pagamento delle imposte, con tutte le prevedibili conseguenze. In questo bailamme si sono inserite ovviamente le varie criminalità organizzate del pianeta, sicure dell’anonimato che queste monete comportano. Vari gruppi di hacker piratano i sistemi informatici delle aziende nel mondo chiedendo riscatti pagabili in bitcoin per il ripristino dei dati. E’ da segnalare infine Ethereum, famosa come criptovaluta, in realtà la costituenda blockchain che si vuole proporre come unica al mondo. Unica proprio nel senso che tutto il mondo, potrebbe o dovrebbe, utilizzare solo questa. Unica e sostituta di internet. Sì, perché solo questa o una serie di svariate blockchain si propongono di sostituirsi ad internet. Il paradosso è che questa impresa è finanziata da merchant bank e grandi imprese. Proprio quelle che dovrebbero morire grazie a questa nuova tecnologia. Il Dubai sarà il primo stato al mondo che nel 2020 lancerà una propria blockchain amministrativa al servizio dei cittadini…e a un nuovo e sottile controllo dello Stato! La creazione delle blockchain e delle criptovalute ha portato in tutto il mondo alla nascita di una nuova filosofia politica di pensiero: quella degli anarco-capitalisti. Gruppi di persone che credono che queste due innovazioni porteranno alla fine degli stati tradizionali e all’affermarsi di una società orizzontale dove non ci saranno più capi. Un gruppo di questi nuovi attivisti si è spinto ben oltre, creando, paradosso estremo, un nuovo Stato decentralizzato: Liberland. Stato che in realtà ha anche una sua territorialità in una isoletta fluviale al confine tra Serbia e Croazia, una terra non rivendicata da nessuno dei due Stati. A sfatare il mito che le blockchain siano orizzontali e mettano tutti su un piano di parità ci ha già pensato l’India. Lì recentemente è stata fatta una ridefinizione delle proprietà terriere tramite una blockchain. Risultato? Sembra che i ricchi, che avevano un più facile accesso a questa nuova tecnologia, si siano ingranditi ulteriormente a spese dei più poveri.
In definitiva le blockchain dovrebbero rendere inutili le intermediazioni per effettuare le transazioni. Niente più banche per registrare i pagamenti o niente più notai per registrare gli atti.
Le blockchain potrebbero portare Internet, quello nella forma che noi oggi conosciamo, verso una lenta agonia. Al contempo però anche il futuro computer quantistico potrebbe uccidere le blockchain. Queste ultime, date le enormi quantità di energia elettrica che consumano, sembrano attualmente inadatte a supportare gli scambi di tutto il Pianeta. E’ chiaro che se tutte queste innovazioni avessero successo potrebbero provocare negli Stati veri e propri tsunami lavorativi e impositivi. Milioni di posti di lavoro potranno cessare con conseguenti crolli delle entrate fiscali. Futuri redditi di sussistenza potrebbero diventare una realtà necessaria per sostenere i nuovi milioni di diseredati dei Paesi sviluppati del Terzo Millennio. Una sfida epocale da affrontare e vincere per i politici e gli intellettuali del nostro tempo.
Globalizzazione, Faang e imposizione fiscale
Gli Stati nazionali già oggi sono sotto attacco. L’attacco alla loro sovranità è stato portato soprattutto dalle grandi multinazionali. Società planetarie in grado di pagare le imposte, poche per il vero, dove è più conveniente. La colpa è comunque degli Stati stessi che competono senza esclusione di colpi, anche all’interno di aree come l’Unione Europea, per attrarre investimenti stranieri con la promessa di imposte minime. La creazione di posti di lavoro, fondamentale per i politici per mantenere il consenso, non solo darà alle nazioni coinvolte stabilità sociale, ma il lavoro stesso sarà foriero di nuove imposte. Questa tecnica porta così a risultati strani. Aumenta sì il lavoro nei paesi coinvolti, aumenta la tassazione da lavoro dipendente, ma cala al contempo quella data dalle imprese. O meglio, quella data dalle grandi imprese multinazionali. Negli ultimi 10 anni, come racconta il Financial Times, le imposte pagate dai 10 gruppi più grandi del mondo sono calate dal 34 al 24% dei profitti. Calo ancor maggiore per i giganti del Web di cui i Faang (Facebook, Apple, Amazon, Netflix e Google) sono i campioni. La possibilità per questi gruppi di fatturare e pagare le imposte dove per loro è più conveniente crea un altro paradosso. I grandi gruppi quando sono chiamati a pagare le imposte evase trattano direttamente con i Governi, arrivando a pagare, come già successo in Italia, solo il 30/35% del dovuto. I piccoli imprenditori nazionali che hanno evaso, nella maggioranza dei casi non hanno questa possibilità.
Calo demografico ed invecchiamento della popolazione
La demografia ci insegna che mediamente ci vogliono circa 2,1 figli per donna per mantenere una popolazione stabile. Attualmente siamo poco oltre 1,3 figli per donna. Questo dato è allarmante per diversi motivi. Difficile fare previsioni a lungo termine in tema di demografia. Più allunghiamo il nostro orizzonte temporale più le previsioni diventano giocate del lotto. Il progressivo invecchiamento della popolazione italiana porterà inevitabilmente a nuovi costi aggiuntivi per quanto riguarda la sanità e le pensioni. Molti pensatori ed economisti ritengono che sarà l’immigrazione l’arma vincente per rimpinguare i vuoti demografici italiani ed europei. Con un grande inconveniente: se la popolazione degli immigrati sarà troppo alta come percentuale rispetto ai nativi si potranno creare forti tensioni sociali. L’integrazione potrebbe diventare estremamente difficoltosa. Ogni società umana può assorbire senza traumi un numero limitato di nuovi arrivati.
Un confronto proponibile: Italia e Giappone
Ora, per sparigliare le carte appena servite, farò un breve confronto tra Italia e Giappone. Entrambi grandi Paesi manifatturieri, poveri di materie prime e vocati alla trasformazione industriale di un gamma infinita di prodotti. Nazioni con grande surplus di bilancia commerciale. Entrambi i popoli sono tra i più longevi del mondo. I cittadini delle due potenze dell’Asse sono inoltre tra i più ricchi del Pianeta. E, udite udite, hanno entrambi i Debiti Pubblici più alti (Grecia a parte) del mondo Occidentale. Italia al 135% del Pil, Giappone al 210%!!! Dopo questa miriade di somiglianze cominciano, ahinoi, le differenze. I Giapponesi, al contrario di noi italiani, detengono in casa quasi completamente il loro Debito Pubblico. In più hanno una loro Banca Centrale che è al servizio diretto della Nazione! Non è certo come la BCE. Corrisponde alla nostra vecchia e cara Banca d’Italia. Quella di una volta, quella della lira, quella che batteva denaro. Risultato:il Giappone non ha terremoti finanziari causati da spread ed i nipponici non si dissanguano con le imposte per pagare gli interessi astronomici sul Debito. Ultima differenza: non vogliono immigrati! Isolani chiusi che in cuor loro vogliono ancora mantenere una certa “purezza razziale”. L’Italia conta 56 milioni di nativi e 5 milioni di immigrati, oltre a 500/600mila migranti. Nel 2016 in Giappone c’erano circa 2,4 milioni di immigrati su una popolazione di 127 milioni. L’integrazione degli stranieri è difficilissima. Il senso di appartenenza dei nipponici è così sentito, che anche i connazionali che rientrano dopo molti anni di soggiorno all’estero vengono considerati come degli snaturati, non più nipponici al 100%. Le immagini del disastro immigratorio del Mediterraneo rimbalzano angoscianti nelle televisioni del Sol Levante. I giapponesi, già determinati per conto loro, dopo aver visto le nostre coste invase da queste masse di disperati, hanno rafforzato il loro sentire. Basta immigrati! Come faranno allora a rimpiazzare i lavori che i giapponesi non vogliono più fare? Come faranno con una popolazione che sta invecchiando sempre più? Semplice: sostituiranno gli uomini con i robot. Hanno già iniziato a farlo. Sono stati i primi e i più grandi sviluppatori di robot di tutti i tipi. I primi androidi sono stati costruiti proprio lì. Niente immigrati e robot a volontà per rimpiazzare gli ammanchi lavorativi giapponesi. Per avere gettito fiscale forse un domani tasseranno chi costruisce ed utilizza i robot. In rete si possono trovare vari video su queste nuove impressionanti realizzazioni.
Economia Blu
Voglio infine segnalare che mentre la “green economy” che si sta affermando in questo momento prevede la riduzione dell’anidride carbonica, l’Economia Blu proposta da Gunter Pauli, economista belga, prevede il suo totale azzeramento ed il riciclaggio completo dei prodotti. Per salvare il Pianeta non propone il blocco della crescita, bensì una crescita economica rispettosa dell’ambiente e dei suoi limiti. In questo progetto è la Natura che insegna. Basandosi sull’imitazione dei processi naturali la Blue Economy punta al riutilizzo totale di tutte le risorse evitando crisi, disoccupazione e rifiuti. Tutto si ricicla e il sistema è resiliente, capace di adattarsi ai cambiamenti. Perché finisco con l’Economia Blu? Perché questa teoria economica prevede il pieno impiego per tutta l’umanità. Teoria nettamente in contrasto con le previsioni da me prima descritte.
Conclusioni
Man mano che procedevo nella stesura di queste pagine mi rendevo conto che il canovaccio del mio elaborato assomigliava sempre più (fatte le debite proporzioni che il redattore è scrittore in sedicesimo) a un’opera scespiriana. Qui l’autore pone domande, ma non dà risposte. Indica questioni morali, ma non dà risposte. Le risposte le deve trovare lo spettatore. O, nel nostro caso, il lettore.